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Author: admin_avvocatidiimpresa

Una recente proposta legislativa in tema di trasferimento di aziende e di partecipazioni sociali

di Marco Speranzin e Andrea Tina (*)


Una recente proposta di legge si propone di disciplinare, in una nuova sezione del codice civile in materia
di compravendita, i termini di prescrizione delle garanzie legali nei contratti di acquisizione di aziende e delle garanzie negoziali prestate nei contratti di acquisizione di partecipazioni sociali, al dichiarato scopo di limitare una dubbia e discussa interpretazione giurisprudenziale e quindi di favorire una maggiore certezza del diritto, incentivando gli investimenti, in particolare stranieri, in società italiane. Gli Autori esaminano in prima lettura la proposta legislativa e formulano alcune osservazioni critiche.


1. La proposta: descrizione e “storia”
Lo scorso 20 settembre 2013 è stata presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge (n. 1610) finalizzata alla “Introduzione della sezione IV-bis del capo I del titolo III del libro quarto del codice civile, concernente la vendita di azienda e di partecipazioni sociali” (1), oggetto di discussione anche nel corso della riunione del Consiglio dei Ministri del 12 dicembre 2013 (2). Il progetto di legge così presentato si compone di un unico articolo, ai sensi del quale “Al libro quarto, titolo III, capo I, del codice civile, è aggiunta, in fine, la seguente sezione «Sezione IV-bis Della vendita di azioni e di partecipazioni sociali»”. La nuova sezione IV-bis è costituita dai seguenti due articoli:
«Art. 1547 bis. – (Vendita di azienda). – Nella vendita di azienda il termine di prescrizione dell’azione di cui all’art. 1495 è di cinque anni. Art. 1547 ter. – (Vendita di partecipazioni sociali). –
Nella vendita di partecipazioni sociali i diritti derivanti dai patti relativi alla consistenza, alle caratteristiche del patrimonio, alle prospettive reddituali e alla situazione economica e finanziaria della società si prescrivono in cinque anni».
La proposta, di indubbio interesse, è originata dal contesto di estrema incertezza che caratterizza l’effettività e l’operatività dei rimedi negoziali predisposti a tutela dell’acquirente nell’ambito di operazioni di acquisizione di azienda e, soprattutto, di partecipazioni societarie di “controllo”. Del resto proprio poco tempo fa (precisamente il 12 febbraio 2014) si è tenuta avanti la Corte di Cassazione l’udienza di discussione sul ricorso presentato avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 21 novembre 2008, che, annullando un importante lodo arbitrale, aveva ribadito la natura di qualità promesse ai sensi dell’art. 1497 c.c. delle clausole di garanzia (c.d. representations and warranties) predisposte dalle parti nei contratti di acquisizione di partecipazioni societarie totalitarie o rilevanti; confermando, quindi, l’interpretazione giurisprudenziale favorevole all’applicazione dei ristretti termini di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c. (3).
Come si ha modo di leggere nella relazione di accompagnamento della proposta di legge, che richiama espressamente la menzionata pronuncia di secondo grado milanese prendendo atto della “zona grigia di incertezza, proprio con riguardo alle tutele dell’acquirente”, la modifica al codice civile ha il dichiarato obiettivo di «assicurare un tempo adeguato entro il quale risulti “giustiziabile” la pretesa dell’acquirente, affinché quest’ultimo possa ottenere effettiva tutela sulla base delle previsioni contrattuali in ordine alle caratteristiche del bene-azienda o del bene-partecipazione societaria».
Una precedente formulazione del progetto di legge, che si è potuta consultare, prevedeva, invece, da un lato, la parziale modifica del vigente art. 1495 c.c., introducendo un termine di cinque anni per l’esercizio dell’azione di garanzia “nel caso di vendita di azienda”, e, dall’altro lato, l’introduzione di un nuovo art. 1495 bis c.c. sulla “Vendita di partecipazioni sociali”, con un generico rinvio alle “norme generali sui contratti” per gli “eventuali patti in forza dei quali il venditore garantisce beni e qualità della società le cui azioni o quote sono oggetto di vendita”.
Recependo parte delle osservazioni ricevute, nella versione qui in esame (v. sopra) si è ritenuto opportuno intervenire attraverso l’introduzione di una specifica sezione all’interno del capo sulla vendita, al fine anche di evitare, o comunque contenere, eventuali impreviste ricadute di carattere sistematico; soluzione, quest’ultima, certamente condivisibile e che si è tradotta nel progetto del 20 settembre 2013.
In questa sede si formula un primo e breve commento della proposta, in attesa di esaminare il testo definitivo, che, come pare di capire, sembra destinato a subire modifiche ulteriori rispetto a quelle già apportate alla sua originaria versione (v. infra par. 4). A differenza, infatti, del contestato progetto di riforma della disciplina sull’o.p.a. obbligatoria, non pare che si sia aperto un significativo dibattito sul tema in esame, e quindi pare utile fornire alcune osservazioni, per quanto a prima lettura.

2. Il significato della proposta dal punto di vista del trasferimento di aziende; garanzie legali e convenzionali
L’apparente simmetria tracciata dagli artt. 1547 bis e 1547 ter c.c., che si richiamano entrambi ad un termine di prescrizione di cinque anni per le azioni a favore dell’acquirente, non deve trarre in inganno.
L’art. 1547 bis c.c. interviene sulla disciplina dei “vizi della cosa venduta” (art. 1490 ss. c.c.) quando oggetto immediato del contratto di vendita è l’azienda, modificando il termine di prescrizione dell’azione di cui all’art. 1495 c.c. da un anno a cinque anni. L’art. 1547 bis c.c. si riferisce dunque alle garanzie c.d. legali nella “vendita di azienda”, così confermando la rilevanza funzionale dell’unità del bene azienda per l’attivazione delle stesse garanzie; diversamente, invece, dall’art. 1547 ter c.c. che, come vedremo (infra par. 3), interviene sulle garanzie relative al c.d. oggetto mediato del trasferimento (le partecipazioni sociali).
Nonostante l’art. 1547 bis c.c. riguardi soltanto la garanzia per i “vizi della cosa venduta” (art. 1490 c.c.), in termini più generali può ritenersi confermata l’opinione secondo cui nella compravendita dell’azienda la garanzia per l’evizione, per i vizi o difetti di qualità (v. artt. 1479 e ss. c.c.) investe, non solo, come naturale, i singoli beni che compongono l’azienda, ma anche l’intero complesso aziendale (4). L’attivazione della garanzia per vizi della cosa in relazione ad un singolo elemento aziendale può, pertanto, ripercuotersi ed estendersi all’intero complesso qualora il bene “viziato” sia essenziale per l’individuazione e la funzionalità dell’azienda (5).
Sotto questo profilo, la proposta di estendere il termine di prescrizione per l’azione legale (artt. 1490- 1495 c.c.) appare condivisibile. Il maggior termine tiene, infatti, conto delle difficoltà operative che possono incontrarsi non tanto (o non solo) nella individuazione dei vizi o delle difformità rilevanti del singolo bene, quanto nella valutazione degli effetti che i vizi e le difformità accertati possono avere, come accennato, sulla individuazione e sulla funzionalità del bene-azienda nel suo complesso; la nuova formulazione può, quindi, contribuire a rendere più efficace la tutela dell’acquirente. Né sembrerebbe possibile obiettare in senso contrario il timore che il termine quinquennale possa risultare, in concreto, eccessivamente lungo, considerata la possibilità, non esclusa dall’art. 1547 bis c.c., di contemperare gli effetti del termine di prescrizione mediante, a seconda delle tesi preferibili, un patto di limitazione o di esclusione della garanzia (art. 1490, comma 2, c.c.) o un’opportuna modulazione del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c. Se l’art. 1547 bis c.c. interviene, come chiarito, sulla disciplina delle sole garanzie legali, ciò non toglie che, anche nel trasferimento di azienda, le parti possano ricorrere ad una integrazione del sistema complessivo di garanzia, analogamente a quanto accade, più frequentemente e come si dirà, nel trasferimento di partecipazioni societarie. Spesso, per l’inadeguatezza della disciplina legale in relazione ad un bene complesso e produttivo, e al fine di tutelare l’acquirente in merito ad una determinata consistenza patrimoniale dell’azienda e a certe caratteristiche dei singoli beni che la compongono, sono, infatti, previsti nel contratto specifici impegni dell’alienante sia di gestione dell’azienda che di dichiarazione e garanzia (6). La funzione di tali ultime pattuizioni, in particolare, è chiaramente quella di estendere la tutela legale dal punto di vista della nozione di vizio o difetto di qualità e delle conseguenze in caso di mancato rispetto delle clausole (7).
La definizione della natura giuridica delle garanzie convenzionali nel trasferimento di azienda non si pone in termini del tutto dissimili a quanto avviene nelle acquisizioni di partecipazioni societarie. In via esemplificativa, sebbene per giurisprudenza costante l’avviamento (aziendale) non costituisca un bene (elemento) dell’azienda (8), ma unicamente “una componente del valore dell’azienda, costituita dal maggior valore che il complesso aziendale, unitamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono” (9), talora si è ravvisato nell’avviamento “una qualità immateriale dell’azienda che può essere promessa nel contratto di vendita e il cui difetto dà luogo alla fattispecie di inadempimento di cui all’art. 1497 c.c. in tema di qualità promesse” (10).
Soluzione che solleva forti perplessità, se si condivide l’opinione secondo cui una specifica clausola di garanzia non può avere l’effetto di trasformare, per ciò solo, l’avviamento in una qualità (seppur specificamente promessa) dell’azienda trasferita rilevante ai sensi dell’art. 1497 c.c., ma rappresenta unicamente l’oggetto di un’obbligazione autonomamente assunta dall’alienante sul valore dell’azienda (11).
Esulando dallo schema proprio dell’art. 1490 c.c., tali clausole convenzionali devono ritenersi sottratte alla disciplina delle garanzie legali e la relativa azione sottoposta ai termini di prescrizione ordinaria. Sul punto, come accennato, l’art. 1547 bis c.c. non interviene. Tuttavia, dalla lettura coordinata delle previsioni dell’art. 1547 bis e dell’art. 1547 ter c.c. sembra possibile desumere un’implicita conferma: nel determinare il termine di prescrizione quinquennale, l’art. 1547 ter c.c. (relativo alle quote) non richiama, infatti, l’art. 1495 c.c. (v. infra par.
3), delineando in tal modo un differente regime, sotto il profilo dei termini di prescrizione, per le garanzie negoziali nel trasferimento di azienda (dieci anni, art. 1547 bis c.c.), da un lato, e nel trasferimento di partecipazioni societarie (cinque anni, art. 1547 ter c.c.), dall’altro lato; confermando al contempo la differente natura delle garanzie legali rispetto a quelle negoziali.

3. Il significato della proposta dal punto di vista del trasferimento di partecipazioni sociali; oggetto immediato e mediato del contratto
La proposta di inserimento di un nuovo art. 1547 ter c.c. ha a riferimento, come si accennava, la compravendita di partecipazioni sociali e in particolare le c.d. clausole di rappresentazione e garanzia, con le quali l’alienante dichiara e garantisce al compratore una determinata consistenza del patrimonio sociale.
Come noto, tali clausole si sono diffuse nel nostro ordinamento (come nella gran parte degli altri Paesi) a seguito dell’interpretazione, dominante in

Successione dei soci ed iscrizione nel registro delle imprese del fatto estintivo della società

Estinzione della società
CASSAZIONE CIVILE, sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070 – Pres. Preden – Est. Rordorf – C. di A. c. C.G.S.
e F. S.p.a., quale successore nel diritto controverso della R.C. di M.V. S.a.s.

Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato.

La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’art. 299 ss. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta

(La sentenza è già pubblicata in questa Rivista, 2013, 5, 691)

Successione dei soci ed iscrizione nel registro delle imprese del fatto estintivo della società
di Marco Speranzin (*)


Le sentenze delle Sezioni Unite del marzo 2013 esaminano le conseguenze sostanziali e processuali dell’iscrizione della cancellazione di una società (sia essa di persone o di capitali) dal registro delle imprese. La Suprema Corte ritiene che, a seguito dell’estinzione della società, si verifichi un fenomeno successorio da parte dei soci, con effetti dal punto di vista della sorte delle posizioni attive, delle posizioni passive e dei processi pendenti o da instaurare. Le decisioni offrono numerosi spunti di riflessione


Le sentenze della Corte di cassazione
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno esaminato nuovamente, con la sentenza già pubblicata in questa Rivista (1) e con altre due decisioni parallele (2), il tema degli effetti estintivi dell’iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese.
Nonostante l’esistenza di recenti (del 2010) pronunce a Sezioni Unite sul tema (3), la I Sezione della Cassazione aveva, infatti, ritenuto che vi fosse ancora controversia nell’individuare la sorte dei rapporti processuali pendenti nel momento in cui una società venga cancellata dal registro delle imprese; e aveva, pertanto, nuovamente rimesso la questione alla decisione delle Sezioni Unite (4). D’altro lato anche la II Sezione aveva effettuato analoga rimessione, in particolare per la questione interpretativa relativa all’individuazione della sorte delle sopravvenienze attive scoperte dopo la cancellazione o dei residui patrimoniali attivi non liquidati prima della cancellazione (5).
Le sentenze in primo luogo ripercorrono le conclusioni cui erano pervenute alcune delle menzionate decisioni del 2010 (6). Ribadiscono, quindi i) la portata innovativa (e non interpretativa) della modifica introdotta dalla riforma del 2003 all’art. 2495 c.c., in tema di estinzione della società a seguito dell’iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese; ii) l’applicazione della norma anche alle società di persone, per ragioni di ordine sistematico desunte anche dall’art. 10 l. fall.; iii) la possibilità di superare la presunzione di estinzione conseguente alla cancellazione della società dal registro delle imprese mediante la prova di un fatto dinamico, ossia la prova del fatto che la società ha continuato ad operare pur dopo l’avvenuta cancellazione; unico caso, quest’ultimo, in cui potrebbe addivenirsi, anche d’ufficio, alla cancellazione della pregressa iscrizione (quella della cancellazione della società) (7).
Le decisioni in secondo luogo esaminano, in modo analitico, la sorte dei rapporti sociali non definiti e le conseguenze sul piano processuale della cancellazione della società, aspetti sui quali il legislatore della riforma del diritto delle società di capitali, nonostante il dettato della legge delega (art. 8, b, l. 3 ottobre 2001, n. 366), non aveva ritenuto di prendere posizione (8).
Quanto alle posizioni passive, la conclusione della Corte di cassazione è che, a seguito dell’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, si verifica un meccanismo di tipo successorio in base al quale i debiti, conservando intatta la propria causa e la propria natura giuridica, si trasferiscono in capo ai soci, nei limiti della responsabilità che quest’ultimi avevano nel tipo societario di riferimento. Non può, infatti, ritenersi, sostengono le Sezioni Unite, che contrasti con tale ricostruzione la responsabilità nei limiti del riscosso dalla liquidazione, prevista per i soci di società di capitali (v. art. 2495 c.c.): il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, infatti, di essere tale.
Quanto alle posizione attive, la conclusione della Suprema Corte è maggiormente articolata. Nel caso di mere pretese (posizioni incerte cui ancora non corrisponda la possibilità di individuare un diritto o un bene definito nel patrimonio sociale) oppure di diritti di credito non liquidi, la scelta del liquidatore di procedere all’iscrizione della cancellazione comporta, a parere dei giudici di legittimità, l’univoca manifestazione di volontà di rinunciare a quel credito.
Nel caso, invece, di diritti o beni definiti (che figurano o avrebbero dovuto figurare nel bilancio finale di liquidazione), escluso che essi possano, dopo la cancellazione, rappresentare un patrimonio adespota, assimilabile all’eredità giacente, la soluzione non può, sempre a parere della Corte, che essere analoga a quella dei debiti non soddisfatti: si assiste ad un meccanismo successorio in base al quale i beni o i diritti residui o sopravvenuti appartengono ai soci in un regime di contitolarità o comunione indivisa.
Sul piano processuale, le sentenze in commento sostengono che, in conformità alla ricostruzione sopra esposta, la società cancellata non possa né intraprendere una causa, né esservi convenuta (con la sola eccezione prevista all’art. 10 l. fall.). D’altro lato, nel caso di estinzione intervenuta a causa già iniziata, la Cassazione ritiene che si possa invocare l’art. 110 c.p.c. con conseguente trasferimento della legittimazione in capo ai soci, e applicazione degli artt. 299 e ss. c.p.c. in tema di interruzione e di eventuale prosecuzione o riassunzione della causa. D’altro lato ancora, nel caso in cui l’evento estintivo (oggetto di pubblicità legale) non sia stato accertato nel corso del giudizio, oppure sia intervenuto dopo la pronuncia della sentenza, il giudizio di impugnazione deve essere promosso, a pena di inammissibilità, da e contro i soggetti effettivamente legittimati, ossia i soci succeduti alla società estinta.

Considerazioni sugli effetti dell’iscrizione della cancellazione della società nel registro delle imprese.
Le sentenze delle Sezioni Unite del 2013 affrontano il tema oggetto di decisione sulla base di una scelta interpretativa di fondo che pare condivisibile. La qualificazione del rapporto tra società estinta e soci quale fenomeno di tipo successorio pare quella che in modo più efficace possa definire le conseguenze del procedimento di liquidazione, riparto e iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese; e pare la tesi che consente di meglio risolvere i numerosi problemi che l’estinzione della società comporta (9).
La motivazione della decisione ha cura di precisare che tra società e soci si verifica un meccanismo almeno lato sensu successorio, che trova significativa conferma, dal punto di vista normativo, dalle (seppur molto criticate (10)) modalità di notifica dell’azione dei creditori sociali nei confronti dei soci previste all’art. 2495 c.c., comma 2, ultima parte, c.c., disciplina “palesemente” ispirata all’art. 303 c.p.c., e quindi alla notifica dell’atto di riassunzione agli eredi (11).
A quanto esposto dalla sentenza, potrebbe forse aggiungersi che il presupposto di applicazione di princìpi e norme in materia di successione è rappresentato dal procedimento, di natura divisionale, di liquidazione e riparto che precede la iscrizione della cancellazione, e che comporta la destinazione e poi l’attribuzione a favore dei soci di una quota del patrimonio sociale (12). Inoltre, il fenomeno successorio in esame, avvenuto prima dell’estinzione del soggetto, e a causa di questa, può essere qualificato come a titolo universale, in quanto, come si accennava, l’attribuzione a favore dei soci della quota di liquidazione è caratterizzata da una vis expansiva che comprende sia i beni o diritti che sono espressamente assegnati, sia quelli sopravvenuti (13).

La sorte dei rapporti passivi
Come si diceva, la decisione delle Sezioni Unite non si limita ad aderire alla tesi che ritiene esistente un rapporto successorio tra società cancellata e soci; propone anche una soluzione puntuale per le questioni
relative alle posizioni attive e passive, sostanziali e processuali, pendenti o che potrebbero nascere dopo la cancellazione della società, prendendo posizione su molti dei punti controversi in materia.
Dal punto di vista dei rapporti passivi la scelta interpretativa della Corte di Cassazione deriva logicamente dalla premessa ricostruttiva. La volontaria cancellazione della società dal registro delle imprese non può evidentemente comportare l’estinzione dei debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo, in quanto ciò consentirebbe al debitore, in violazione dei princìpi generali dell’ordinamento, di disporre unilateralmente dei diritti altrui; di conseguenza, i debiti della società si trasferiscono in capo ai successori, ossia ai soci, nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo societario di origine.
Del resto, nota ancora la sentenza, come già si accennava, la circostanza che nelle società di capitali i soci rispondano solo nei limiti di quanto ricevuto dalla liquidazione (v. art. 2495 c.c.) non impedisce la qualificazione del fenomeno quale successione; ciò è testimoniato proprio dalla disciplina della successione mortis causa delle persone fisiche, con riferimento alla posizione dell’erede che abbia accettato con beneficio di inventario (14).
Da tali considerazioni derivano almeno quattro corollari.
Il primo, espresso chiaramente dalla motivazione e che pare condivisibile, è che l’ordinamento, proprio in virtù del meccanismo successorio e dell’azione ex art. 2495 c.c., non riconosce ai creditori sociali la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto (o, si può aggiungere, un diritto di opposizione all’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese) (15). Il secondo corollario, non espresso ma che pare conseguenza logica della motivazione, è che deve ritenersi ammissibile l’iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese anche in presenza di debiti sociali insoddisfatti (16).
Il terzo, espresso in termini sintetici dalla Suprema Corte, è che il meccanismo successorio si verifica (nel caso di società di capitali) a prescindere dall’avvenuto effettivo riparto in sede di liquidazione; e ciò in quanto l’azione può essere esercitata nei confronti dei soci anche qualora vi sia un attivo non conosciuto o sopravvenuto alla liquidazione e al riparto (17).
L’ultimo corollario è che, a parere dai giudici di legittimità, l’azione nei confronti dei soci si differenzia, per sua natura, da quella per risarcimento dei danni nei confronti del liquidatore, se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da colpa di costui (18). Un problema, quello dell’azione nei confronti del liquidatore, che avrebbe forse richiesto un maggior approfondimento, dato che la responsabilità ex artt. 2312, 2324 e 2495 c.c. sembra un’ipotesi di responsabilità (se si vuole: ex lege) per debiti, più che per danni (19); ma è un problema che la Cassazione volontariamente non approfondisce, non essendo stata esercitata alcuna azione contro il liquidatore nel caso in esame (come anche negli altri due paralleli).

La sorte dei rapporti attivi: la distinzione tra le sopravvenienze attive “certe” e “incerte”
La parte della motivazione che si occupa dei residui attivi non liquidati e delle sopravvenienze attive è quella che risulta più innovativa rispetto al dibattito sul tema dell’estinzione della società; ed è quella che pare sollevare le maggiori perplessità.
Sembra convincente, e coerente con le considerazioni in tema di debiti non soddisfatti, ritenere che i soci, se non è previsto diversamente nel piano di riparto, subentrino nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale in regime di contitolarità o di comunione indivisa (20).
Meno agevole è concordare con la scelta interpretativa, che era stata anticipata da una sentenza di qualche anno fa sottoscritta dal medesimo Relatore (21), secondo cui, nel caso di mere pretese oppure di diritti di credito non liquidi, la scelta del liquidatore di procedere all’iscrizione della cancellazione comporta la univoca manifestazione di volontà della società di rinunciare al credito.
In primo luogo, non pare convincente la distinzione, in astratto, tra posizione attive che devono risultare dal bilancio finale di liquidazione; e mere pretese o diritti di credito non liquidi, ossia posizioni attive che non avrebbero potuto essere ragionevolmente iscritte. Anche le mere pretese o i diritti di credito non liquidi, infatti, devono essere indicati nel bilancio finale di liquidazione ex artt. 2311 e 2492 c.c., secondo il valore presumibile di realizzazione (art. 2426, n. 8, c.c.) (22).
In secondo luogo, non pare comunque convincente la diversità di trattamento tra le due ipotesi. Se si ritiene ammissibile l’iscrizione della cancellazione della società anche in presenza di debiti o crediti (certi) non soddisfatti, con conseguente fenomeno di successione dei soci nel rapporto, analogamente sembra si debba ragionare con riferimento a tutte le situazioni patrimoniali. E quindi anche nell’ipotesi in cui il credito non risulta ancora certo o liquido, ma lo possa diventare in seguito, ad esempio all’esito di una controversia instaurata dalla società, e proseguita dai soci, per l’accertamento di un diritto; oppure nell’ipotesi in cui il credito sorga successivamente, ad esempio alla conclusione di una controversia che abbia un esito più favorevole per la società (e, quindi, per i soci) di quanto era previsto o prevedibile (23).
Si può obiettare che, seguendo un’interpretazione diversa da quella della Cassazione, si potrebbe verificare un pregiudizio a danno dei creditori sociali, i quali non verrebbero a conoscenza dell’attivo distribuito tra i soci successivamente all’iscrizione della cancellazione e, quindi, alla redazione del bilancio finale di liquidazione. Tuttavia si può ulteriormente replicare che l’applicazione delle norme in tema di divisione, e quindi, nel caso, l’applicazione dell’art. 762 c.c., che comporta un supplemento della divisione in caso di omissione di uno o più diritti o beni (dal piano di riparto), rende possibile per i creditori sociali un’azione anche sull’attivo sopravvenuto o successivamente accertato (oltre che la possibilità di contestare le risultanze del bilancio finale e di chiedere l’accertamento del valore dei beni eventualmente assegnati ai soci) (24).
E, soprattutto, l’effetto pregiudizievole a carico dei creditori sociali è – per le società di capitali, in cui non vi è di norma la responsabilità illimitata dei soci per le obbligazioni della società – molto maggiore ritenendo che la potenziale attività sia oggetto di un atto unilaterale di rinuncia a seguito dell’iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese (25).
È vero che in astratto i creditori sociali possono…

Piercing the corporate veil in Italian Company and banking law

Marco SPERANZIN
Company Law Professor at the University of Udine, Italy

SUMMARY: 1. Tue issue. 2. Disregard of corporate formalities. 3. Undercapitalised company. 4. Creation of a company solely 10 dodge the application of mandatory regulations or 10 prejudice the rights of third parties. 5. Abusive granting of credit 6. Conclusions.

First of all, I would like to express my sincere thanks lo Marmara University and the organisers of the Convention for the invitation to participate in such a prestigious international event on the subject of the piercing (and, sometimes, lifting) of the corporate veil, lo present some general considerations on Italian company and banking law.
I will divide my presentation in 6 points: 1) the issue and the three categories or groups of cases; 2) the first group: disregard of corporate management and organisation rules (in Germany the cases of so called Durchgriffshaftung);
3) the second group: undercapitalisationof the company; 4) the third group: the creation of a company solely to dodge the application of mandatory regulations or 10 prejudice the rights of third parties (in Germany the cases of so called Zurechnung Durchgrift); 5) a special banking law case: abusive granting of credit and instruments for piercing the corporate veil; 6) conclusions.

1. The Italian doctrine has observed that the subject of lifting of the corporate entity in case of abuse is part of the more general topic of the reaction to the abuse of the law1; il would therefore appear more efficient to make an analysis that pay less attention lo a reconstruction from a general point of view, and focus on an examination of typical cases instead. I consider this suggestion proper and will therefore try to identify the most interesting cases from the point of view of Italian law, without neglecting particularly significant orientations on the part of other law systems. This distinction into groups of specific cases is useful for purposes of summarising, even if it is obviously schematic, since some cases cannot be pigeonholed within the list I will present, and others may be classified in more than one group.

2. The first group of hypotheses (the largest and most important one) is based on disregard of corporate structure and formalities. In other words, shareholders interfere directly in the management, as if they were directors, or confuse their own assets with those of the company (paying the company’s debts with their own assets and vice versa, negotiating directly with the company’s creditors, etc.).

The instrument used by Italian case law (including criminal one) to punish this kind of conduct in Italy (a problem that occurs especially when a company goes into bankrupt) has been to hold the shareholders liable through the technique of shadow or de facto directors, or in other words assigning the directors liability to those who, while not formally appointed, actually exercise management functions2. However, since the newly enacted company law in 2003, the Italian law system has acquired two new provisions that may be used to punish these cases of abuse:
a) the regulation on company groups, i.e. the regulation on the holding liability due to the ‘management and coordination’ of its subsidiaries (art. 2497 and following of the Italian Civil Code). This regulation on the one side confirms the liability of the holding (as an entity and not as an individual) causing damage to the integrity of the assets of the subsidiary which is ‘managed and coordinated’, thus damaging the minority shareholders and mostly (as here it is important) creditors of the subsidiary; and on the other side the liability of the party (which may also be an individual) which has benefited from this ‘management and coordination’ activity and which has in any case participated in the harmful deed or act (for example: sister subsidiary; directors; shareholders; etc.) 3;
b) art. 2476 of the Italian Civil Code, which, as far as a private limited liability company is concerned, provides the joint liability of directors and shareholders who have intentionally decided or authorised acts or resolutions which damage the company4.

Also the Italian bankruptcy law may affect the issue in question, in particular with reference to partnerships law (but, indirectly, as we will see below, also to companies). Art. 147 of the Italian bankruptcy law (Royal Decree no. 267 of 1942) provides the bankruptcy of partners with unlimited liability when partnership has gone into bankrupt; furthermore, the same art. 147 (amplified by the 2006 reform of the bankruptcy law) provides the bankruptcy of the ‘shadow or secret partner’ (the partner who does not formally appear as such) in partnerships. In other words, if after the bankruptcy, it is discovered the existence of a partner who did not formally appear as such, but who has acted in this capacity (providing guarantees in favour of the company; negotiating with the creditors of the company, executing agreements,etc.), the Italian bankruptcy law contemplates the bankruptcy of said party (and this also applies when it is discovered the existence of a party who has· acted as the partner of an apparently individual entrepreneur: bankruptcy of the ‘shadow or secret partner’ in a silent partnership).

According to a construction5 the principle that may be inferred from the bankruptcy law (and which as said has been underscored by the reform of the bankruptcy law of 2006) concerns the partners of partnerships, but could also be extended to the “tyrant” or dominating shareholder of stock corporations, or, in other words, to the party who uses a company as his/her own property, violating corporate regulations through a confusion of assets. In these cases the business activity (according to the quoted author) should be attributed to said shareholder, who actually dominates a business that has not been formally assigned to him/her (as it is attributable to the company) with the consequence that said party shall be held liable for the company’s debt and may face personal bankruptcy as an individual entrepreneur.

One must keep in mind the great differences arising from the two different approaches: while the first thesis of the shadow director or the holding liability for the “management and coordination” entails that the shareholder will be held liable for the damages arising from the disregard of the “corporate separation”, the thesis of the “tyrant” or dominating shareholder entails that the shareholder will be held liable for the debts of the company, and that he may also face bankruptcy.

Perhaps also due to the seriousness of the possible consequences (in addition to the theoretical difficulties of the thesis of the “tyrant” or dominating shareholder) Italian case law has never expressly followed the second orientation, but has always distinguished the principles applicable to partnerships (whose partners may face bankruptcy, even if they have not formally appeared as partners) and those applicable to companies (whose shareholders may be held liable towards the creditors for damages caused to the corporate assets only when the prerequisites for shadow director or responsibility for wrongful act subsist, and now also in the light of the new aforesaid regulations introduced by the new company law) 6.

In any case the subject of piercing the corporate veil due to disregard of corporate regulations has become more important as a result of the 2003 reform of the law on limited companies, also from another point of view: the company owned by a single individual now represents a general figure (a sing­ le individual may incorporate or maintain both a public company or a limited liability company: artt. 2325, 2362 and 2462 Italian Civil Code), and the sole shareholder is liable for the obligations assumed by the company only in marginal cases (failure to announce in the company register the existence of a so­ le shareholder); consequently the 2003 reform has reinforced the principle that the limitation of the liability is a general principle of corporate law (this is al­ so demonstrated by regulations governing the ‘allocated assets’, so called patrimoni destinati, that a company – but not the private limited liability one – may set up by separating a part of its assets and allocating it to a specific bu siness activity: articles 2447-bis and following of the Italian Civil Code).

I will finally conclude the examination of the first and largest group of cases by pointing out that, from a point of view of comparative law, German case law now appears to be oriented towards the same solution as Italian law; the former, amending the theory of the Existenzvernichtungshaftung (liability of the shareholder for actions that are detrimental to company assets) has recently expressed itself in favour of the application of the principles of liability of the shareholder for wrongful act and thus for damages7.

The Slovenian law of 1999, on the contrary, provides a different orientation (the shareholders are required to assume liability for corporate debts in case of disregard of corporate formalities)8.

3. The second group of cases usually mentioned (and actually closely Jinked to the first one) is the (very controversial) one of undercapitalised companies, or in other words companies which do not possess sufficient means (in particular: share legal capital and reserves) to pursue their business (material undercapitalisation) or which possess these means, uot in the form of share capital or reserves, but in the form of loans from the shareholders (nominal undercapitalisation).

In Italy it has been asserted9 that one may infer, from the law system as a whole, a principle which requires to properly fund a business conducted as a company and prohibits the manifest insufficiency of the share capital, and· according to which the shareholders would in this case (of material undercapitalisation) be liable for the debts incurred by the company.

However, the prevailing orientation has rejected this thesis. One may not provide for a further liability (beyond the contributions) on the part of the shareholders, once the minimum share capital required by law has been complied with (_ 120,000 for public companies and _ 10,000 for limited li­ ability companies). According to this prevailing construction, the regulations on directors liability, the organisation of the company (if respected) and the need to prepare financial statements following the European standards serve the purpose of protecting third parties and creditors.

These conclusions on the part of the prevailing orientation appear to be confirmed by the 2003 reform of the company law, which has, on the one hand, provided the aforementioned provisions of articles 2497 and 2476 of the Italian Civil Code, concerning incorrect management of group of companies and shareholders’ liability in private company, and not concerning incorrect funding of companies on the part of the shareholders (see above). On the other hand, as far as private limited liability companies are concerned, it contains a provision (art. 2467 of the Italian Civil Code) concerning only nominal undercapitalisation, which establishes that the reimbursement of loans made by the shareholders to the company shall be postponed unti1 the other

creditors have been satisfied, if the loan has been granted when the company was facing difficulties, even if only financially.

It is widely discussed if this regulation, which is, as mentioned, provided for limited liability companies but also, within the context of the rules for company groups (art. 2497-quinquies of the Italian Civil Code), is also applicable to the case of public companies10.

4. Tue third group of cases is characterised by the incorporation of a company solely in order to dodge the application of mandatory regulations or to prejudice the rights of third parties. In this case the piercing or lifting of the corporate veil is represented by the application of the dodged regulation, or in other words the specific provision that has been disregarded by means of the company that has been created especially for that purpose.

Tue leading cases in company law appear to be as follows:

i) the incorporation of a company in order to dodge the non-competition obligation assumed by a party disposing of a business. Art. 2557 of the Italian Civil Code establishes that in the case of a sale of a business, the seller cannot conduct – by certain limits – activities representing competition with the buyer of the business; the purpose is to guarantee the goodwill that is (normally) pa.id for by the buyer when acquiring the business (i.e. the fact that the buyer of the company pays a price that is higher than the sum of the company’s assets, also against the purchase of the clientele: the goodwill, precisely; if the seller could conduct the activity in a manner representing competition with that of the sold business, the goodwill paid by the buyer would be compromised). In this case, it might be incorporated a company, that becomes the owner of the business, so that the shares in said company are subsequently sold to the buyer. In such hypothesis (acquisition of shares) there is no transfer, in a juridical sense, of the business, of the assets, which are owned by (are the property of) the company; consequently, the prohibition set forth in art. 2557 is apparently not violated whenever the seller of the shares should, after said sale, compete with the buyer of the shares, by conducting an activity that is similar to that of the sold business.

On the contrary, the Italian Supreme Court considers, as of a sentence from 199711 that the prohibition of competition applicable to the seller of a business also applies to the sale of the control shareholding of a company, since also in the latter case does one obtain, from an economic viewpoint, a transfer of a business, of the assets, and consequently the need to safeguard the buyer who has also (normally) paid for the goodwill as part of the purchase.

ii) the incorporation of a company in order to dodge the right of pre-emption, whether legal or conventional (i.e. in a company by-laws).

An Italian decision has passed a sentence on an interesting hypothesis: a company, shareholder of another whose charter provides for a pre-emption clause, transfers its shares by assigning them to a third company, of which it is the sole shareholder, without making an offer to the other shareholders un­ der the pre-emption clause.

Tue Court of Venice12 has considered that this transfer does not violate the pre-emption clause since the transfer (by means of assignment) of the shares to a company entirely owned by the shareholder does not represent, from an economic viewpoint, a transfer of the asset; as a matter of fact, the original shareholder still retains the “control” of the assigned shares (since the original shareholder is the sole shareholder of the assignee company). The interests safeguarded by the pre-emption clause are thus allegedly respected: the same party essentially remains shareholder, and no change occurs in the structure of the shareholders (the interest which is safeguarded by the pre­ emption clause provided by the articles of association).

Tue thesis does not appear to be followed: in fact, it comes natural to reply that it would then be sufficient for the original shareholder to sell its holding (i.e. I00% of the capital) in the assignee company without having to comply with the pre-emption clause applicable to the “original company” and thus to dodge the right of pre-emption provided by the articles of association. Consequently, scholars have invoked in these cases the application of the principle of the piercing of the corporate veil, when the adoption of the company structure is aimed at dodging a pre-emption clause13.

iii) In banking law it has posed the case14 of the incorporation of a company in order to export foreign currency in violation of the national currency laws: some ltalians had incorporated an Anstalt (a company governed by the law of Liechtenstein) in order for this to incorporate another company in Italy, which was registered as the owner of assets purchased with money that had been illegally exported. Also in this case one has  posed  the problem of applying the regulation that had been dodged by piercing of the corporate veil.

In general, in all the cases identified in this point, lifting of the corpora­ le entity does not appear to consist of anything but a specific application in company law of a general civil law provision: art. 1344 of the Italian Civil Code, which aims to counter fraud against the law or, it may be added, a company by-laws (i.e. hypotheses in which one seeks, through a series of operations, to dodge a mandatory regulation of the law). In this case, consequently, piercing the veil means an interpretative way (what the German doctrine de­ fines as Durchgriff as Normanwendung) which serves to apply the provision a party has sought to dodge.

5. Finally, as far as the banking law is concerned, a brief mention of the liability assumed by a bank for abusive granting of credit, which does not rep­ resent a proper case of lifting of the entity, but is associated with the theme in question for reasons we will now see.

Italian case law recognises that the granting of a new loan to a company undergoing a crisis, or the maintenance of a credit that has already been gran­ ted, even though the lender is aware of the economic difficulties faced by the borrower, may determine a liability for the bank (to some: only in case of fraudulent intention) 15.

It is a matter of an abusive conduct on the part of the bank: on the one side the violation of a duty (of granting credit in a correct manner); on the other, said conduct often causes damage to the other creditors of the company.

Tue hypothesis of liability on the part of the bank has however been subject to considerable criticism by the literature16, which firstly challenges its acceptability in abstract terms (for purposes of motivating financial aid to companies in difficulty), and secondly argues that the official receiver may not, in any case, enforce this liability when the company, that has received abusive loans, has gone into bankrupt (also the above mentioned Court of Cassation has confirmed this orientation).

Scholars consider preferable to follow another way to punish the abusive conducts of banks in the period preceding corporate crises. Tue granting or maintenance of credit in favour of a company in difficulty is often linked to an agreement containing provisions that allow the bank to take part in the decisions (also concerning management) that are most important for the company: at this point the bank, if it acts in an abusive manner, could be considered (if we want, through the theory of the lifting of the entity) a shadow director of the company, or in any case a party that is liable before the creditors

of the company, under the regulations on groups examined in the foregoing, or in other words art. 2497 of the Italian Civil Code17; also the official receiver, in case the borrowing company should later face bankruptcy, could enforce its liability actions against the bank.

6. In the final analysis, also in the light of the new principles of the re­ form of the company law of 2003, we have to follow the doctrine18 which underscores that remedies for the illegitimate management activities that cause damages to third parties are the main way to repress abuses conducted through the use of companies (as provided by the aforementioned article 2497 of the Italian Civil Code, on the subject of groups, or the thesis of the de facto director, or the provision regarding private limited liability company: art. 2476 of the Italian Civil Code); the theory of lifting of the corporate veil may perhaps serve for purposes of punishing borderline cases (those examined in no. 4), but against which it represents an application of the instrument of fraud with respect to the law (art. 1344 of the Italian Civil Code) or the company by-laws.