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Partecipazioni senza diritto di voto nella s.r.l.

SOMMARIO: 1. Introduzione: la discussa legittimità di partecipazioni senza diritto di voto. – 2. Limiti assoluti che impediscono la creazione di quote senza voto: il diritto di voto come elemento essenziale del tipo? – 3. (Segue). Ulteriori argomenti contrari: la “natura” della partecipazione sociale nella s.r.l. o la disciplina dell’art. 2351 c.c. – 4. (Segue). Presunti argomenti letterali contrari alla legittimità di tali partecipazioni. – 5. Limiti relativi alle quote senza voto (cenni).

1. Introduzione: la discussa legittimità di partecipazioni senza diritto di voto.
Nel sistema normativo della s.r.l. anteriore alla riforma del 2003 era principio consolidato che non fossero ammissibili quote senza diritto di voto né quote a voto limitato1. La tesi era fondata in primo luogo sul tenore letterale dell’art. 2485 c.c. previgente, che da un lato attribuiva ad ogni socio il diritto ad almeno un voto nell’assemblea, dall’altro non conteneva alcuna indicazione, a differenza degli articoli precedente e seguente, che facesse salva una diversa disposizione dell’atto costitutivo; in secondo luogo sulla mancanza nella s.r.l. di una disposizione corrispondente all’art. 2351 c.c. in tema di s.p.a.; infine su una ragione tipologica, ossia sulla normale presenza nella s.r.l. di soli soci imprenditori, necessariamente in grado di partecipare, almeno in potenza, alla vita della società.
Fortemente discussa era, invece, l’ammissibilità di quote a voto plurimo, da alcuni respinta sulla base dello stesso art. 2485 c.c. o sulla base dell’applicazione analogica dell’art. 2351, comma 3°, c.c. previgente 2; da altri accolta sulla base di considerazioni tipologiche: veniva considerata coerente con il tipo s.r.l. la possibilità di variare la misura delle posizioni soggettive in relazione all’importanza che ciascun socio potesse rivestire per la collettività 3.
Il problema (o i problemi) si presenta(no), dopo l’entrata in vigore della riforma, con connotati nuovi. Le disposizioni novellate rendono l’analisi del tema quanto mai stimolante (si pensi al nuovo art. 2468 c.c., che riconosce la legittimità di un’attribuzione dei diritti non proporzionale ai conferimenti, nonché la possibilità di assegnare a uno o più soci diritti particolari); inoltre l’instabilità del quadro sistematico della s.r.l. comporta che princìpi pacifici prima della riforma, e che erano alla base di soluzioni consolidate, possano risultare non più tali 4.
E proprio in conseguenza di questo quadro le opinioni sul tema risultano ora più articolate rispetto al passato. Da un lato, e in prevalenza, è rappresentata una tesi negativa, la quale si esprime in senso contrario alle quote senza voto o con diritto di voto limitato. In primo luogo, si conferisce rilievo al dato normativo: in particolare all’art. 2479, comma 5°, c.c. («ogni socio ha diritto a partecipare alle decisioni previste dal presente articolo e il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione»); e all’art. 2468, comma 3°, c.c., che disciplina i diritti particolari, da interpretarsi come numerus clausus, e che non menziona – tra i diritti che possono essere attribuiti in modo non proporzionale rispetto alla partecipazione – quello di voto 5. In secondo luogo, la tesi negativa viene fondata (analogamente al passato) su considerazioni di vertice e tipologiche, e quindi sul ruolo del socio nella s.r.l. (che deve partecipare, almeno in potenza, alla vita societaria) 6; oppure sulla base dell’art. 2247 c.c., che, in assenza di una disposizione permissiva come quella dell’art. 2351, comma 2°, c.c., non consentirebbe una clausola statutaria che privi il socio del diritto di voto e quindi escluda la sua partecipazione alla gestione dell’attività comune 7.
D’altro lato non mancano autori che si sono espressi a favore della legittimità di quote senza voto o a voto limitato, in particolare argomentando dalla possibilità, prevista in generale all’art. 2468, comma 2°, c.c., di assegnare ai soci la quota di partecipazione al capitale (e quindi ai diritti sociali) in modo non proporzionale rispetto ai conferimenti; nonché in considerazione dell’ampia autonomia statutaria riconosciuta quale carattere distintivo alla s.r.l. 8.
A fronte di questo quadro così composito, appare interessante dedicare al tema un approfondimento, anche alla luce dell’importanza che hanno le quote senza voto in altri ordinamenti 9, e dell’ammissibilità di tali partecipazioni anche nelle recenti proposte di Regolamento relativo allo statuto di una Società privata europea 10.

2. Limiti assoluti che impediscono la creazione di quote senza voto: il diritto di voto come elemento essenziale del tipo? – L’analisi concernente l’ammissibilità di quote senza diritto di voto nella s.r.l. deve in primo luogo confrontarsi con l’esistenza, o meno, di limiti c.d. assoluti che, in ipotesi, potrebbero rendere illegittima una previsione dell’atto costitutivo in questo senso 11; in particolare, sulla base degli argomenti ricordati al paragrafo precedente, il principio della rilevanza centrale del socio o della necessaria partecipazione di quest’ultimo alla gestione dell’attività comune.
L’illegittimità di quote senza diritto di voto potrebbe derivare, seguendo questo ragionamento, da un esame della disciplina complessiva della s.r.l. la quale, come noto, attribuisce rilievo centrale al ruolo del socio, da considerarsi quale vero e proprio «socio imprenditore», o della partecipazione sociale, caratterizzata da una serie di diritti amministrativi (ad esempio: il diritto di controllo; di impugnazione; e, in thesi, anche di voto) da ritenersi indisponibili; in secondo luogo, l’inammissibilità sarebbe desumibile dal confronto con la disciplina della s.p.a., la quale (sola) consentirebbe l’attribuzione di partecipazioni senza diritto di voto, in virtù della possibilità di permettere l’investimento in tale tipo anche a soggetti non interessati alla gestione della società.
Il primo argomento, sostenuto anche in altri ordinamenti 12, pare superabile non solo con le obiezioni che, in senso critico, si potrebbero immediatamente muovere allo scopo di negare rilievo al ruolo centrale del socio: il principio è privo di reale portata precettiva, e comunque è posto sullo stesso piano di quello della tutela dei rapporti contrattuali tra i soci 13; la natura imprenditoriale del socio è un mero slogan, dato che il socio non viene considerato tale neppure nelle società di persone 14, almeno in senso proprio 15; in ogni caso, il regime della s.r.l. è «assai poco adatto ad una struttura caratterizzata dalla presenza esclusiva o comunque prevalente di “soci imprenditori”» 16.
L’argomento pare superabile soprattutto con una considerazione altrettanto di vertice; ossia la distinzione, sia dal punto di vista formale che dal punto di vista sostanziale, da un lato tra il diritto di voto del socio e quello alla partecipazione alla decisione (diritto di intervento; di informazione e di ispezione; di impugnazione); d’altro lato tra il diritto di voto e il diritto a prestare il consenso individuale per determinate decisioni (distinzione che in Germania è efficacemente indicata con i termini Stimmrecht e Zustimmungsrecht 17). Un conto è, infatti, il diritto del socio a partecipare con la sua manifestazione di volontà alla formazione della decisione sociale, altro è il diritto di intervenire alle decisioni ed eventualmente impugnarle, pur senza poter esprimere il diritto di voto (distinzione tra diritto di voto e di partecipazione alla decisione); un conto è il diritto di esprimere il consenso o approvare una decisione, quando la volontà della collettività incide sul contenuto di alcuni diritti indisponibili del socio, altro è il diritto di votare in ogni decisione (distinzione tra diritto al consenso e diritto di voto) 18. Orbene: le quote senza diritto di voto escludono quest’ultimo, non, invece, il diritto a partecipare ad ogni decisione (ed eventualmente ad impugnarla); non eliminano il diritto del socio, in certi casi, ad esprimere il suo (necessario) consenso per la (efficace o valida) assunzione di determinate decisioni che incidono su diritti indisponibili.
Ciò che, sulla base di questa duplice distinzione, deve essere salvaguardato in ogni caso è, quindi, il diritto alla partecipazione ad ogni decisione e al consenso a certe specifiche delibere; si dovrebbe ritenere consentito, invece, l’esclusione convenzionale del diritto di voto, allo scopo di equilibrare il rapporto tra le due…

Commento agli artt. 2438-2444

Art. 2438
Aumento di capitale

Un aumento di capitale non può essere eseguito fi no a che le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate.
In caso di violazione del precedente comma, gli amministratori sono solidalmente responsabili per i danni arrecati ai soci ed ai terzi. Restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma.

Commento di MARCO SPERANZIN

1. PRECEDENTE DISCIPLINA. – LE NOVITÀ DELLA NORMA. – 2. LA RATIO DELLA NORMA E IL COORDINAMENTO CON L’ART. 2420-BIS C.C. – 3. IL PRIMO COMMA: L’AMBITO DI OPERATIVITÀ DEL DIVIETO… – 4. …E LE FATTISPECIE CONSENTITE. – 5. IL SECONDO COMMA: LA SALVEZZA DELLE SOTTOSCRIZIONI E LA RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI. – 6. DELIBERA DI AUMENTO DEL CAPITALE IN PRESENZA DI PERDITE.

1. Precedente disciplina. Le novità della norma
La formulazione dell’art. 2438 c.c., prima della modifica del 2003, disponeva che non potessero emettersi nuove azioni fi no a che le azioni precedentemente emesse non fossero state interamente liberate. Si trattava di una disposizione che riproduceva una norma del codice di commercio del 1882 e che non era stata modificata dal d.p.r. 10.2.1986, 30, ossia dal provvedimento di attuazione della II Direttiva CE, in quanto quest’ultima non si occupa dei presupposti dell’aumento di capitale.
Il dibattito sull’ambito applicativo dell’art. 2438 c.c. si era concentrato sull’ammissibilità o meno dell’assunzione di una delibera di aumento da parte dell’assemblea in mancanza di integrale liberazione delle azioni precedentemente emesse. Secondo la tesi prevalente, anche se non pacifica, la disposizione impediva non solo di eseguire un aumento di capitale, ma anche di deliberarlo nel caso in cui fossero state sottoscritte azioni non interamente liberate o potessero essere sottoscritte, in forza di una delibera assunta ma ancora inattuata, azioni senza contestuale integrale liberazione1.
La legge delega al Governo per la riforma del diritto societario (l. 3.10.2001, 366) non forniva al legislatore delegato particolari indirizzi in materia, limitandosi a stabilire (art. 4, c. 9, lett. b) la revisione della disciplina dell’aumento del capitale. Tuttavia l’introduzione del nuovo testo dell’art. 2438 c.c. era stata preceduta dall’abrogazione della fattispecie penale dell’art. 2630, c. 1, n. 1, c.c., che sanzionava gli amministratori che emettono nuove azioni o attribuiscono nuove quote prima che quelle sottoscritte precedentemente siano state interamente liberate2.
La nuova disposizione prevede ora al c. 1 che un aumento di capitale non può essere eseguito finché le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate; al c. 2 specifica che gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione della norma restano salvi, ferma la responsabilità solidale degli amministratori nei confronti dei soci e dei terzi per i danni arrecati.

2. La ratio della norma e il coordinamento con l’art. 2420-bis c.c.
La ratio dell’art. 2438 c.c. è ricondotta dalla tesi prevalente, seppur con diverse sfumature, ad un generale sfavore verso la costituzione di un patrimonio formato da crediti nei confronti dei soci (crediti che potrebbero risultare di difficile realizzazione), al fi ne di garantire un equilibrato ricorso alle fonti di finanziamento, nonché al fi ne di impedire abusi da parte dell’organo amministrativo e dei soci di maggioranza3; si intende soprattutto evitare che la società proponga un’immagine falsa della propria situazione finanziaria sollecitando nuove operazioni sul capitale4.
La norma, come modificata dalla riforma, attenua la portata del divieto in quanto consente ora di deliberare un aumento di capitale, ossia di programmare la raccolta delle sottoscrizioni, anche quando il precedente aumento di capitale sia stato eseguito, ma non interamente liberato5. L’organo amministrativo ha il dovere di non dare esecuzione alla delibera fino a che le azioni precedentemente emesse non siano interamente liberate.
L’interpretazione è confermata dalla corrispondente norma in materia di s.r.l., l’art. 2481, c. 2, c.c. (che vieta l’attuazione della decisione di aumento del capitale in presenza di un precedente aumento non completamente liberato). Non è stata invece modificata la disposizione in tema di emissione di obbligazioni convertibili (art. 2420-bis c.c.), che continua a prevedere che la deliberazione di emissione del prestito convertendo non può essere adottata se il capitale sociale non è stato integralmente versato. Si tratta, secondo la tesi prevalente, di un difetto di coordinamento. Già prima della riforma si giungeva, da parte della dottrina e con riferimento alla delibera ex art. 2420-bis, c. 1, prima parte, c.c., alla conclusione ora prevista dal nuovo art. 2438 c.c. (divieto di eseguire la delibera)6; inoltre il divieto ex art. 2420-bis, c. 1, prima parte, c.c. è finalizzato a impedire l’elusione, attraverso l’emissione di un prestito obbligazionario convertibile, degli stessi interessi tutelati dall’art. 2438 c.c.7. Il mancato coordinamento tra la norma in commento e l’art. 2420-bis, c. 1, prima parte, c.c. può essere quindi risolto in via sistematica dall’interprete: anche l’aumento di capitale a servizio del prestito e, secondo alcuni, l’emissione delle obbligazioni possono essere deliberati nel caso in cui il capitale sociale non risulti interamente versato, fermo restando il divieto di esecuzione della delibera (e quindi, ad es., il divieto di emettere i titoli, ossia obbligazioni convertibili o warrant)8.
Secondo altri, invece, tale disposizione vieta la stessa delibera di aumento (e la contestuale decisione di emissione delle obbligazioni), in quanto la protezione dell’obbligazionista come creditore (fi no al momento della conversione) deve essere più incisiva rispetto a quella del sottoscrittore di un aumento del capitale9; del resto la società non può limitarsi a deliberare l’aumento del capitale sociale e la contestuale emissione delle obbligazioni, perché nel caso dell’art. 2420-bis c.c. – a differenza dell’art. 2438 c.c. – l’organo amministrativo non ha il potere-dovere di attendere a dare esecuzione all’aumento (al servizio della conversione) fi no all’integrale liberazione delle azioni precedentemente emesse: gli obbligazionisti, infatti, hanno il diritto di convertire le obbligazioni alle scadenze previste dal regolamento del prestito, e la società non può rifiutare l’emissione delle relative azioni.
In ogni caso, anche alla luce del nuovo testo dell’art. 2438 c.c., la clausola comunemente inserita nei verbali assembleari di aumento del capitale, secondo cui il presidente dell’assemblea attesta che il capitale sociale risulta interamente sottoscritto e versato, appare utile (sebbene non è più necessaria per la deliberazione assembleare), perché chiarisce che il nuovo aumento di capitale risulta immediatamente eseguibile10.

3. Il primo comma: l’ambito di operatività del divieto…
La norma impedisce l’esecuzione di un aumento di capitale quando le azioni precedentemente emesse non risultano interamente liberate, ossia quando non è stato versato l’intero conferimento in danaro11.
Innanzitutto risulta opportuno distinguere emissione delle azioni ed esecuzione dell’aumento del capitale. La prima individua il momento in cui viene creata la partecipazione sociale (v. anche art. 2346 c.c.), momento che, dal punto di vista del rapporto società-socio e come si vedrà nel commento all’articolo seguente, coincide con la sottoscrizione (di una parte) dell’aumento del capitale; la sottoscrizione vincola colui che la esegue e la società, e costituisce la «causa» della creazione della partecipazione azionaria, che può poi (eventualmente) concretizzarsi in un titolo azionario12.
Un’interpretazione diversa, che distingua la sottoscrizione dell’aumento di capitale, intesa come nascita del vincolo tra sottoscrittore e società, rispetto all’emissione delle azioni, intesa come creazione della partecipazione sociale, potrebbe sostenersi sulla base di un argomento strettamente letterale, ossia osservando che il secondo comma della norma in commento stabilisce che «restano…salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del precedente comma». Potrebbe quindi sostenersi che la norma pone un vincolo solo nei casi in cui vi sia stata o vi debba essere l’emissione materiale dei titoli azionari, al fi ne di tutelare la circolazione in forma cartolare.
Al di là dei significati che può assumere, nelle diverse disposizioni normative, il termine «emissione» delle azioni13, l’interpretazione letterale proposta non appare convincente, in virtù delle diverse modalità di rappresentazione delle partecipazioni azionarie ex art. 2355 c.c. (emissione o meno dei titoli azionari; azioni dematerializzate), che non paiono giustificare (almeno nel caso della circolazione dei titoli e delle azioni dematerializzate) una conclusione diversificata, che renda applicabile solo nel caso dei titoli l’art. 2438 c.c.; e in virtù dell’osservazione che il legislatore ha considerato come ipotesi ordinaria la correlazione tra partecipazione azionaria e rappresentazione cartolare della stessa, come confermano numerose norme (in primo luogo l’art. 2346 c.c., ma v. anche gli artt. 2354, 2355 e 2437-bis, c. 2, c.c.)14. Inoltre la ratio dell’art. 2438 c.c. non è (o almeno non è solo) diretta ad impedire una circolazione dei titoli azionari non interamente liberati15. L’azione rileva dunque, ai fini della norma in esame, come partecipazione sociale e non come titolo rappresentativo.
Più complesso appare stabilire cosa significhi il divieto di esecuzione del secondo aumento di capitale e a quali attività di attuazione della delibera questo divieto si estenda. Una volta che l’assemblea (o l’organo amministrativo delegato ex art. 2443 c.c.) ha deliberato il secondo aumento di capitale, e una volta che tale delibera risulta iscritta nel registro delle imprese16, non è chiaro infatti se, in presenza di un precedente aumento non interamente liberato, sia preclusa ogni tipo di attività esecutiva, oppure se vi sia qualche spazio per attività strumentali alla realizzazione della fattispecie di aumento del capitale.
La dottrina che si è occupata finora dell’argomento è orientata a ritenere che non si possa procedere alla raccolta delle sottoscrizioni dell’aumento di capitale, che perfezionano immediatamente il vincolo tra la società e gli aderenti17. Risulta pertanto necessario distinguere tra aumento del capitale con diritto di opzione a favore dei soci e con esclusione del diritto di opzione. Nel primo caso l’esecuzione inizia con la pubblicazione dell’offerta ai sensi dell’art. 2441, c. 2, c.c.: non è consentita l’iscrizione nel registro delle imprese dell’avviso di opzione relativamente al secondo aumento di capitale (altrimenti la società non potrebbe rifiutare la sottoscrizione delle nuove partecipazioni); nel secondo caso l’esecuzione inizia con la sottoscrizione da parte dei terzi individuati dagli amministratori.
Poiché la ratio della norma viene collegata alla necessità di garantire un equilibrato ricorso alle fonti di finanziamento e di impedire abusi da parte dell’organo amministrativo e dei soci di maggioranza, non sembra invece possa costituire esecuzione in senso tecnico la pubblicità della delibera di aumento del capitale («omologazione» notarile e iscrizione nel registro delle imprese), che costituisce solamente un adempimento necessario per l’efficacia della delibera18, così come non costituisce esecuzione in senso tecnico tutto ciò che riguarda la concretizzazione della delibera di aumento di capitale programmato, quale, ad esempio, l’eventuale ricerca dei sottoscrittori (nel caso di aumento con esclusione del diritto di opzione), oppure l’eventuale delibera dell’organo amministrativo che richieda che la futura (ed eventuale) sottoscrizione del nuovo aumento debba rivestire una determinata forma o sia accompagnata da determinati adempimenti materiali19.
Maggiormente dubbia è invece la possibilità di procedere alla raccolta di sottoscrizioni subordinate all’integrale liberazione delle azioni emesse sulla base del o dei precedenti aumenti di capitale, in quanto tale raccolta costituisce indubbiamente esecuzione della delibera e poiché si porrebbe altrimenti in pericolo uno degli obiettivi che la norma vuole impedire (possibili abusi nella gestione della formazione del capitale sociale e della base azionaria della società).

4. …e le fattispecie consentite
In forza di tali considerazioni, in base al nuovo testo dell’art. 2438 c.c. potrà sempre deliberarsi un nuovo aumento del capitale, e quindi, ad esempio: quando le azioni emesse in relazione al precedente aumento di capitale sono state interamente liberate; quando le azioni relative al precedente aumento, pur se sottoscritte, non risultano interamente liberate (ossia è stato versato solo il venticinque per cento o comunque non il cento per cento del conferimento in danaro); quando la delibera relativa all’aumento di capitale precedente risulta ancora inattuata; quando il termine di sottoscrizione relativo ad una precedente delibera non sia ancora decorso; quando è stato deliberato un precedente aumento di capitale con attribuzione di opzioni contrattuali ( warrant) per la sottoscrizione di azioni di nuova emissione20.
Tuttavia la società potrà procedere alla esecuzione della seconda delibera di aumento solo quando le azioni emesse in relazione al precedente aumento di capitale sono state interamente liberate, oppure quando la delibera relativa all’aumento di capitale precedente, ancora completamente inattuata, verrà eseguita successivamente (ad esempio: il primo aumento del capitale è al servizio di un’emissione di obbligazioni convertibili) o dispone che le azioni devono essere interamente liberate contestualmente alla sottoscrizione, in quanto in quest’ultima ipotesi manca il presupposto di operatività del divieto di legge,

Questioni in tema di aumento del capitale “delegato agli amministratori” nella s.r.l.

SOMMARIO: 1. Introduzione: le novità in materia di aumento del capitale sociale nella s.r.l. e la disciplina dell’aumento «delegato» agli amministratori negli altri ordinamenti europei. – 2. L’attribuzione della decisione di aumento del capitale sociale agli amministratori: la tesi prevalente favorevole a configurare un’ipotesi di delega ex art. 2443 c.c. – 3Critica alla tesi prevalente. Diversità della disciplina dalla s.p.a., autonomia statutaria e organizzazione corporativa nella s.r.l. – 4. (Segue): traslazione di competenza, delega in senso stretto e delega tecnica: conseguenze applicative. – 5. Attribuzione agli amministratori della facoltà di aumentare il capitale sociale mediante imputazione di riserve. Mancata indicazione dell’ipotesi nel testo della clausola.

1. Introduzione: le novità in materia di aumento del capitale sociale nella s.r.l. e la disciplina dell’aumento «delegato» agli amministratori negli altri ordinamenti europei. – La disciplina dell’aumento del capitale sociale a pagamento è stata modificata dalla riforma del diritto societario, per quanto riguarda la s.p.a., in particolare con riferimento a due aspetti: da un lato, è stato aggiunto un nuovo caso di esclusione o non spettanza del diritto di opzione per le società con azioni quotate sui mercati regolamentati (art. 2441, comma 4°, seconda parte, c.c.); dall’altro è stato ampliato il possibile contenuto della delega all’organo amministrativo, che può ora comprendere anche la decisione concernente l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione1.
Costituisce invece una (integrale) novità la previsione di una disciplina autonoma e organica dedicata all’aumento del capitale nella s.r.l. 2: gli artt. 2481, 2481 bis e 2481 ter c.c. prevedono infatti un’articolata normativa in luogo del previgente art. 2495 c.c. Quest’ultima disposizione, come è noto, si limitava a rinviare a parte della disciplina della s.p.a., e sulla base del contenuto di tale rinvio si potevano ritenere acquisiti (anche se con qualche voce contraria) i seguenti prìncipi: da un lato la delibera di aumento del capitale sociale a pagamento doveva attribuire ai soci il diritto di sottoscrivere il nuovo capitale, con la sola eccezione dell’aumento del capitale da liberare mediante conferimenti in natura, in cui si ammetteva l’esclusione ex lege del diritto di opzione 3 (e – secondo alcuni – del caso in cui vi fosse una specifica clausola statutaria, inserita all’unanimità, che consentisse l’esclusione del diritto di opzione in ulteriori ipotesi 4; d’altro lato non poteva essere delegata agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, in virtù (così la Relazione al Re, n. 1019) dell’eccezionalità dell’istituto della delega e delle caratteristiche rivestite dalla s.r.l., e in particolare per la più diretta partecipazione dei soci alla gestione della società nonché per l’assenza di esigenze di pronta reazione ad istanze del mercato dei capitali5. Si affermava altresì, con riferimento a questi ultimi aspetti, che il divieto di delega agli amministratori costituisse uno dei pochi casi in cui il legislatore della s.r.l. aveva stabilito una norma imperativa non per la presenza di interessi pubblici da tutelare, ma per ragioni tipologiche 6.
Orbene: i prìncipi considerati pacifici dalla dottrina prevalente risultano entrambi ribaltati dalla riforma del diritto societario, in quanto da un lato è prevista – senza apparenti limiti – la possibilità di escludere o limitare il diritto di sottoscrizione dei soci (art. 2481 bis c.c.); d’altro lato è consentito attribuire all’organo amministrativo la facoltà di aumentare il capitale sociale (art. 2481 c.c.).
Con riferimento a quest’ultimo aspetto – il solo sul quale sarà incentrata la presente indagine – si noti fin da subito che si tratta di una norma che ha già sollevato interrogativi (oltre che in dottrina, che ha dubitato della sua giustificazione 7 nella giurisprudenza e nella prassi italiana 8; nonché è stata oggetto di

analisi da parte di un Collegio arbitrale presieduto dal Maestro cui questo scritto
è dedicato9. Del resto una disposizione siffatta non trova (o trovava) paralleli negli ordinamenti tradizionalmente considerati più vicini.
Infatti né la legge spagnola, né quelle svizzera, portoghese o belga contengono un’espressa previsione relativa alla delega agli amministratori dell’aumento del capitale nella s.r.l. Per lo più, e inversamente, tale facoltà viene esclusa, in considerazione (alla stesso modo di quanto si sosteneva nel vigore della precedente disciplina italiana) delle caratteristiche tipologiche e del ruolo dell’assemblea nella società a responsabilità limitata.
In particolare, la Ley de Sociedades de Responsabilidad Limitada spagnola stabilisce che l’aumento del capitale sociale può essere deciso solo dalla Junta General (art. 76), che ha in materia una competenza esclusiva10. Si esclude altresì la possibilità di attribuire agli amministratori una delega tecnica, volta ad integrare il contenuto della decisione assembleare11. L’unico ruolo attribuito all’organo gestorio è quello di poter offrire le quote non sottoscritte ai terzi qualora i soci non abbiano esercitato né il diritto di sottoscrizione né il diritto di prelazione sull’inoptato (c.d. terzo giro)12. Analogamente la dottrina svizzera ritiene che il rinvio contenuto nella nuova disciplina della GmbH (rinvio alla sola disciplina dell’AG concernente l’aumento ordinario del capitale) costituisca un «qualifiziertes Schweigen», tale da escludere la possibilità di delega dell’operazione all’organo amministrativo13. Analoga è la posizione nell’ordinamento belga14. L’art. 266 del Código das Sociedades Comerciais portoghese, infine, prevede un rinvio alle norme in tema di s.p.a. relative alla facoltà per l’assemblea dei soci di limitare o sopprimere il diritto di opzione nonché alla facoltà di attribuire all’organo amministrativo la delega ad aumentare il capitale sociale; il rinvio sembrerebbe consentire non solo la delega di quest’ultima decisione, ma anche di quella relativa all’esclusione del diritto di opzione15. Tuttavia la dottrina è concorde nel ritenere che le modifiche del contratto sociale sono nelle sociedades por quotas di esclusiva competenza dei soci, sicché pare da escludere la possibilità di delegare agli amministratori l’aumento del capitale (e a maggior ragione l’esclusione del diritto d’opzione)16.
Anche la dottrina tedesca, d’altro lato, riteneva che nella GmbH l’aumento di capitale delegato (o, più correttamente secondo quell’ordinamento, autorizzato) fosse illegittimo, per violazione dell’inderogabile competenza assembleare17, nonché in ogni caso superfluo, data la facilità della convocazione dell’assemblea in tale tipo di società18; anche se non si escludeva che l’assemblea potesse autorizzare l’amministratore, altrimenti incompetente, a procedere alla raccolta delle sottoscrizioni degli eventuali terzi entro un periodo massimo di sei mesi (una volta che, sulla base della delibera dell’assemblea dei soci, fosse stata decisa l’esclusione del diritto di opzione)16. La disciplina è, tuttavia, di…

Appunti sull’art. 2440-bis c.c.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La ratio della disposizione. – 3. Il problema dell’informativa agli azionisti. – 4. L’applicazione residuale dell’art. 2343 c.c. e il significato del divieto di esecuzione del conferimento. – 5. Irrazionalità della limitazione del diritto dei soci al caso dell’aumento di capitale delegato: estensione, in via diretta o analogica, del diritto dei soci previsto dall’art. 2440-bis c.c. all’aumento
deliberato dall’assemblea.

1. L’art. 2440-bis c.c., come noto, è stato introdotto dal d. lgsl. 4.8.2008, n. 142, in attuazione della direttiva 2006/68/CE, e in particolare per tenere conto dell’art. 10-bis, paragrafi 2 e 3, e dell’art. 10-ter, paragrafo 2, della seconda direttiva 77/91/CE (così come inseriti proprio dalla direttiva 2006/68/CE).
Mentre le altre disposizioni introdotte da quest’ultima direttiva sono già state oggetto di indagini approfondite1, l’art. 2440-bis c.c. è rimasto, per lo più, «ai margini» dei commenti. E ciò nonostante la disposizione da un lato sia di rilevante importanza teorica e pratica, in quanto rappresenta un ulteriore ampliamento dell’istituto della delega all’organo amministrativo2, e in quanto si può immaginare che il maggior numero di conferimenti con valutazione semplificata verrà effettuato a seguito dell’aumento del capitale sociale, normalmente deliberato dagli amministratori; d’altro lato l’art. 2440-bis c.c. presenti, anche ad un esame superficiale, molteplici questioni interpretative e imprecisioni tecniche.
Basti pensare, con riferimento alle prime, al significato del divieto di esecuzione del conferimento entro un certo periodo (v. il comma 2°); oppure al problema dell’estensione, o meno, anche all’aumento del capitale non delegato del diritto dei soci di richiedere una valutazione ex art. 2343 c.c., estensione che la disposizione sembrerebbe escludere.
Con riferimento alle seconde (ossia alle imprecisioni tecniche, almeno sulla base dei princìpi e della terminologia finora consolidati3) si può menzionare sia la rubrica della disposizione (Aumento di capitale delegato liberato mediante conferimenti di beni in natura e di crediti senza relazione di stima), che prevede quale oggetto della liberazione mediante conferimenti non in danaro l’aumento del capitale, e non le azioni a fronte di quest’ultimo sottoscritte (cfr., invece, gli artt. 2342, comma 3°, e 2441, comma 4°, c.c.); sia il testo, secondo il quale – tra le altre osservazioni che si potrebbero fare – il conferimento di beni in natura o di crediti viene deliberato (mentre secondo il lessico degli artt. 2438 ss. c.c. ciò che viene deliberato è l’aumento del capitale, che può essere sottoscritto, qualora la decisione lo preveda, anche conferendo beni diversi dal danaro)4.
Ciò che, tuttavia, maggiormente interessa all’interprete sono i problemi applicativi della disposizione, e su alcuni di questi vuole indugiare la presente analisi.

2. L’art. 2440-bis c.c. ha in primo luogo la funzione, comune all’art. 2440 c.c. come modificato dal d. lgsl. 4.8.2008, n. 142, di adattare all’aumento del capitale sociale l’opzionale disciplina c.d. alternativa o semplificata della valutazione dei conferimenti non in danaro (o, se si preferisce, dei conferimenti senza relazione di stima: v. la rubrica dell’art. 2343-ter c.c.5) prevista in tema di costituzione della società; più precisamente, di adattare tale disciplina al caso in cui la facoltà di aumentare il capitale sia stata delegata all’organo gestorio. Pertanto, gli amministratori (e i consiglieri di gestione) devono, al fine della corretta formazione del capitale sociale, accertare che non siano sopravvenuti al momento della delibera consiliare di aumento «fatti eccezionali» o «fatti nuovi rilevanti» che rendano la valutazione del conferimento (e quindi: il prezzo dei valori mobiliari o degli strumenti del mercato monetario; il valore equo ricavato da un bilancio approvato da non oltre un anno; il valore equo determinato da un esperto indipendente e professionale) non più attendibile; accertare, in altre parole, che non siano sopravvenuti fatti che richiedano una stima ex art. 2343 c.c.6.
In secondo luogo, la disposizione ha la specifica funzione di prevedere una disciplina caratteristica (ma, come si vedrà, non in ogni sua parte esclusiva) del solo aumento del capitale sociale delegato.

Da un lato, e come indicato dalla Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, l’art. 2440-bis c.c. (v. il 1° comma) richiede una determinata pubblicità della decisione e della verifica dell’organo gestorio, che consenta ai soci e ai terzi di poter conoscere, prima che il conferimento venga eseguito, che l’organo amministrativo ha deliberato di aumentare il capitale seguendo la procedura di valutazione semplificata7, e così consenta l’informazione su una serie di circostanze relative al conferimento (quelle indicate all’art. 2343-quater, comma 3°, c.c., richiamato dalla norma in commento8). L’organo amministrativo non può, pertanto, immediatamente «dare esecuzione al conferimento»9, ma deve depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese, in allegato al verbale della deliberazione consiliare di aumento, una dichiarazione (come detto con i contenuti di cui all’articolo 2343-quater, comma 3°, c.c.), e con l’indicazione, altresì, della data della delibera10.
D’altro lato, e in stretta connessione, la disposizione (v. il comma 2°) attribuisce ai soci, che rappresentano almeno il ventesimo del capitale sociale, il diritto di richiedere la presentazione di una nuova valutazione ai sensi dell’art. 2343 c.c.11, in attuazione dell’art. 10-bis, 2° comma, ultima parte, della seconda direttiva 77/91/CE (così come inserito dalla direttiva 2006/68/CE). Il Terzo considerando di quest’ultima prevede, infatti, che dovrebbe (sic) essere in ogni caso garantito il diritto degli azionisti di minoranza di esigere la valutazione da parte di un esperto; e l’art. 10-ter, comma 3°, della medesima direttiva richiede che ogni Stato membro preveda garanzie adeguate per assicurare il rispetto della procedura semplificata, tra le quali lo stesso legislatore comunitario include il diritto dei soci ad una valutazione da parte di un esperto indipendente secondo la disciplina comune.

3. La prima questione interpretativa che l’art. 2440-bis c.c. pone è quella della (eventuale) informativa da garantire agli azionisti in relazione alla decisione di aumento del capitale sociale delegato con facoltà di esclusione o limitazione del diritto di opzione (come quasi sempre avverrà a seguito del conferimento di beni non in danaro); qual è, in altre parole, il rapporto tra la decisione dell’organo gestorio e l’informativa garantita ai soci dall’art. 2441, comma 6°, c.c., sia in merito agli interessi sottostanti all’operazione, sia in merito ai criteri di determinazione del prezzo di emissione delle azioni.
Non è un problema che riguarda solo il caso dell’aumento del capitale delegato con conferimenti valutati in modo semplificato, e non è un problema che riguarda solo la disciplina italiana. All’opposto, l’art. 2443 c.c., ossia la norma generale sull’attribuzione della delega, determina notevoli difficoltà nella parte in cui dispone, per i casi in cui all’organo amministrativo sia stata conferita anche la facoltà (ulteriore rispetto a quella di aumentare il capitale) di escludere il diritto di opzione, che «in questo caso si applica in quanto compatibile il sesto comma dell’art. 2441». Inoltre, tale tema ha una risonanza a livello europeo, in considerazione delle difficoltà determinate dal coordinamento della disciplina comunitaria dei conferimenti non in danaro, della delega e dell’esercizio dell’opzione12; ed è un tema che ha avuto degli sviluppi giurisprudenziali importanti, in particolare nell’ordinamento tedesco (casi Siemens/Nold e Mangusta/Commerzbank I)13.
Non risulta, infatti, chiaro se l’applicabilità della tutela di tipo informativo e procedimentale disposta dall’art. 2441 c.c. si riferisca alla delibera assembleare di delega, alla delibera consiliare di esecuzione della delega o ad entrambe, e al quesito sono state già date, nei contributi pubblicati, risposte diverse14.
In argomento pare preferibile la tesi secondo cui in sede di delibera assembleare di delega l’organo amministrativo possa limitarsi ad illustrare in assemblea, con una propria relazione (dal contenuto diverso e più sintetico rispetto a quello della relazione prevista dalla norma citata), la proposta di aumento del capitale, che determini, in astratto, le ragioni dell’esclusione del diritto d’opzione, in modo tale che l’assemblea possa deliberare di delegare anche la facoltà di escludere il diritto degli azionisti, indicando i relativi criteri15; la relazione illustrativa dell’organo amministrativo, il parere di congruità dell’organo di controllo (o, per chi lo ritiene, del revisore legale) e l’eventuale relazione di stima devono, invece, essere predisposti (e, pare preferibile, come si dirà tra un attimo, depositati) in occasione della delibera consiliare di esercizio della delega. Infatti, e tra l’altro, non avrebbe senso l’attribuzione della delega, se già i presupposti dell’aumento dovessero essere cristallizzati nei documenti previsti dall’art. 2441, comma 6°, c.c., da depositare prima dell’assemblea che conferisce la delega (che potrebbe essere di molto anteriore all’esercizio della stessa)16. Quest’ultima conclusione risulta altresì conforme…

Il fallimento della società estinta

SOMMARIO: 1. La disciplina dell’estinzione della società e le nuove ipotesi di cancellazione dal registro delle imprese. -2.  L’art. 10 1. fall. e (alcuni) problemi conseguenti. – 3. Questioni in tema di fallimento di società di persone estinte. – 4. Il fallimento delle società non iscritte nel registro delle imprese. – 5. La tutela dei creditori prima della iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese e dopo tale iscrizione. La responsabilità dei liquidatori per debito o per danni.

1. La disciplina dell’estinzione della società e le nuove ipotesi di cancellazione dal registro delle imprese. A seguito del nuovo art. 2495, 2° comma, c.c. si deve ritenere certo che la società (per lo meno di capitali (1) sia da considerarsi estinta con l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e la successiva iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese (2).
Non si può quindi più sostenere, come faceva la giurisprudenza prevalente nel vigore della precedente norma dell’art. 2456 c.c., che la società continui ad esistere finché tutti i rapporti ad essa facenti capo, siano essi attivi o passivi, sostanziali o processuali, non siano stati completamente definiti (3). Il legislatore, con l’inserimento dell’inciso “ferma restando l’estinzione della società” nel 2° comma dell’art. 2495 c.c., ha in sostanza accolto l’indirizzo decisamente prevalente in dottrina secondo il quale la società come soggetto di diritto deve considerarsi estinta dal momento dell’attuazione della pubblicità nel registro delle imprese, mediante iscrizione del fatto estintivo (la cancellazione della società). Tale conclusione deve ritenersi ferma anche qualora la società sia stata cancellata in presenza di debiti non soddisfatti e di rapporti processuali pendenti (4): non avrebbe altrimenti senso il nuovo art. IO I. fall. che, come vedremo, assoggetta l’ente estinto a fallimento per un anno dalla data dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese (considerare  che la norma sia stata pensata solo per l’ipotesi in cui sopravvengano debiti successivamente alla cancellazione pare, infatti, poco convincente, pur se è vero che l’insolvenza può dipendere anche da fatti  successivi  all’iscrizione della cancellazione); non avrebbe altrimenti senso il nuovo art. 2490 c.c., che prevede l’iscrizione della cancellazione d’ufficio.
Rimane aperto il problema della natura della responsabilità dei soci (art. 2495, 2° comma, c.c.) a seguito dell’estinzione dell’ente (5) (problema che ha rilevanti, e – se non inteso correttamente – inquietanti, effetti processuali (6); in relazione al momento dell’estinzione dell’imprenditore collettivo è stata però fatta chiarezza (anche la giurisprudenza della Cassazione ha da ultimo mutato il proprio granitico orientamento precedente) (7).
Successivamente alla riforma del diritto societario, che ha chiarito il collegamento tra cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione della società, si è verificata una proliferazione di norme in tema di iscrizione della cancellazione delle società dal registro delle imprese.
Già il legislatore delegato aveva introdotto, con riferimento alle società di capitali, due ipotesi di iscrizione d’ufficio della cancellazione nel registro delle imprese, una delle quali si verifica nel caso di mancanza di un’attività liquidativa: il mancato deposito del bilancio in fase di liquidazione (ex art. 2490, I O comma, c.c.) per tre anni consecutivi determina, ai sensi dell’art. 2490, 6° comma, c.c., l’obbligo per l’ufficio del registro delle imprese di provvedere alla iscrizione della cancellazione della società «con gli effetti previsti dall’art. 2495 c.c.» (8) Inoltre, ai sensi dell’art. 223 quater, 2° comma disp. att., nel caso di iscrizione della società nel registro delle imprese avvenuta senza l’autorizzazione di cui all’art. 2329, numero 3), c.c. l’autorità competente al rilascio di tale autorizzazione può proporre istanza per la «cancellazione della società dal registro»; tuttavia, nel caso di accoglimento dell’istanza da parte del tribunale, si applica l’art. 2332 c.c., e quindi la procedura da seguire per il caso di nullità della società. Sembra quindi che la norma si esprima in realtà impropriamente e non regoli direttamente un’ipotesi di estinzione in seguito all’iscrizione della cancellazione, bensì di scioglimento della società (9), con nomina dei liquidatori da parte del tribunale (art. 2332, 4° comma, c.c.) e successiva liquidazione ed estinzione (10)

A queste disposizioni hanno fatto seguito:
– il d.p.r. n. 247 del 23 luglio 2004, che, con riferimento alle società di persone, ha previsto (all’art. 3) l’avvio del procedimento (definito) di cancellazione della società qualora si verifichi una delle cinque ipotesi stabilite in tale articolo 11, previa audizione degli amministratori ed eventuale nomina del liquidatore da parte del Presidente del Tribunale; già la dottrina 12 ha evidenziato le peculiarità di questo  decreto, che (solo per fare un esempio) considera la mancata ricostituzione dei soci nel termine di sei mesi una causa di apertura del procedimento d’ufficio di cancellazione (e non di scioglimento e liquidazione). Anche in questo caso – come in quello già menzionato, dell’art. 223 quater, 2° comma, disp. att. – può ritenersi che il d.p.r. preveda in realtà un procedimento d’ufficio di apertura della liquidazione con conseguente cancellazione all’esito del procedimento 13;
– la norma dell’art. 1, III° comma, Ln.296 del 2006 (legge finanziaria), che prevede la cancellazione delle società di comodo ai fini di fruire della disciplina fiscale di favore;
– infine, introdotto dalla legge di riforma del diritto fallimentare del 2006, l’art. 118, 2° comma, I. fall. prevede l’iscrizione automatica della cancellazione nel registro delle imprese della società in caso di chiusura del fallimento. La norma, già si era sottolineato in dottrina 14, doveva es­ sere interpretata restrittivamente (nel senso che il curatore potesse procedere all’iscrizione della cancellazione solo quando ve ne fossero i presupposti: ad es. per mancanza di attivo); altrimenti – sulla base della lettera della disposizione – si sarebbe giunti all’assurda conclusione di dover disporre sempre automaticamente l’estinzione della società, anche qualora la chiusura del fallimento fosse derivata dal soddisfacimento integrale dei creditori o dalla mancanza di domande di ammissione al passivo. Nel senso auspicato si è poi espresso il d.lgsl. n. 169 del 2007, che ha specificato nel testo della norma che solo in caso di ripartizione finale dell’attivo o di mancanza di quest’ultimo il curatore deve chiedere l’iscrizione della cancellazione.

La forma e il trasferimento della partecipazione sociale

SOMMARIO: 1. Il trasferimento di partecipazioni nella coop-s.r.l.: il problema – 2. Il   significato   del   rinvio   alle   norme   in   tema   di   s.r.l.   –   3.1.   La rappresentazione delle partecipazioni sociali – 3.2. Quote e azioni di coop s.r.l. – 4. La circolazione delle partecipazioni del socio cooperatore: forma del contratto e pubblicità – 5. L’autorizzazione degli amministratori e l’autonomia statutaria – 6. L’iscrizione nel libro dei soci e la pubblicità dell’elenco dei soci.

1. Il trasferimento di partecipazioni nella coop-s.r.l.: il problema

Il Codice civile non contempla una disciplina specifica della circolazione delle partecipazioni del socio cooperatore con riferimento alle imprese mutualistiche disciplinate, in via residuale, dalle norme sulla società a responsabilità limitata (v. gli artt. 2519, co. 2, e 2522, co. 2, c.c.).
Il legislatore si è infatti limitato a prevedere una norma (l’art. 2530 c.c.) di portata generale, ossia applicabile a tutte le cooperative a prescindere dal rinvio alle norme della s.p.a. o della s.r.l., e che regola gli effetti del trasferimento inter vivos nei confronti della società. In particolare tale disposizione disciplina le modalità di rilascio dell’autorizzazione al trasferimento, riservata all’organo amministrativo (rafforzando, rispetto al previgente art. 2523 c.c., la posizione dei soci partecipanti alla cessione nei confronti della società), e consente altresì di prevedere nello statuto una clausola che vieti il trasferimento delle partecipazioni (legittimando i soci all’esercizio del diritto di recesso a certe condizioni). Sotto altro profilo gli artt. 2521, co. 3, n. 4, e 2525 c.c. stabiliscono che il capitale sociale della cooperativa possa essere ripartito in quote o in azioni, non specificando quale sia la disciplina applicabile alle società in esame.
Tali disposizioni lasciano pertanto aperti, con riferimento alla coop-s.r.l., una pluralità di aspetti problematici, che principalmente possono essere riassunti nei seguenti termini: in primo luogo, se siano necessariamente applicabili ed entro quali limiti a tale società le disposizioni in tema di s.r.l., e quindi se le  partecipazioni debbano essere rappresentate da quote o possano essere rappresentate anche da azioni, e quale sia la loro modalità di circolazione; in secondo luogo, se la previsione dell’autorizzazione al trasferimento affidata dalla legge all’organo amministrativo sia influenzata o meno dal richiamo alle norme della s.r.l., e quindi quali siano gli spazi per  l’autonomia statutaria nella circolazione delle partecipazioni dei soci cooperatori.

2. il significato del rinvio alle norme in terna di s.r.l.

Secondo l’interpretazione più convincente il rinvio alla disciplina della s.r.l., contenuto negli artt. 2519, co. 2, e 2522, co. 2, c.c. per le cooperative con un numero non elevato di soci in conformità a quanto richiesto dalla legge delega (1), opera solo a condizione che manchi una disciplina nel titolo VI del libro V del Codice civile e che tale rinvio risulti compatibile con le peculiarità dell’impresa mutualistica (2). In altre parole: il legislatore ha inteso consentire il rinvio o il richiamo alle norme (3) del tipo s.r.l. per le cooperative con compagine sociale ristretta al fine di ampliarne gli spazi di autonomia statutaria (4), ma solo qualora manchi un’espressa regolazione e le norme della società lucrativa risultino compatibili con l’ordinamento cooperativo; non ha invece inteso creare un nuovo tipo o un subtipo di società cooperativa (la coop-s.r.l.), come emerge altresì dall’art. 2515 c.c., che non impone di integrare la denominazione sociale con l’indicazione del tipo di società lucrativa di riferimento.
La considerazione, ai fini dell’esame del tema in oggetto, è di rilevanza centrale: qualora, infatti, si ritenesse la cooperativa modellata dal richiamo alla s.r.l. un tipo o subtipo di società (5), distinta dalla coop­ s.p.a. e caratterizzata dal richiamo diretto (senza alcun filtro) alle norme che individuano il tipo disciplinato. dagli artt. 2462 ss. C.c., ne deriverebbe l’applicazione necessaria degli artt. 2468, 2469 e 2470 c.c. in quanto disposizioni imperative; da tale premessa conseguirebbe l’inderogabilità della rappresentazione della partecipazione cooperativa come quota, la necessità di osservare il procedimento di trasferimento della quota introdotto per la s.r.l. dalla I. 12 agosto 1993, n. 310, nonché l’applicazione, quale criterio risolutivo dei conflitti tra più acquirenti della medesima partecipazione, dell’art. 2470, co. 3, c.c.
Come si è detto la soluzione contraria a tale applicazione diretta appare preferibile, perché consente di tenere conto delle peculiarità della società cooperativa e ciò sia nel caso di applicazione delle norme della s.r.l. in virtù di una libera scelta dell’atto costitutivo (art. 2519, co. 2, c.c.), sia nel caso di applicazione necessaria alla luce del numero esiguo dei soci (art. 2522, co. 2, c.c.) (6). Lo schema organizzativo della società lucrativa, come è stato efficacemente scritto, deve tenere conto, anche nel caso della s.r.l., dei due principi cardine del fenomeno cooperativo, ossia quello strutturale della variabilità del capitale sociale e (soprattutto) quello teleologico della mutualità (7).
Con specifico riferimento al tema indagato, deve ulteriormente osservarsi che l’art. 2530 c.c. è una disposizione peculiare dell’impresa mutualistica, che (tra l’altro) evidenzia come la circolazione della partecipazione dei soci cooperatori (circolazione che di per sé ha carattere interindividuale) assume rilievo organizzativo in virtù della rilevanza del socio in funzione del perseguimento dello scopo mutualistico (8) Le partecipazioni dei soci cooperatori, in virtù della loro caratterizzazione personalistica (attestata anche dalla norma sul trasferimento mortis causa, ossia dall’art. 2534 c.c.), sottostanno ad un regime    di.   circolazione    proprio, limitato    dal   vincolo    legale dell’autorizzazione da parte degli amministratori, e tale disciplina costituisce un elemento essenziale della procedura di trasferimento (9).
L’art. 2530 c.c. rappresenta dunque una di quelle disposizioni che delineano il contenuto strutturale che caratterizza la cooperativa rendendo neutro, nei limiti che si vedranno nel prosieguo, l’eventuale cambiamento del rinvio alle disposizioni del tipo capitalistico di riferimento (s.p.a. o s.r.l.).
La conclusione raggiunta circa la peculiarità dell’ordinamento cooperativo in tema di trasferimento della posizione di socio impone in ogni caso un’indagine molto puntuale al fine di valutare quale sia la disciplina che risulta dall’applicazione congiunta dei corpi normativi con riferimento alla coop-s.r.l.

3.1. La rappresentazione delle partecipazioni sociali

L’art. 2530 c.c. è inserito in una sezione dal titolo «Delle quote e delle azioni» ed indica, sia nella rubrica che né! testo, le modalità di trasferimento della quota o delle azioni.
Si è dunque posto il dubbio se tale norma consenta la rappresentazione delle partecipazioni sociali, nella coop-s.r.l., sia come azioni sia come quote, oppure se il richiamo all’applicazione delle disposizioni della s.r.l. comporti, in forza dell’art. 2468 c.c., la necessaria rappresentazione della partecipazione come quota1°.
Le considerazioni del precedente paragrafo depongono in via immediata a favore dell’accoglimento della prima tesi: gli artt. 2519, co. 2, e 2522, co. 2, c.c. stabiliscono la prevalenza della disciplina dell’ordinamento cooperativo su quella del tipo lucrativo applicabile in via residuale e legittimano l’applicazione della disciplina della s.r.l. solo in presenza di un vuoto normativo (e con il filtro della compatibilità). Orbene: poiché nel   caso   di specie   vi sono   più disposizioni che sono comuni a tutte le cooperative e che fanno riferimento   sia   alle   quote   sia   alle   azioni   quali   modalità   di…

L’aumento di capitale “garantito”

SOMMARIO: 1. L’operazione: il rilascio cli dichiarazioni e garanzie patrimoniali-reddituali da parte della società nel caso di aumento del capitale. –  2. Le soluzioni al problema ne­ gli altri ordinamenti. – 3. Casi di responsabilità della società e risarcimento o indennizzo a favore del socio: in particolare il dibattito sulla responsabilità da prospetto. – 4. Compatibilità della prestazione delle garanzie contrattuali da parte della società con il divieto di restituzione ai soci dei conferimenti (e del soprapprezzo) e di patto leonino. – 5. Compatibilità delle clausole con il divieto di assistenza finanziaria. – 6. Ulteriori considerazioni: causa societatis del rapporto e limiti all’operazione. – 7. “Impugnazione” del ·”contratto di sottoscrizione” o sottoscrizione di azioni proprie da parte della società? Possibili soluzioni alternative per effettuare l’operazione.

1. Non sono rari nella prassi nazionale e internazionale i casi in cui la società per azioni che è in procinto di aumentare il proprio capitale so­ cale stipuli _con un terzo non ancora azionista un contratto con il quale, a fronte dell’impegno del terzo a sottoscrivere il programmato aumento di capitale (con esclusione del diritto d’opzione dei vecchi azionisti), la società presti garanzie contrattuali relative, oltre che alle partecipazioni che sa, ranno emesse, al sottostante patrimonio sociale. Si tratta delle clausole di rappresentazione e garanzia (spesso definite direttamente con la terminologia degli ordinamenti da cui sono state mutuate, ossia rèpresentations and warranties), che Costituiscono ormai elemento naturale dei contratti di vendita della partecipazione di “controllo” e che sono già state analizzate dà parte della dottrina e della giurisprudenza: con tali previsioni la società si impegna a indennizzare il terzo nel caso in cui le partecipazioni emesse a fronte dell’aumento di capitale e (soprattutto) il patrimonio della società non presentino determinate caratteristiche oppure nel c o    in cui si verifichino eventi che comportano dei rilevanti effetti sfavorevoli sulla situazione aziendale (1). L’opportunità dell’inserimento delle dichiarazioni e garanzie nei contratti di vendita del “controllo” si giustifica, come noto, in base all’interpretazione secondo cui costituiscono vizi e difetti oggetto della tutela legale (artt. 1478 ss.) solo quelli che riguardano le azioni come titoli di partecipazione·, e non invece quelli che inficiano la consistenza patrimoniale della società. In termini sintetici, costituisce un vizio o difetto delle azioni che permette all’acquirente di avvalersi della garanzia della vendita solo, ad esempio, la circostanza che siano trasferite azioni a voto limitato, anziché ordinarie, oppure azioni sulle quali insistano vincoli che non con­ sentono il pieno· esercizio dei diritti sociali; non invece la mancanza, nel patrimonio della società, di un determinato brevetto, di un certo immobile, di un particolare contratto (2). A fronte di questa prevalente e restrittiva interpretazione – che forse è tempo sia oggetto di ripensamento – Si è sviluppata la prassi di inserire nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di partecipazioni totalitarie o di “controllo” a qualunque titolo (si tratti di vendita, oppure di permuta, di conferimento, di scissione, ecc.) determinate clausole volte a tutelare l’avente causa, in modo tale da assicurare che il bene oggetto dello scambio presenti specifiche caratteristiche (e in partico­ lare che nel patrimonio della società vi siano quel diritto di proprietà industriale, un determinato immobile privo di vizi, ecc.). Per il compratore non è infatti sufficiente che le azioni come titoli di partecipazione siano immuni da vizi, ma è necessario che il patrimonio della società (che è ciò che più interessa) presenti determinati requisiti la cui sussistenza venga dichiarata e/o garantita dal venditore (in mancanza, ai sensi dell’interpretazione esposta, di una diretta tutela ex lege).
Nell’aumento del capitale le clausole di rappresentazione e garanzia vengono anzitutto in discussione ·quando vi è l’ingresso di un nuovo socio che “finanzia” la società con capitale di rischio nell’ambito di operazioni di venture capital. Il terzo si impegna preventivamente a sottoscrivere il fu­ turo aumento (e spesso anche a rimanere socio per un determinato periodo di tempo); ma pretende che vi sia la prestazione delle menzionate dichiara­ zioni e garanzie sulle partecipazioni e sulla situazione patrimoniale, e che esse siano assunte anche dalla società, e non solo dai soci (3): questa richiesta si giustifica o perché nessuno dei vecchi soci è disposto a prestarle personalmente, o perché l’investitore non si ritiene sufficientemente garantito dal patrimonio di tali soci (4).
Per le medesime ragioni la prestazione di garanzie da parte della società viene richiesta nel caso di operazioni più complesse, volte a determinare in senso economico la riunione di più imprese (c.d. business combination): da un lato può avvenire che, a fronte dell’aumento di capitale, il terzo si impegni a conferire la propria azienda attiva nello stesso settore (5); dall’altro può accadere che vi sia –   anche per la convenienza fiscale dell’operazione – una sostanziale permuta di quote. In quest’ultimo caso le azioni emesse a fronte dell’aumento di capitale vengono utilizzate per acquisire (non direttamente l’azienda ma) la partecipazione di “controllo” della società che si intende integrare, con la conseguenza che il socio di riferimento di quest’ultima riceve a fronte del conferimento le partecipazioni della società che dà corso all’aumento (6).
Le operazioni così congegnate pongono, dal punto di vista del diritto societario, alcune delicate questioni, che attengono non solo all’attuazione dell’aumento  di capitale  (ad es.: limiti all’esclusione del  diritto di opzione ex art. 2441 e.e.; limiti alla delega all’organo amministrativo per l’esecuzione dell’operazione alla luce del nuovo art. 2443 e.e.; informativa  ai soci di minoranza; ecc.) (7); ma anche alla validità ed efficacia delle dichiara­ zioni e garanzie prestate dalla società che procede all’aumento a favore del sottoscrittore (o del consorzio delle banche che si impegna a sottoscrivere e collocare le azioni sul mercato. (8)). Quest’ultimo profilo –   diversamente dal primo – non è stato oggetto di specifica analisi nella letteratura (italiana) e merita un approfondimento.

2. Il tema è stato particolarmente studiato in Francia, in Germania e in Inghilterra, anche se a quanto risulta non è ancora stato affrontato direttamente dalla giurisprudenza.
Nell’ordinamento transalpino si è concluso in linea di principio per la validità delle clausole che contengono le menzionate dichiarazioni e garanzie; l’impressione è tuttavia che l’argomento sia stato trattato in modo piuttosto superficiale. Le regole che in astratto potrebbero risultare violate dal­ le operazioni in questione sollo, per gli autori francesi, – gli artt. 225-128 e 225-216, alinea I, code de commercè. La prima disposizione vieta l’emissione delle azioni ad un prezzo inferiore al loro valore nominale (come il previgente art. 2346 e.e. (9)): cori le dichiarazioni e garanzie in esame il socio riceverebbe, a seguito del verificarsi della sopravvenienza passiva e della conseguente prestazione dell’indennizzo, un “rimborso” di parte del conferimento; tale rimborso potrebbe-comportare in sostanza un’emissione sotto la pari. Si è tuttavia osservato che le clausole in esame devono ritenersi valide, purché mantengano il tetto all’indennizzo (che eventualmente, e quindi in caso di non corrispondenza del patrimonio sociale o di sopravvenienze passive, dovrà essere versato al terzo) nei limiti del soprapprezzo (10); ossia purché l’importo indennizzabile (il  c.d. cap), che costituisce la Soglia quantitativa massima alle prestazioni di garanzia, venga convenzionalmente predeterminato in modo da non superare l’entità della somma versata dal nuovo socio a titolo di soprapprezzo (li). Nell’ordinamento francese, infatti, il soprapprezzo è a disposizione degli azionisti che lo possono utilizzare come una “riserva libera” (12): il divieto di emissione delle azioni sotto il valore nominale non verrebbe dunque violato, in quanto l’indennizzo sarebbe al massimo limitato alla somma versata a titolo di soprapprezzo (13). Secondo una tesi più “morbida” l’indennizzo potrebbe altresì superare il soprapprezzo; in quanto la prestazione di garanzia non determina una revisione del prezzo di emissione delle partecipazioni socia­ li, ma comporta per la società un’obbligazione autonoma e indipendente, quella di indennizzo, che non può costituire in quanto tale violazione del divieto dell’emissione sotto la pari (14).
L’art. 225-216, alinea I, code de commerce statuisce d’altra parte che la società non può co cedere una garanzia in vista della _sottoscrizione o dell’acquisto di proprie azioni da parte dei terzi (divieto di financial assistance). Tuttavia, osservano gli autori francesi, le warranties in esame da  un lato hanno lo scopo non già di garantire il pagamento di un debito contratto per l’acquisto delle partecipazioni, ma solo di garantire al terzo determinate caratteristiche di quest’ultime o del patrimonio sociale (15); dall’altro costituiscono pattuizioni autonome, e non un’obbligazione accessoria in favore del garantito (16). Da ciò consegue –   per gli autori in esame –    che la prestazione da parte della società delle clausole di garanzia non viola neppure la norma citata, nonostante la dottrina francese si esprima per lo più in senso favorevole ad un’interpretazione estensiva della nozione di garanzia che il divieto di assistenza finanziaria vuole impedire (17).
Ben altro approfondimento è stato riservato al tema dalla dottrina tedesca, la quale è pervenuta ad una conclusione tendenzialmente negativa in merito alla validità delle dichiarazioni e garanzie in esame.
In primo luogo, si è osservato che clausole siffatte violano la norma (§ 57 Abs. I AktG) che vieta la restituzione ai soci dei conferimenti (18): tale disposizione proibisce, a pena di nullità, ogni forma diretta o indiretta di prestazione restitutoria da parte della società che trovi il proprio fondamento nella qualità di socio della controparte; rileva, a tal fine, anche l’attribuzione patrimoniale che trova causa nella futura qualità di socio (19).
Al riguardo si è obiettato, al fine di salvare la validità dell’operazione, che la prestazione delle garanzie in esame non è giustificata dalla qualità di (futuro) socio del sottoscrittore, ma costituisce una prestazione comune del venditore nel caso di alienazione di partecipazioni sociali. Poiché sono sottratti al divieto imposto dalla norma del § 57 AktG i negozi conclusi tra la società e un socio (presente o futuro) at arm’s length, ossia i negozi che un diligente amministratore avrebbe concluso nelle stesse circostanze alle medesime condizioni sul mercato con un non azionista (20), tali clausole non rappresenterebbero un’attribuzione patrimoniale vietata dal § 57 AktG; del resto hanno lo scopo di  assicurare il  rapporto  di equivalenza tra  apporto (sia esso un’azienda; un pacchetto di controllo; un know-how del sottoscrittore), da un lato, e il valore dell’investimento, dall’altro (21). L’obiezione è però oggetto di critica, in quanto –   si è sostenuto –   pare confondere il piano dei rapporti contrattuali tra le parti e le regole sul mantenimento del capitale sociale (e salvo che si ritengano violati, come da parte di alcuni si sostiene, addirittura i principi sulla corretta formazione del capitale sociale) (22).

Clausole di esclusione e patti parasociali: giurisprudenza tedesca e art. 2473-bis c.c.

BGH, 14 marzo 2005 – II ZR 153/03 (OLG Frankfurt am Main), in ZIP, 2005, 706 ss.

Esclusione del socio di società a responsabilità limitata a seguito dello scioglimento di un contratto di cooperazione stipulato dalla società con tale socio – Nullità della delibera di esclusione per mancanza di un motivo oggettivo – Non sussiste.
(BGB §§ 138; 737; GmbHG § 34)

La previsione del diritto di escludere un socio da una società a responsabilità limitata senza un motivo oggettivo specifico, ma a seguito del semplice venir meno di un altro rapporto collegato al rapporto sociale, deve ritenersi in generale nulla in quanto contraria al buon costume. Tale previsione è però legittima nel caso in cui lo statuto preveda quale motivo dell’esclusione lo scioglimento di liii contratto di cooperazione stipulato dalla società con il socio e che riveste importanza prevalente rispetto al rapporto sociale (Massima non ufficiale).

BGH, 19 settembre 2005 – II ZR 173/04 (OLG Frankfurt am Main), in WA,f, 2005, 2043 ss.

Opzione di acquisto della quota del socio di società a responsabilità limitata a seguito della cessazione dall’incarico di amministratore della società –  Nullità della clausola per contrasto con la disciplina dell’esclusione del socio – Non sussiste.
(BGB § 138)

La previsione del diritto di escludere un socio da una società a responsabilità limitata senza un motivo oggettivo specifico deve ritenersi nulla in quanto contraria al buon costume anche se convenuta in un patto parasociale. Tale previsione è però legittima in casi particolari, ad esempio qualora la partecipa­ zione sociale sia stata attribuita a seguito dell’assunzione dell’incarico di amministratore della società, e si sia contestualmente pattuito che la cessazione di tale incarico determini il diritto di opzione, a favore di un altro socio, all’acquisto della partecipazione sociale (Massima non ufficiale).

Clausole di esclusione e patti parasociali: giurisprudenza tedesca e art. 2473-bis e.e.

1. Il caso

La prima decisione pubblicata concerne la legittimità di una clausola contenuta nello statuto di una GmbH che prevede la possibilità di deliberare l’esclusione di un socio al venir meno di un contratto di cooperazione tra la stessa società ed il socio.
La s.r.l. oggetto della controversia gestiva la cooperazione internazionale nella prestazione di (non specificati) servizi ed aveva come soci i singoli partner nazionali, i quali a loro volta erano vincolati alla società da un contratto a tempo indeterminato (che prevedeva la facoltà di recesso con preavviso o per giusta causa dell’una e dell’altra parte). Orbene: la società deliberava di recedere con preavviso dal contratto di cooperazione con il partner spagnolo, e a ciò faceva seguito la decisione di esclusione del medesimo dalla s.r.l., delibera successivamente impugnata dal socio. Il BGH riconosce la legittimità della clausola di esclusione, in quanto ritiene non applicabile al caso concreto la propria giurisprudenza consolidata che sanziona con la nullità le clausole di esclusione non ancorate ad un motivo oggettivo specifico (v. infra, par. 3). La Suprema Corte tedesca osserva che da un lato la delibera di esclusione consegue al venir meno di un contratto di cui è  parte la società, e risulta quindi giustificata da tale evento; dall’altro lato la decisione circa il recesso dal contratto di cooperazione spetta alla s.r.l., e non al voto determinante di uno dei soci (poiché nel caso concreto nessuno di quest’ultimi era in grado di esprimere da solo la maggioranza). Pe1tanto da ciò consegue la liceità della clausola nonché dell’esercizio del diritto di esclusione. Il BGH sottolinea inoltre, in via generale, la strumentalità che la partecipazione sociale (e quindi il contratto di società) può rivestire in dete1minate ipotesi rispetto ad un altro rapporto contrattuale, sicché una volta risolto quest’ultimo può legittimamente provvedersi allo scioglimento anche del primo (limitatamente ad un socio).
La seconda sentenza in commento costituisce una decisione particolarmente attesa nell’ambiente giuridico tedesco, in quanto nel corso del 2004 erano state pubblicate due sentenze di merito che si erano pronunciate, sulla medesima vicenda, in te1mini diametralmente opposti (v. infra, par. 3). La questione decisa è la seguente: la legittimità di clausole che prevedano quale effetto l’esclusione del socio nel caso in cui venga meno la qualifica di amministratore rivestita dal socio stesso. Nella fattispecie concreta si trattava di una società holding che gestiva, in diversi ambiti territoriali, dei negozi tramite delle Vorort-GmbH (delle società destinate ad operare nei singoli paesi) possedute per il 95% del capitale dalla stessa holding, per il 5% del capitale sociale dal socio amministratore. Quest’ultimo aveva avuto la possibilità di acquistare tale 5% al valore e nominale, ma aveva dovuto sottoscrivere contestualmente un’opzione, in base alla quale si obbligava a vendere all’altro socio la partecipazione al venir meno del suo incarico di gestore e per un valore predeterminato (che tenesse conto del fatturato della società nel periodo di sua amministrazione). Poiché la società holding poteva liberamente revocare l’amministratore (in forza della partecipazione al 95% del capitale sociale della Vorort-GmbH), l’opzione di acquisto avrebbe potuto ritenersi, in ipotesi, contraria  all’ordine pubblico in quanto strumento di sostanziale esclusione del socio in mancanza di un motivo oggettivo specifico.
Il BGH riconosce la legittimità anche di tale pattuizione, richiamando la propria giurisprudenza consolidata, che considera in astratto nulla la clausola di esclusione o il complesso di clausole che ha per effetto l’esclusione non ancorate ad un motivo oggettivo specifico, ma riconosce la possibilità di eccezioni a tale principio, qualora vi siano ragioni ulteriori di validità della clausola (o del complesso di clausole) nel caso concreto. La Suprema Corte tedesca ritiene che la partecipazione sociale dell’amministratore unico sia strumentale a rafforzare i legami del soggetto con l’impresa, e che siffatta configurazione del rapporto legittimi l’opzione di acquisto a favore del socio di maggioranza, in quanto quest’ultimo deve essere libero, al venir meno dell’incarico di amministratore, di poter sostituire un nuovo soggetto nei due rapporti. Tale configurazione esclude altresì, a parere del BGH, qualsiasi violazione della parità di trattamento tra i soci.

2. Normativa di riferimento

«II recesso e l’esclusione del socio…  Senza questi due istituti il diritto della s.r.l. sarebbe irragionevole e le conseguenze per la prassi assurde». Cosl, in una delle opere fondamentali di diritto delle società tedesche, si conclude la parte relativa al recesso e l’esclusione del socio nella s.r.l. 1. Ciò sebbene la legge sulla GmbH non preveda una disciplina specifica dell’esclusione del socio; contempla solo, al § 34, la Einziehung, ossia, propriamente, il riscatto e l’annullamento di determinate partecipazioni sociali per specifiche ragioni previste nell’atto costitutivo.
Da un lato nella prassi statutaria la clausola di Einziehung viene pertanto utilizzata spesso come strumento di esclusione di un socio 2; dall’altro la dottrina e la giurisprudenza tedesca riconoscono ulteriormente, in analogia con la disciplina delle società di persone (§ 140 HGB) o con quella  dello scioglimento  della società (§ 60 GmbHG), la possibilità  di deliberare l’esclusione di un socio (Ausschluss o Ausschliessung) sia sulla base di specifiche clausole statutarie o parasociali, sia a prescindere dall’esistenza di una specifica pattuizione e purché vi sia una giusta causa (aus wichtigem Grund)3.
Le due sentenze che qui si commentano riguardano questioni in tema di clausole di esclusione (la prima: si tratta propriamente di un caso di Einziehung) o che hanno come effetto l’esclusione (la seconda), e sono di un ce1to interesse per il lettore italiano in quanto affrontano alcuni profili problematici che anche l’art. 2473-bis e.e. può comportare (v. infra, par. 5). Si occupano entrambe dell’eventuale invalidità per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume di tali clausole ai sensi della nor ma generale del BGB (§ 138, corrispondente  al nostro mi. 1418 e.e.); nonché del connesso aspetto della possi bile estensione della nullità ad altre clausole (del contratto sociale o parasociale in cui le pattuizioni che legittimano o hanno per effetto l’esclusione sono contenute).
Entrambe le sentenze rilevano, inoltre, poiché affermano il principio che la partecipazione sociale può costituire un rapporto accessorio ad (un «semplice allegato» di) un altro contratto, sicché il venir meno di tale contratto «collegato» può determinare altresì lo scioglimento del rapporto sociale 4. Una sorta di collegamento «inverso» (ricordando quello tra sociale e parasociale) tra quanto è al di fuori dello statuto e le clausole di quest’ultimo, collegamento che rileva per l’esecuzione e l’interpretazione del contratto di società.

In particolare nel primo caso si  tratta  di un contratto di cooperazione tra socio e società, dal quale quest’ultima può liberamente recedere con delibera a maggioranza 5 ( e con successiva e conseguente possibilità, dunque, di esclusione del socio); nella fattispecie della seconda sentenza il presupposto dell’esclusione del socio­amministratore è legato alla semplice volontà dell’altro socio, il quale, titolare del 95% del capitale sociale, può liberamente revocare l’amministratore di una GmbH (v. § 38, Abs. 1, GmbHG), e quindi concretizzare l’evento che costituisce la condizione per l’esercizio dell’opzione (che comporta di fatto l’uscita del socio titolare della partecipazione di minoranza).

3. Precedenti giurisprudenziali

In merito alla prima sentenza non si riscontrano precedenti nell’ordinamento tedesco. Anche la dottrina sottolinea infatti la novità di tale decisione, in quanto per la prima volta la Suprema Colte pone a fondamento della legittimità della clausola la circostanza che l’evento determinante l’esclusione sia frutto di una decisione della società, e che l’assemblea non risulti controllata (sembra: né di diritto, né di fatto) da alcuno dei soci 6.

Con riferimento al caso oggetto della seconda decisione, la giurisprudenza tedesca si era pronunciata, nel corso del 2004 e come accennato, in modo diametralmente opposto.

Una sentenza dell’OLG Frankfurt aveva ritenuto la clausola che prevede l’opzione nulla, in quanto contraria all’ordine pubblico e al buon costume 7. Il socio vincolato dalla pattuizione non sarebbe, infatti, libero di esercitare i diritti sociali in modo autonomo, ma risulterebbe limitato dalla necessità di seguire la volontà del socio di maggioranza che potrebbe anche fame venir meno la qualità di socio, mediante la revoca dell’incarico di amministratore e a seguito dell’esercizio dell’opzione (o della successiva accettazione della proposta irrevocabile di vendita della partecipazione). Il socio di minoranza non sarebbe quindi, secondo la Cotte d’Appello, tale, ma sarebbe un «impiegato» del socio di maggioranza. I due negozi (acquisto della quota e opzione) dovrebbero considerarsi pertanto nulli, con conseguente sorgere a carico delle parti degli obblighi restitutori derivanti dalla pronuncia di nullità di entrambi i contratti.

Secondo OLG Düsseldorf, invece (sentenza preceduta da una decisione analoga dell’OLG Celle8), il complesso delle clausole deve ritenersi valido, in quanto alla luce di mia Gesamtschau dell’operazione quest’ultima appare equilibrata: da un lato il socio amministratore ha avuto la possibilità di acquistare la partecipazione nella GmbH ad un valore molto conveniente (il valore nominale) e man tiene la possibilità di rivenderla – a seguito dell’opzione che l’altro socio può esercitare – ad un prezzo predeterminato decisamente superiore; dall’altro il socio amministratore può conseguire nel corso degli anni gli utili (che contribuisce direttamente a produrre in ragione del suo incarico e che devono essergli distribuiti con preferenza), mentre il rischio imprenditoriale viene corso quasi esclu­sivamente dal socio di maggioranza (ossia la società holding). Il socio-amministratore non partecipa infatti sostanzialmente alle perdite (salvi i casi della riduzione del capitale o dello scioglimento anticipato della società), poiché il prezzo dell’opzione è già predeterminato.

Le due sentenze interpretano in modo diverso la giurisprudenza del BGH che fin dal 1977 ha ritenuto principio basilare del diritto delle società che la clausola di esclusione del socio preveda quale presupposto di applicazione un motivo oggettivo specifico.

L’interpretazione della Suprema Corte tedesca è espressa sia in tema di società di persone, che di s.r.l., che di società tra professionisti, e riguarda sia le clausole statutarie che attribuiscono ad un socio, a un gruppo di soci o alla maggioranza il potere di escludere, sia le pattuizioni parasociali che hanno come effetto l’esclusione di un socio; tale interpretazione si fonda sulla considerazione secondo cui il diritto di esclusione non collegato a parametri specificamente individuati viola la libertà del  socio, e quindi l’ordine pubblico e il buon costume, con conseguente nullità della pattuizione ai sensi del § 138 BGB. Questa clausola infatti costituisce una «spada di Damocle» all’esercizio dei diritti sociali e al principio della collaborazione tra i soci 9, e rende uno o più dei partecipanti al contratto di società un Gesellschafter minderen Rechts. Solo eccezionalmente – sempre secondo il BGH – risulta possibile ritenere il patto (sia esso contenuto nello statuto o in un contratto parasociale) valido. Ad esempio, quando si tratta di una società tra professionisti, e la clausola di esclusione, che deve essere però circoscritta entro un limite temporale ben determinato, sia strumentale al controllo, da parte dei vecchi soci, dell’affidabilità del nuovo entrato 10; oppure  quando il diritto di esclusione è riconosciuto nei confronti degli eredi del socio defunto (sempre entro un limite temporale ben determinato), al fine di verificare l’attitudine dei nuovi entrati a partecipare all’impresa; oppure ancora quando il rapporto sociale è collegato ad un rapporto fiduciario tra i soci, e questo viene meno 11; infine quando la partecipazione sociale è legata alla pro prietà di un appartamento in un complesso immobiliare 12

4. Dottrina

Il primo caso oggetto di questa nota ha sollevato l’interesse della dottrina in quanto viene sancito – come accennato: senza precedenti, seppure non quale unica ratio decidendi – che la mancanza di un socio in grado da solo di esprimere la maggioranza legittima le clausole di esclusione anche in assenza di un motivo oggettivo specifico 13.  Quest’interpretazione tuttavia è stata criticata, in quanto la mancanza di un unico socio di maggioranza non toglie che il socio possa essere soggetto – volendo seguire il tradizionale orientamento del BGH – alla «spada di Damocle» dell’esclusione e quindi non possa esercitare i diritti sociali in modo libero 14. Del resto nelle decisioni della Cassazione tedesca il presupposto dell’invalidità della clausola di esclusione è sempre stato la mancanza del motivo oggettivo specifico, e non il soggetto cui tale potere è attribuito. La sentenza è inoltre rilevante, come si diceva, per l’affermazione del carattere subordinato che il rapporto societario può rivestire rispetto ad altro rapporto, sicché tale carattere e quindi il collegato rapporto paiono utilizzabili, secondo il BGH, a livello di interpretazione della clausola di esclusione.
Con riferimento alla seconda decisione pubblicata, si noti che la dottrina tedesca, per lo più favorevole alla validità delle clausole di esclusione o che hanno per effetto di esclusione 15, era insorta di fronte alla sentenza dell’OLG Frankfurt sopra riassunta. In particolare si temeva che la diffusione del principio enunciato nella decisione potesse minare la legittimità di varie clausole contenute negli statuti e nei patti parasociali, tra le quali in particolare le c.d. leaver clauses, inserite nei contratti di acquisizione e di private equity: tali pattuizioni sono volte a regolare lo scioglimento del rapporto tra l’ammini­stratore e la società al ricorrere di determinati presupposti 16. Dal punto di vista giuridico, inoltre, la sentenza dell’OLG Frankfurt si esponeva a penetranti censure; ad esempio quella di ritenere contraria all’ordine pubblico e al buon costume, e quindi nulla, una pattuizione che il giudice considera irragionevole dal punto di vista economico 17. La sentenza della Suprema Cotte qui pubblicata ha invece tranquillizzato la dottrina ed è stata considerata una decisione da approvare.
Le due recenti sentenze del BGH confermano che è ormai la regola – nota la dottrina quasi unanime – che le clausole di esclusione, pur non ancorate a un giustificato motivo oggettivo predeterminato, vengano ritenute, anche in giurisprudenza, legittime: l’illiceità di tali clausole è diventata inversamente l’eccezione 18 I casi in cui viene dichiarata la nullità delle clausole paiono infatti più rari rispetto a quelli in cui invece ne è affermata la validità.
Del resto secondo gli autori tedeschi l’interpretazione della Suprema Corte, in teoria favorevole alla nullità delle clausole, non è giustificabile, in quanto anticipa la possibile valutazione sull’illegittimità della delibera di esclusione a valutazione sulla validità della clausola di esclusione; dovrebbero invece ritenersi ammissibili anche clausole non ancorate alla giusta causa o al motivo oggettivo specifico, salvo un eventuale giudizio di contrarietà alla buona fede o di abuso del dritto nel concreto esercizio del potere di esclusione 19. In sostanza è la singola delibera che determina l’esclusione del socio (o comunque il sostanziale esercizio del relativo potere) a dover essere conforme alla Treuepflicht che caratterizza, secondo l’interpretazione unanime della dottrina tedesca, il contratto di società; non è necessario svolgere un giudizio preventivo di validità delle clausole, quanto è l’eventuale utilizzo abusivo della clausola a dover essere sanzionato con l’inefficacia dell’atto di esercizio per violazione della buona fede 20 (come del resto anche riconosciuto in una sentenza dello stesso BGH21). Seguendo la tesi della giurisprudenza, invece, la «spada di Damocle» sarebbe costituita non tanto dalla clausola di esclusione, quanto dalle conseguenze della nullità della clausola: la nullità potrebbe fulminare di conseguenza…

La circolazione di partecipazioni in S.R.L. tra acquisti a non dominio e pubblicità commerciale

Sommario:  1. Il  trasferimento  di  partecipazioni  in  società  a  responsabilità  limitata  negli  ordinamenti europei. – 2. L’art. 2470, comma 3o, c.c. – 3. Segue. Un nuovo criterio di soluzione dei conflitti. – 4. Acquisto a non domino di partecipazioni in s.r.l.: analogie e differenze con la circolazione mobiliare. – 5. La rilevanza della buona fede dell’acquirente. – 6. Segue. L’iscrizione  del  trasferimento  nel  registro  delle  imprese:  effetti  della  pubblicità.  –  7.  Segue. Il problema del coordinamento con l’art. 2448 c.c. – 8. Possibile estensione dell’ambito applicativo dell’art. 2470, comma 3o, c.c.

1.  Il  trasferimento  di  partecipazioni  in  società a responsabilità limitata  negli ordinamenti europei.

E`  un dato comune a numerose legislazioni europee che la circolazione di partecipazioni in s.r.l. sia  assoggettata a determinati requisiti, più o meno rigorosi, di forma del contratto e di pubblicità del trasferimento1.
Gli effetti di quest’ultimo tra le parti si verificano – negli ordinamenti che hanno recepito la soluzione francese – per mezzo del consenso legittimamente manifestato, che è sufficiente a realizzare l’acquisto del diritto (o, se si preferisce, del complesso dei diritti)2; gli effetti del trasferimento nei confronti dei terzi (e della società) sono invece collegati all’osservanza di determinate  formalità,  relative  sia  al  contratto  che  alla  pubblicità  dello  stesso, necessarie per ottenere l’opponibilità della cessione (e la legittimazione al- l’esercizio dei diritti sociali)3.

Tali formalità, considerando anche gli ordinamenti ove ancora vige la separazione, di origine romanistica, tra titulus e modus adquirendi, possono concretizzarsi – con riferimento al contratto – nell’imposizione di un atto pubblico (come nell’art. 26 della Ley de Sociedades de Responsabilidad Limitada spagnola, nel GmbH-Gesetz tedesco e austriaco – §§ 15 e 76 – , nell’art. 228 del Código das Sociedades Comerciais portoghese o nell’art. 791, comma 4o, dell’OR svizzero); di un atto con  sottoscrizione  autenticata  (art. 2470 c.c.); infine della sola forma scritta, come nell’art. 785 del disegno di revisione della disciplina della società a garanzia limitata, in corso di discussione nell’ordinamento elvetico. Con  riferimento  alla  pubblicità ai  fini  dell’opponibilità del  contratto  ai terzi, e` previsto, nel codice francese, il deposito presso il registro del commercio4; in quello italiano il deposito presso il registro delle imprese seguito dall’iscrizione nel medesimo del trasferimento (art. 2470, comma 2o, c.c.); quest’ultimo sistema è  ora in via di adozione anche in Svizzera5. E ciò salve


1  V. l’incipit di un recente saggio tedesco in argomento: « In keiner Rechtsform ist die Übertragung von  Gesellschaftsanteilen mit so hohen rechtlichen  Hürden  verbunden  wie  in  der GmbH». Così SCHNORBUS, Die Teilnahme des Scheingesellschafters an Strukturmaßnahmen  in der GmbH, in ZGR, 2004, 126. Tale affermazione ripete considerazioni già  avanzate da WIELAND, Handelsrecht, II, München-Leipzig, 1931, 321, con riferimento ai lavori preparatori della legge tedesca e austriaca sulla s.r.l. e ai progetti di legge svizzero, francese e italiano dei primi anni del ’900.
2 L’applicazione del principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c. al trasferimento della partecipazione in s.r.l., pur dopo le modifiche del 1993, costituisce un dato pacifico tra  gli interpreti:  v.  G.F.  CAMPOBASSO, Diritto  commerciale, 2, Diritto  delle  società5, Torino, 2002, 553; Spada, La «legge Mancino» e la circolazione della ricchezza imprenditoriale: forma degli atti e funzioni di polizia, in Riv. dir. comm., 1994, I, 287 ss.; ANGELICI, Sul nuovo testo dell’art. 2479 c.c., ibid., 325 ss.; dopo la riforma del diritto societario GUIDOTTI, Riflessioni sulla pubblicità  del trasferimento della quota di s.r.l. dopo la riforma, in Giur. comm., 2004, I, 774; ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE,  Il  diritto  delle  società a  cura  di  Olivieri-Presti-Vella,  Bologna,  2004,  264;  DE STASIO, Trasferimento della partecipazione nella s.r.l. e conflitto tra acquirenti, Milano, 2005 (ed. provv.), 32 ss. In giurisprudenza v. App. Milano, 17-2-1989, in Giust. civ., 1989, I, 1914 ss.; Cass., 10-11-1998, n. 11296, ivi, 1999, I, 1717 ss., in un caso di conclusione del contratto mediante telegramma privo dei requisiti di cui all’art. 2705 c.c.; Trib. Napoli, 17-7-2003, in Società, 2004, 495 ss.; v. anche Registro imprese Ferrara, 27-12-1999, in Notariato, 2000, 459 ss. Nello stesso senso si pronuncia la giurisprudenza con riferimento al trasferimento di quota in  società  di persone: v. Cass., 9-9-1997, n. 8784, in Giur. it., 1998, 1417 ss.
3 La separazione tra il piano della successione dell’acquirente all’alienante nel diritto, da un lato, e l’opponibilità del titolo o dell’acquisto ai terzi, dall’altro, e` in particolare oggetto di studio nei lavori di Palermo, Contratto di alienazione e titolo dell’acquisto, Milano, 1974, 23 ss., spec.  44  ss.;  GAMBARO,  La  proprietà,  in  Trattato  Iudica-Zatti,  Milano,  1990,  317  ss.;  VETTORI, Consenso traslativo e circolazione dei beni, Milano, 1995, 41 ss.; ID., Effetti del contratto, in Il contratto in generale, V, in Trattato Bessone, Torino, 2002, 93 ss.; Vecchi, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, 138 ss.; MUCCIOLI, Efficacia del contratto e circolazione della ricchezza, Padova, 2004, 89 ss. V. inoltre GAZZONI, La trascrizione immobiliare2, in Commentario Schlesinger, Milano, 1998, 3 ss. e già CCARNELUTTI, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, 75 ss.
4  V. per i riferimenti ZANARONE, Società a responsabilità limitata, in Trattato Galgano, VIII, Padova, 1985, 69, nt. 11.
5 In Spagna invece l’iscrizione nel Registro mercantil del trasferimento e` stata soppressa dalla l. n. 19 del 25-7-1989: v. ANGULO RODRÍGUEZ, En torno a la transmisio´n de las participa-

Vendita della partecipazione di controllo e garanzie contrattuali

CAPITOLO PRIMO
L’ALIENAZIONE DELLA PARTECIPAZIONE TOTALITARIA O DI “CONTROLLO” TRA VENDITA DEL PATRIMONIO E VENDITA DELLE SOLE QUOTE: LE CLAUSOLE DI RAPPRESENTAZIONE E GARANZIA

Sezione Prima
IL PROBLEMA, LA STRUTTURA DELL’OPERAZIONE E LA NATURA DELLE CLAUSOLE DI RAPPRESENTAZIONE E GARANZIa

1. L’alienazione della partecipazione totalitaria o di «controllo» in una società di capitali. – 2. Le clausole di garanzia: significato e funzione. – 3. (Segue) Classificazione delle pattuizioni più diffuse. – 4. La struttura del­l’operazione. Due diligence e approvazione del contratto da parte dell’or­gano di gestione – 5. (Segue) Contratto preliminare di trasferimento delle partecipazioni ed effetti sulle clausole di garanzia. – 6. (Segue) I meccani­smi di legittimazione a far valere le clausole di garanzia: contratto per per­ sona da nominare, consenso anticipato alla cessione del contratto prelimi­nare e contratto preliminare a  favore di terzo. –    7. Le clausole di  garan­zia in senso stretto: in particolare le c.d. clausole di rappresentazione. L’e­voluzione del common law. – 8. (Segue) Natura delle representations ed effetti della loro violazione: responsabilità da dichiarazioni inesatte. – 9. (Segue) Diversità degli effetti  delle clausole di  rappresentazione rispetto alle clausole di garanzia. – 10. Le c.d. legai warranties: funzione e limiti all’autonomia privata nel quadro delle disposizioni in materia di compra­ vendita. –   11. (Segue) Critica alla tesi prevalente: necessità di distinguere i difetti del diritto trasferito e i vizi della cosa; applicazione dell’art. 1489 c.c. e conseguenze della soluzione accolta. – 12. (Segue) L’aliud pro alio nel caso di trasferimento della partecipazione di controllo. – 13. Natura delle clausole più discusse: le c.d. business warranties. Critica alla tesi che le riconduce a promesse di qualità (art. 1497 c.c.). – 14. (Segue) Ulteriori critiche: incorporalità dell’oggetto ed origine delle clausole in esame. – 15. Critica alla tesi dei patti autonomi, dell’aliud pro alio e dei contratti collegati. – 16. Critica alla tesi che configura le clausole di garanzia quali «parte integrante della  prestazione  traslativa».  Le  clausole  sono  presta­ zioni accessorie del contratto. –   17. (Segue) Nozione di clausola di garanzia. – 18. Promessa del fatto del terzo e garanzia di indennizzo: analogie e differenze.

  1. L’alienazione della partecipazione totalitaria o di «controllo» in una società di capitali

Il contratto che ha per effetto l’alienazione di partecipazioni in società per azioni o in società a responsabilità limitata costituisce, nell’attuale contesto economico, uno degli strumenti maggiormente utilizzati per la realizzazione di molteplici forme di ristrutturazione e integrazione tra imprese; tale contratto, infatti, consente di fatto, nel caso in cui venga venduta una quota che rappresenta una rile­vante frazione o l’intero capitale sociale (1), il «passaggio» dell’a­zienda o, comunque,  del patrimonio della società (2),  beneficiando di un regime fiscale particolarmente vantaggioso (3).
Come è noto, la maggior parte delle attività economiche – e perfino l’amministrazione di patrimoni privati – è esercitata attra­verso la veste societaria, con la conseguenza che le numerose ope­ razioni realizzanti il passaggio della gestione delle imprese com­merciali tra diversi soggetti viene attuata mediante il trasferimento di  partecipazioni sociali (4).  Tale  trasferimento costituisce altresì


(1) Si ipotizza nella prima parte del presente lavoro che il contratto in esame sia qualificabile come  una  compravendita, ai sensi e per gli effetti degli art. 1470 ss. c.c., salvo  verificare,  nel caso vi siano le c.d. clausole di  garanzia, se esso. non possa qualificarsi diversamente (in particolare: come contratto ati­pico o come pluralità di contratti collegati),  con le dovute conseguenze  in  tema di disciplina; v. E. PANZARINI, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato fi­nanziario, Trattato diretto da F. Galgano, vol. I, Torino, 1995, 250 e nt. 4. La vendita di partecipazioni sociali costituisce in ogni caso una delle molteplici ipotesi di vendite c.d. speciali in  virtù del particolare  bene oggetto del con­tratto: sulle vendite speciali v. per tutti G. SANTINI, Il commercio. Saggio di economia del diritto, Bologna, 1979, 358 ss.; A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2003, 151 ss.; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato Vas­salli, Torino, 1993, 205: «la vendita esprime un determinato tipo di contratto, caratterizzato da una determinata causa e da un determinato oggetto, cioè l’a­lienazione. Ora, tale oggetto si diversifica  secondo la struttura del diritto alie­nato richiamando regole diverse in ordine ai requisiti e agli effetti».
Con il termine alienazione si fa riferimento ai negozi inter vivos a titolo oneroso che abbiano come effetto il trasferimento della partecipazione sociale qualifi­cata: v. F. MESSINEO, La partecipazione sociale ( a proposito di un libro recente), in Riv. soc., 1966, 957 nt. 11.
(2) Per  l’omogeneità  (normalmente)  delle  nozioni  di  azienda  e  patrimo­nio sociale v. G. PALMIERI, Scissione di società e circolazione dell’azienda, To rino, 1999, 186; M. CASSOTTANA, Rappresentazioni e garanzie nei conferimenti d’azienda in società per azioni, Milano, 2006, 72 nt. 38.
(3) In merito alle differenze dal  punto di vista fiscale tra  il trasferimento di partecipazioni sociali ed il trasferimento di azienda si veda in precedenza il d.lgs.  8  ottobre  1997,  n.  358  (“Riordino   delle  imposte  sui  redditi  applicabili alle operazioni  di cessione e conferimento  di  aziende, fusione,  scissione e  per­ muta di partecipazioni”), che ha previsto  la  possibilità  di  assoggettare  ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi le plusvalenze realizzate sia  me­diante la cessione  di  aziende,  purché  possedute  per  un  periodo  non  inferiore  a tre anni, sia mediante la  cessione  di  partecipazioni  di  controllo  e  di  collega­mento ai sensi dell’art. 2359 c.c., che risultino iscritte come tali nelle immobilizzazioni finanziarie degli  ultimi  tre  bilanci.  Su tale disciplina  v. M.  BEGHIN, La cessione ed il conferimento di aziende e di partecipazioni nella disciplina del d.lgs. n. 358/1997, in Riv. dir. trib., 1998, I, 535 ss.; F. PAPARELLA, Riflessioni sulla nuova disciplina sostanziale della cessione di azienda ( e di partecipazioni di controllo e di collegamento) e dello scambio di partecipazioni ai fini delle impo­ste sui redditi, in Riv. dir. trib., 1999, I, 359; M. MANERA, L’imposizione dei ca­pital gains nell’ambito della disciplina complessiva sui trasferimenti delle parteci­pazioni, in Giur. imp., 2001, 1410  ss.  Ora  si  veda,  per  prime  considerazioni dopo le recenti riforme in materia, R. LUPI, La nuova disciplina IRES: le ope­razioni straordinarie ed i riflessi nell’elusione, in Riv. dir. trib., 2004, I, 609 ss.; F. PEDROTTI, La partecipation exemption quale nuovo regime ordinario di circo­lazione delle partecipazioni societarie, in Riv. dir. trib., 2005, 1137 ss.; R. PER­ROTTA, Il conferimento d’azienda, Milano, 2005, 332 ss.
Per  il problema del trattamento  tributario della vendita di partecipazioni so­ciali in Francia v. ampiamente P. MOUSSERON, Les conventions de garantie dans les cessions de droits sociaux, Paris, 1997, 169 ss.; in Germania v. per riferimenti C. LEIP, Die Veräußerung von Anteilen an Kapitalgesellschaften durch Kapitalgesellschaften, in BB, 2002, 1839 ss.; per la determinazione della legge favorevole per le operazioni aventi ad oggetto società che hanno  la sede  in  Stati diversi  cfr. G. KRAFT, Steuerliche Gestaltungsoptimierung beim internationalen Unternemhenskauf, in RIW, 2003, 641 ss.
Sulle ulteriori differenze tra trasferimento di azienda e di partecipazioni e la rispettiva convenienza, si ritornerà comunque infra, nel testo.
(4) Cfr. AA.VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferi­mento, a cura di F. Bonelli e M.  De  Andrè,  Milano, 1990,  I  ss.; G.G. PETTA­RIN, Acquisizione, fusione e scissione di società, Milano, 1992, 33 ss.; A. PETTI­NARI, La cessione di quote di società commerciali, Milano, 1997, 1 ss.; E. PANZARINI (nt. 1), 247; S.  LANTINO,  Acquisizioni di aziende e partecipazioni, Mi­lano, 2002, 22 ss.; C. d’ALESSANDRO, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, Milano, 2003, 1 ss.; A. TINA,  Il contratto  di acquisizione di partecipazioni societarie, in corso di pubblicazione; per un’analisi di tipo eco-