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Autore: admin_avvocatidiimpresa

Denunzia al tribunale, stato di liquidazione della società e riforma del diritto societario

TRIBUNALE DI VENEZIA -27  gennaio 2004 (decreto) – ZACCO Presidente – SPACCASASSI Estensore – Pubblico ministero dott. S. c. amministratore unico
G.B. e sindaci della I. s.p.a.

Società – Società per azioni – Controllo giudiziario – Stato di liquidazione della società –
Improcedibilità del ricorso.
(Codice civile, art. 2409).

Lo stato di liquidazione della società determina l’improcedibilità del ricorso ex art. 2409 c.c., in quanto comporta la cessazione dell’attività d’impresa e quindi il venir meno dell’attualità delle irregolarità denunziate (1).
(Omissis). – Il P.M. in data 14 gennaio 2003 ha richiesto una ispezione alla società I. s.p.a. facendo proprie e recependo una dettagliata ed articolata denuncia dei sindaci, denuncia che aveva anche portato all’apertura di indagini preliminari nei confronti dell’amministratore per i reati di cui agli artt. 2621 e 2635 c.c.
Rilevavano i sindaci: come la società I. vantasse un credito verso la società M.T. s.p.a. di lire 1,6 miliardi, di cui 400 milioni di insoluti, e che l’amministratore unico G.B. nulla aveva fatto per recuperare detto credito; che il menzionato G.B. era anche sindaco della debitrice M.T.; che essi sindaci non erano stati messi nella condizione di poter vedere la necessaria documentazione relativa al bilancio del 2001 sul quale comunque avevano espresso un parere negativo; che vi erano elementi per ritenere fon­ dato sospetto che la M.T. fosse il vero «dominus » e che fosse la stessa a dettare alla I. condizioni e condotte; che la perdurante inattività della società comportava una perdita patrimoniale e la conseguente necessità dei provvedimenti di cui all’art. 2448 n. 4.
Nel costituirsi G.B. rilevava che pur sussistendo il credito nei confronti della M.T., tuttavia lo stesso non era certo nell’ammontare, stante le contestazioni effettuate, e comunque erano inopportq.ne azioni coattive o la richiesta di fallimento della M.T. stessa che avrebbero comportato anche il fallimento della società I.. Rilevava che era preferibile una transazione con la M.T. e concordare un piano di rientro con le banche.
Sono stati sentiti G.B. ed i sindaci. Questi ultimi si sono riportati alle denunce da­ gli stessi effettuate alla Procura della Repubblica.
All’udienza del 20 marzo 2003 il collegio disponeva con decreto la nomina dell’ispettore giudiziario al fine di verificare se sussistevano o meno le irregolarità lamentate dal P.M.
L’ispettore Dott. T. espletava l’incarico affidatogli ed in data 20 ottobre 2003 depositava un’articolata relazione che riscontrava la sussistenza dei fatti lamentati dai sindacati    posti all’attenzione del P.M., escludendo tuttavia che G.B. abbia ostacolato le verifiche del collegio sindacale.
All’odierna udienza il P.M. insisteva· per la nomina di un amministratore giudiziario, i sindaci si rimettevano al deciso del tribunale, mentre il difensore di G.B., che pure negava che esistessero i presupposti per la nomina dell’amministratore giudiziario, insisteva nell’eccezione di inammissibilità della richiesta del P.M. atteso che la società era stata posta in liquidazione il 5 novembre 2002.
La problematica circa l’ammissibilità o meno della procedura di cui all’art. 2409 c.c. anche quando la società è stata posta in liquidazione è stata affrontata dalla giurisprudenza di merito con decisioni non unanimi. Fra altre, in senso positivo, Tribunale Trani, 30 ottobre 2001, in Società, 2002, 354 («Il controllo giudiziario non solo può essere efficacemente concluso con l’adozione degli opportuni provvedimenti ripristina­ tori della regolarità nei confronti della società posta in liquidazione nelle more dello stesso procedimento, ma può anche esser legittimamente promosso nei confronti di una società già in liquidazione per eliminare gravi irregolarità commesse sia prima sia dopo lo scioglimento della stessa; il sindacato del tribunale, infatti, può essere esercitato fino al momento dell’estinzione della società, che si realizza dopo la cessazione di ogni attività liquidatoria. Questa interpretazione estensiva non è impedita dall’esistenza del rimedio previsto dall’art. 2450 c.c. della revoca per giusta causa dei liquidatori, che riguarda una fattispecie diversa da quella regolata dall’art. 2409 c.c.»). Per la soluzione negativa, tra altre, si veda Tribunale Ragusa, 26 ottobre 2001, in Giur. comm., 2002, II, 632 («Va esclusa l’ammissibilità o la procedibilità del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. allorché la società sia messa in stato di liquidazione. Ciò in quanto la sopravvenuta deliberazione di messa in liquidazione della società elimina in radice l’esigenza di ripristino della normale gestione di essa e, soprattutto, la nomina di un amministratore giudiziario mal si concilia con la figura di un liquidatore regolamente nominato dalla società e non rimuovibile dal giudice nell’ambito dell’avviato procedimento»).
Ritiene il Collegio che sul punto assumono significativa importanza le pressoché costanti decisioni che da anni ha assunto la Corte d’Appello di Venezia, secondo cui la liquidazione della società preclude l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c. anche se intervenuta in pendenza del relativo procedimento, in quanto non consente il perseguimento dello scopo precipuo del procedimento stesso, autonomo e complementare rispetto agli altri mezzi previsti dall’ordinamento giuridico per la tutela contro gli atti di cattiva amministrazione, essendo finalizzato unicamente a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione delle società e potendo, dunque, solo indirettamente concorrere a soddisfare, in quanto coincidenti, gli interessi particolari dei soci.
Condividendo tale assunto, ritiene il Collegio: a) che lo stato di liquidazione, comportando la cessazione dell’attività d’impresa, essendo consentite solamente le opera­ zioni correlate strumentalmente al fine della definizione dei rapporti ancora in corso e della conversione dei beni in denaro, pone in essere una situazione per la quale viene meno, per carenza di ogni interesse, la funzione propria dei provvedimenti adottabili ex art. 2409 c.c.; b) che, pertanto, essendo le irregolarità denunciate prive del requisito dell’attualità, da accertarsi con riferimento all’indicato interesse tutelato, i provvedi­ menti richiesti non sono adottabili (v., tra gli altri, i decreti della Corte d’Appello di Venezia 27 febbraio 2002, 21 giugno 2001 e 17 novembre 1998); e) che, peraltro, il corretto esercizio dei poteri e dei compiti del liquidatore comporta l’accertamento delle eventuali irregolarità commesse dagli amministratori e il suo attivarsi, con gli strumenti previsti dall’ordinamento, per l’eliminazione o l’attenuazione dei consequenziali effetti pregiudizievoli sulla formazione dell’attivo.
Per le suesposte motivazioni deve essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso. Quanto alle spese, nulla va disposto, trattandosi di procedimento di volontaria giurisdizione, per il quale non si rende applicabile il principio della soccombenza, posto dall’art. 91 c.p.c. con riferimento ai soli giudizi di natura contenziosa (cfr. Cass. n. 9636/97).


NOTE:
(1) Denunzia al tribunale, stato di liquidazione della società e riforma del diritto societario.
SOMMARIO: 1. Denunzia al tribunale e liquidazione: il caso concreto. – 2. Stato di liquidazione, continuazione dell’attività di impresa e attualità delle irregolarità. – 3. Interessi sottesi al procedimento ex art. 2409 c.c. e liquidazione della società. – 4. Revoca dei liquidatori alla luce delle nuove norme sui procedimenti. in camera di consiglio (artt. 25 ss. d. lgs. n. 5 del 2005).

P.Q.M.
dichiara improcedibile il ricorso.
1. Il Tribunale di Venezia conferma, nella pronuncia in epigrafe/l’orientamento della Corte d’Appello veneta secondo il quale la liquidazione della società, anche se intervenuta in pendenza di un procedimento di denunzia per gravi irregolarità, preclude l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c. (1).

Nel caso in esame i sindaci di una s.p.a. presentavano al pubblico ministero un articolato esposto di gravi irregolarità nella gestione (2), osservando in particolare che la società vantava un ingente credito nei confronti di altra società, ma che l’amministratore unico non aveva fatto nulla per recuperare tale credito. Ciò in quanto, a dire dei denunzianti, questi aveva una posizione di interesse nella società debitrice (di cui era stato anche sindaco (3). Il collegio sindacale contestava all’amministratore unico, inoltre, irregolarità contabili e nella redazione dei bilanci; affermava, infine, che la perdurante inattività della società avesse comportato una rilevante perdita e quindi la necessità di ridurre il capitale.
Il pubblico ministero, facendo propri i contenuti della denunzia dei sindaci, richiedeva, ex art. 2409 c.c., l’ispezione della società, che veniva disposta dal tribunale, e l’ispettore giudiziario confermava quasi integralmente la sussistenza delle irregolarità lamentate dai sindaci. Il pubblico ministero richiedeva, pertanto, la nomina di un amministratore giudiziario che rimuovesse le accertate irregolarità e, se del caso, proponesse azione di responsabilità; la difesa dell’amministratore unico, invece, sosteneva l’inammissibilità della richiesta, poiché la società, in pendenza del procedimento ex art. 2409 c.c., era stata posta in liquidazione (4).
Il Tribunale di Venezia, accogliendo quest’ultima richiesta, dichiara improcedibile il ricorso, nonostante fosse stato nominato liquidatore della società il precedente amministratore unico della stessa (5); e giunge a tale conclusione in base a due argomenta­ zioni.
In primo luogo, affermano i giudici veneziani, lo stato di liquidazione determina la cessazione dell’attività di impresa, essendo consentite in tale fase solo le operazioni correlate strumentalmente alla definizione dei rapporti. ancora in corso e alla conversione dei beni in denaro; viene quindi meno, per carenza di ogni interesse, la funzione propria dei provvedimenti. ex art. 2409 c.c. Il procedimento di denuncia per gravi irregolarità è finalizzato, infatti, secondo il Tribunale di Venezia, unicamente a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione della. società, e può solo indirettamente concorrere a soddisfare gli interessi particolari dei soci; nel momento in cui, a seguito della liquidazione, non vi è più alcuna attività d’impresa, cessa, pertanto, lo scopo del giudizio instaurato.
In secondo luogo, continua il decreto in commento, le irregolarità denunziate risultano prive del requisito dell’attualità per il sopravvenire dello stato di liquidazione; i provvedimenti richiesti dal pubblico ministero non possono quindi essere adottati, mancando uno dei presupposti del procedimento. L’esercizio dei poteri e dei compiti del liquidatore determina infatti l’obbligo, per tale organo, di attivarsi per l’elimina­ zione o l’attenuazione degli effetti pregiudizievoli delle irregolarità commesse dagli amministratori; da ciò consegue la carenza dell’attualità di quest’ultime e l’improcedibilità del giudizio.
2. Le motivazioni che giustificano in diritto il decreto del Tribunale di Venezia non paiono convincenti.
Lo stato di liquidazione della società non comporta, di per sé, la cessazione dell’attività d’impresa. Anzi: la liquidazione è attività d’impresa (6). La continuazione, anche parziale, di quest’ultima – seppure in senso funzionale alla liquidazione della società e per il miglior realizzo – è un’ipotesi del tutto normale anche dopo il verificarsi di una causa di scioglimento e la nomina del liquidatore. La prosecuzione dell’attività durante la liquidazione, già riconosciuta sia in dottrina che nella giurisprudenza della Cassazione (7), e addirittura prevista dalla legge fallimentare (art. 90 r.d. n. 267 del 1942), è ora espressamente disciplinata dal legislatore in due norme (artt. 2487, 1° comma, lett. c) e 2490, 5° comma, c.c.), relative ai criteri di svolgimento della liquidazione deliberati dall’assemblea e all’indicazione dell’attività d’impresa nei bilanci (8).
La causa cli scioglimento, e, ora, dopo la riforma del diritto societario, la successiva pubblicità della nomina dei liquidatori (e quindi l’entrata della società in stato cli liquidazione) (9), determinano infatti un mutamento funzionale dell’organizzazione societaria e una parziale modifica delle regole di produzione dell’attività comune (10); comportano  un diverso equilibrio degli interessi rilevanti (11);   non  producono, invece, un cambiamento del contratto sociale o la cessa=ione dell’impresa (12).
Alla luce di tali osservazioni, risulta quindi criticabile anche l’affermazione secondo cui lo stato cli liquidazione determina automaticamente il venir meno dell’attualità delle irregolarità commesse. Ciò non vale sicuramente per il semplice verificarsi di una causa cli scioglimento: basterebbe, altrimenti, una delibera dell’assemblea di scioglimento anticipato della società (art. 2484, n. 6 c.c.) per vanificare il procedimento ex art. 2490 c.c. (13).
Neppure la nomina dei liquidatori, e la pubblicità della stessa (v, ora art. 2487-bis c.c.), potrebbe, peraltro, rendere di per sé non più attuali le irregolarità commesse da­ gli amministratori; per sostenere tale conclusione occorre siano incaricati della liquida­ zione dei soggetti che garantiscano un’adeguata professionalità e l’eliminazione delle irregolarità (14).
Potrebbe dunque risultare opportuno, anche dopo la nomina del liquidatore (ora) ex art. 2487 c.c., che il tribunale disponga il prolungamento dell’incarico all’ispettore giudiziario, con lo specifico compito di vigilare sull’attività degli organi sociali (15); op­ pure che preferisca nominare un amministratore giudiziario (16). Il ruolo che quest’ultimo è chiamato a svolgere non è, infatti, quello di« amministrare, ma di assumere temporaneamente il governo della società nello stato – attivo o liquidativo – in cui si trova, al solo fine di rimuovere le irregolarità ed eventualmente di esperire l’azione di responsabilità nei confronti dei precedenti amministratori (17).
3. Non pare possa sostenersi che lo stato di liquidazione necessariamente determini l’improcedibilità della denunzia ex art. 2409 c.c.; e ciò anche quando si ritenga, come dichiara il Tribunale di Venezia, che il procedimento in esame sia unicamente volto a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione della società. Se l’interesse tutelato dal procedimento fosse quest’ultimo, la richiesta di nomina di un amministratore giudiziario sarebbe, infatti, ancor più giustificata durante la liquidazione; in questa fase di svolgimento (conclusivo) dell’attività sociale la protezione di interessi generali risulta, come noto, rafforzata (18). Ciò in considerazione della necessità che venga svolto un procedimento di liquidazione, che non può essere omesso, e in virtù delle diverse nonne che da un lato rendono obbligatoria la pubblicità di tale procedi­ mento (artt. 2484, 3° comma; 2487-bis, 1° e 2° comma; 2490 c.c.), dall’altro prevedono la responsabilità dei soggetti coinvolti (amministratori e liquidatori: artt. 2485, 2486, 2489 e 2491 c.c.).
Del resto, la conclusione secondo cui il procedimento in esame è unicamente volto a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione della società risulta forte­ mente criticata – e da tempo – in dottrina, la quale riconosce che la denunzia al tribunale abbia una funzione -prevalente, anche se non esclusiva – di tutela dei soci di minoranza, dei creditori della società e dei terzi in genere (19).
Quest’ultima interpretazione appare del resto rafforzata dalle novità legislative ap­portate dalla riforma del diritto societario (d. lgs. n. 6 del 2003). Nella nuova disposi­ zione dell’art. 2409 c.c. si è esclusa, Infatti, la legittimazione del pubblico ministero a promuovere la denuncia per gravi irregolarità nella gestione, salva l’eccezione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (20); inoltre è stata introdotta dalla riforma la rilevanza del danno (anche potenziale) alla società o alle controllate quale presupposto del controllo giudiziario (21). Orbene: tali modifiche al disposto della norma sembrano rendere ora –   almeno per le società chiuse –   ancora meno fondata la tesi che la denunzia al tribunale abbia lo scopo di tutelare esclusivamente l’interesse geniale alla correttezza della gestione delle società, e non anche l’interesse della minoranza e dei creditori sociali (22).
Se dunque il procedimento ex art. 2409 c.c. protegge anche i soci di minoranza ed i creditori (e ora anche i titolari di strumenti finanziari), a maggior ragione ne appare giustificata l’operatività durante la liquidazione, ossia nel momento in cui gli interessi di tali soggetti assumono un maggior rilievo dal punto di vista normativo (23).
4. Il caso in epigrafe pennette infine di affrontare il problema degli effetti della denunzia ex art. 2409 c.c. sulla posizione dei liquidatori.
Lo stato di liquidazione della società non rende, infatti, come visto, in assoluto improcedibile il giudizio previamente instaurato, e il tribunale può sempre disporre il pro­ lungamento dell’ispezione a carico degli amministratori o la nomina dell’amministratore giudiziario. Rimane da chiedersi, peraltro, se il tribunale possa pronunciare dei provvedimenti anche nei confronti dell’organo deputato a svolgere la liquidazione della società, e ciò sia nel caso in cui il procedimento venga instaurato prima della nomina dei liquidatori, sia se la denunzia sia proposta dopo.
La tesi assolutamente dominante ritiene non vi siano ostacoli ad applicare la procedura ex art. 2409 c.c. contro i liquidatori, nel caso in cui vi sia una denuncia di gravi irregolarità direttamente proposta nei loro confronti (24). La tesi parrebbe rafforzata dalla nuova formulazione dell’art. 2409 c.c., che prevede quale presupposto della de­ nuncia le gravi irregolarità nella gestione, sia essa attiva o liquidativa.
Si stima invece che la proposizione di una denunzia verso gli amministratori non consenta al tribunale di disporre –    oltre all’eventuale designazione di un amministratore giudiziario –   anche dei provvedimenti nei confronti dei liquidatori, ed in partico­ lare la revoca di quest’ultimi, nominati nel corso della procedura (25).
Per quest’ultimo provvedimento è infatti previsto dalla legge un apposito giudizio:
l’art. 2487, ult. comma, c.c., stabilisce che il tribunale, su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero, possa disporre la revoca del liquidatore quando sussiste una giusta causa. Orbene: si è sempre sostenuto che la previsione del procedimento ora di­sciplinato all’art. 2487, ult. comma, c.c. (e precedentemente dall’art. 2450, comma 4°, c.c.) non consentisse al tribunale, adito ex art. 2409 c.c. per gravi irregolarità degli amministratori, di assumere il provvedimento di revoca nei confronti dei liquidatori. Per due ragioni: in quanto tale richiesta non sarebbe stata soggetta, come la denuncia ex art. 2409 c.c., al rito camerale, ma avrebbe richiesto l’instaurazione di un giudizio contenzioso ordinario (26); e in quanto il tribunale sarebbe in ogni caso vincolato dalla richiesta che gli è stata presentata, e non avrebbe quindi poteri discrezionali quanto all’emanazione dei provvedimenti ex art. 2409 c.c. nei confronti dei liquidatori (27).
La prima affermazione, già fortemente criticata in dottrina nel vigore della vecchia formulazione dell’art. 2450. 4° comma, c.c. (28), deve ritenersi, con la riforma del di­ ritto societario, superata: l’art. 33 del d. lgs. n. 5 del 2003 (definizione dei procedimenti in materia di diritto societario) prevede ora che il procedimento di revoca. del liquidatore sia assoggettato al rito dei procedimenti in camera di consiglio (artt. 25 ss.), salva l’eventuale prosecuzione della controversia con il rito ordinario (art. 32) (29).
La seconda argomentazione appare ugualmente debole, alla luce delle discussioni relative alla natura del procedimento ex art. 2409 c.c. e dei poteri discrezionali riconosciuti all’autorità giudiziaria nei procedimenti in camera di consiglio (3°). Non pare, infatti, che possa escludersi la possibilità che il tribunale adotti (oltre alla nomina di un amministratore giudiziario) la revoca dei (anche dei soli) liquidatori nominati nel corso del procedimento, se essi non garantiscono un’adeguata professionalità o non si impegnano per rimuovere le irregolarità commesse.


NOTE:
(1) V. ad es. App. Venezia, 17 novembre 1998, in Società, 1999, 701 ss.
(2) È noto infatti che la giurisprudenza aveva in più occasioni considerato tra i doveri dell’organo di controllo quello di sollecitare l’attivazione del procedimento ex art. 2409 c.c., presentando un esposto al pubblico ministero: Cass., 17 dicembre 1997, n. 9252, in Società, 1998, 1025 ss.; Trib. Rimini, 23 luglio 2002, in questa Rivista, 2003, II, 187 ss.
Il nuovo testo dell’art. 2409 c.c., modificato a seguito del d. lgs. n. 6 del 2003, prevede ora la legittimazione attiva diretta del collegio sindacale (nonché del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo della gestione) alla denunzia al Tribunale: v. art. 2409, ult. comma, c.c. La norma segue un orientamento (attribuzione all’organo di controllo del potere-dovere diretto di denunzia) già fatto proprio dal legislatore del Testo unico della finanza (d, lgs. n. 58 del 1998) all’art. 152: cfr. A. PATRONI GRIFFI, La denunzia al Tribunale ex art. 2409 c.c. Gli interessi tutelati, in questa Rivista, 1999, I, 159 ss.; MAGNANI, Art. 152, in La disciplina delle società quotate. Commentario, a cura di Marchetti e Bianchi, Milano, Giuffrè, 1999, 1771 ss.; CAVALLI, Art. 152, in Testo Unico della Finanza, Commentario di­ retto da G.F. Campobasso, Torino, UTBT, 2002, 1269 ss.; per un caso giurisprudenziale v. Trib. Milano, 7 giugno 2002, in Giur. it., 2002, 2098 e ss.
3) La violazione della disciplina dell’art. 2391 c.c. è frequentemente posta a fonda­ mento della denuncia e dei conseguenti provvedimenti ai sensi dell’art. 2409 e.e.: v. ex multis Trib. Firenze, 24 giugno 1993, in questa Rivista, 1993, II, 731 ss.; Trib, Napoli, 2 febbraio 1994, in Foro it., 1995, I, 1671 ss.; App. Milano, 15 settembre 1994, in Società, 1995, 199 ss.; Trib. Roma, 13 luglio 2000, in Gittr. it., 2000, 2103 ss.
(4) L’amministratore unico negava, in subordine, che esistessero i presupposti per la nomina dell’amministratore giudiziario, in quanto il credito di cui si discuteva non era a suo parere certo nell’ammontare, ed in quanto un’eventuale azione coattiva o richiesta di falli­
mento della debitrice avrebbe comportato anche il successivo fallimento della società titolare del credito.
(5) Nessuna disposizione, come noto, vieta che possa essere nominato liquidatore il precedente amministratore della società. il nostro ordinamento non prevede, peraltro, l’isti­ tuto (diffuso in altri sistemi: v. NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati nella estinzione della società, Milano, Giuffrè, 1990, 357 ss.; V. PINTO, In tema di nomina giudiziale dei liquidatori e di impossibilità di funzionamento dell’assemblea, in questa Rivista, 2003, II, 401) dei c.d. geborene Abwickler, dei liquidatori-per nascita, secondo il quale gli amministratori in carica assumono automaticamente l’ufficio di liquidatori. La legge vuole infatti garantire la libera scelta, da parte dei soci, dei soggetti deputati alle operazioni di liquidazione: v. ora l’art. 2487 c.c.
(6)   0PPO, Realtà giuridica globale dell’impresa nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. dir. civ., 1976, I, 597 ss.
(7) Cfr. per tutti NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Tratt. delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale, Torino, UTET, vol. 7, tomo III, 1997, 439 ss.; PACIELLO, Scioglimento della società per azioni e revoca della liquidazione, Napoli, ESI, 1999, 17 ss.; in giurisprudenza Cass., 19 settembre 1995, n. 9887, in Foro it., 1996, I, 2873; Cass., 12 giugno 1997, n. 5275, riportata in E. CORSO, Scioglimento e liqui­ dazione nelle società di capitali, Milano, Giuffrè, 2002, 130.
(8) Sull’interpretazione delle norme che parlano di esercizio provvisorio dell’impresa e di continuazione dell’attività d’impresa, e sulla connessa responsabilità dei liquidatori v. FERRI jr, La gestione di società in liquidazione, in Riv. dir. comm., 2003, I, 437; Niccolini, Gestione dell’impresa nella società in liquidazione: prime riflessioni sulla riforma, in Riv. soc., 2003, 895 ss.; v. anche Io., sub Art. 2490, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1791 ss., il quale osserva (a nt. 37) che la prosecuzione dell’attività d’impresa durante la liquidazione è fatto eccezionale e consentito solo quando in concreto funzionale all’ottimizzazione dei risultati di liquidazione.
Si noti inoltre che, alla luce del nuovo disposto dell’art. 2486 c.c.• sembra configura• bile una responsabilità degli amministratori per mancata prosecuzione dell’impresa fino alla nomina dei liquidatori, se vengono compromessi – con tale omissione – l’integrità e il valore del patrimonio sociale (N1ccoL1NI, Gestione dell’impresa nella società-in liquidazione, cit., 901; E. GABRIELLI, La quantificazione del danno nell’azione di responsabilità verso a ministratori e sindaci della società fallita, in Riv. dir. priv., 2004, 11, nt. 6).
(9) In seguito alla riforma del diritto societario è necessario infatti distinguere tra effetti c.d. preliquidatori, che si producono immediatamente a carico degli amministratori al verificarsi della causa di scioglimento (v. artt. 2485 e 2486 c.c.); ed effetti che conseguono all’entrata della società nel vero e proprio stato di liquidazione (v. artt. 2487-bis e ss. C.c.). Quest’ultimo si verifica solo nel momento in cui viene iscritta nel registro delle imprese la nomina dei liquidatori, perché solo da quel momento si verifica il mutamento delle regole dell’organizzazione societaria conseguente all’attività liquidativa (v. art. 2487 bis, 2° comma, c.c.): A. PIRAS, in AA.VV., Diritto commerciale, Bologna, Monduzzi, 2004, 325.
Nel vigore della legge precedente si distingueva invece tra stato di liquidazione (cambiamento della disciplina dell’attività sociale conseguente al semplice verificarsi della causa di scioglimento, che operava di diritto) e procedimento di liquidazione (conseguente alla no­ mina dei liquidatori e caratterizzato dall’adeguamento della società alla nuova fase): cfr. per tutti MAISANO, Lo scioglimento delle società, Milano, Giuffrè, 1974, 253.
(10) ANGELICI, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1990, 1039.
(11) Si accentua, infatti, la tutela sia dell’interesse individuale dei soci sia di quello dei creditori sociali: cfr. GRECO, Sulla necessità del procedimento ‘legale di liquidazione per le società soggette a registrazione, in Foro pad., 1951, III, 93ss.; ÙPPO, Ponna e pubblicità nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1966, I, 166; MONTALENTI, Negozio di liquidazione di società personale e clausole di revisione: interessi tutelati e disciplina applicabile, in questa Rivista, 1982, II, 814 ss.; NICCOLINI, (nt. 5), 405 ss.; Io., (nt. 7), 524 ss.
(12) Si discute poi ulteriormente se il passaggio in stato di liquidazione determini una modifica dello scopo sociale, una modifica dell’oggetto sociale o una mera modificazione delle regole dell’attività: cfr. per tutti i riferimenti GALLESIO PIUMA, I poteri dell’assemblea di società per azioni in liquidazione, Milano, Giuffrè, 1986, 80 ss.; ALESSI, I liquidatori di società per azioni, Torino, Giappichelli, 1994, 27 ss.; Niccolini, (nt. 7), 433; V. PINTO (nt. 5), 390, nt. 55.
(13) Delibera per la quale ora la legge prevede, anche in seconda convocazione, la necessità del voto favorevole dei soci che rappresentino più del terzo del capitale sociale, se la società non fa ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2369, 5° comma, c.c.). Secondo NODARI Delibera di scioglimento della società in pendenza del procedimento di controllo giudiziario (art. 2409 c.c.), in Riv. soc., 1967, 1051 ss., e TEDESCHI, Il controllo giudiziario sulla gestione, in Tratt. delle s.p.a., diretto da Colombo e G.B. Portale, Torino, UTET, vol. 5, 1988, 266, tale delibera non potrebbe essere assunta in pendenza del procedi­ mento ex art.-2409 c.c. in quanto eluderebbe l’applicazione del procedimento di controllo giudiziario; la tesi prevalente si esprime peraltro in senso opposto: cfr. per tutti VITALE, Deliberazione di scioglimento della società in corso di procedimento ex art. 2409 c.c., in Riv. dir. comm., 1964, II, 428 ss.; CERA, Controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. e messa in liquida­ zione della società, in questa Rivista, 1978, II, 408 ss.
(14) In sostanza può ora utilizzarsi il nuovo 3° comma dell’art. 2409 c.c. per sostenere che, anche nel caso in cui vi sia una «sostituzione» del ruolo dei gestori (passaggio da amministratoti ai liquidatori), il tribunale possa valutare la competenza e la professionalità dei nuovi per decidere se sospendere (o chiudere) il procedimento: v. nel testo.
Sembra quindi che non si possa dare una risposta univoca al problema degli effetti dello stato di liquidazione (e quindi, ora, degli effetti della nomina e pubblicità dei liquida tori: v. nt. 9) sul procedimento ex art. 2409 c.c.; occorrerà invece considerare se tale nomina comporti in concreto il venir meno dell’attualità delle irregolarità. Sul problema della procedibilità del procedimento ex art. 2409 c.c. in seguito all’entrata della società in stato di liquidazione v. per la tesi negativa CERAMI, Il controllo giudiziario sulle società di capitali (art. 2409 c.c.), Milano, Giuffrè, 1954, 55; NODARJ, (nt. 13), 1049; TEDESCHI, (nt. 13), 296; FERRARA jr.-CORSI, Gli imprenditori e le società12, Giuffrè, 1′.filano, 2001, 560; per la tesi positiva A. PATRONI GRIFFI, Il controllo giudiziario sulle società per azioni, Napoli, Jovene, 1971, 341 ss.; DOMENICHINI., Il controllo giudiziario sulla gestione delle società per azioni, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, UTET, 1985, 597 ss,; CERA, Ancora sull’applicabilità del­ l’art. 2409 c.c. alle società in liquidazione, in questa Rivista, 1988, II, 612 ss.; PATELLI, Con­ trollo giudiziario in fase di liquidazione, in Società, 1991, 1373 ss.; MASTURZI I, I poteri deliberativi dell’assemblea nelle more del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c., in Riv. dir impr., 2001, 258 ss.; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società’, Torino, UTET, 2002, 426 e nt. 2; dopo la riforma del diritto societario GALGANO, Il nuovo di­ ritto societario, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, CE­ DAM, 2003, 409 ss.: NICCOLINI, sub Art. 2487, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1749 ss.; FIMMANO-TRAVERSA, Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società di capitali alla luce della riforma, in Riv. not., 2004, I, 340; M-J NETTI, sub Art. 2409, in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna, Zanichelli, 2004, 935 ss. In giurisprudenza v. da ultimo per la tesi positiva Trib. Bergamo, 7 febbraio 2001, in Dir. prat. delle soc., 2002, n. 1, 73; Trib. Bergamo, 3 aprile 2001, in Società, 2001, 1224 ss.; Trib. Trapani, 10 agosto 2001, lll Società, 2002, 868 ss.; Trib. Trani, 30 ottobre 2001, in Società, 2002, 354 ss.; Trib. Milano, 22 marzo 2002, est. Riva Crugnola, ined.; Trib. Firenze, 18 febbraio 2003, in Nuova gi.ur. civ. comm., 2004, I, 10 ss.; Trib. Lecco, 11 novembre 2003, in Giur. milanese, 2004, 39 ss.; si noti che anche la Suprema Corte (Cass., 18 aprile 2000, n. 5001, in Riv. giur. sarda, 2002, 311, con nota di NIEDDU ARRICA) ha indirettamente affermato l’applicabilità del giudizio ex art. 2409 c.c. alla società in liquidazione; vedi per le peculiarità del caso deciso dalla pronuncia della Cassazione NICCOLINI, op. ult. cit., 1750, nt. 43. Per la tesi dell’inammissibilità o improcedibilità del controllo giudiziario allorché la società sia posta in stato di liquidazione v. di recente, oltre all’App. Venezia, 17 novembre 1998, (nt. 1); Trib. Ragusa, 26 ottobre 2001, in questa Rivista, 2002, II, 632 ss., con nota di D. MONACI, provvedimento menzionato anche nella motivazione della sentenza in commento.
(15) In questo senso Trib. Pavia, 28 aprile 2001, in Società, 2001, 1087 ss.: il tribu nale ordinava la prosecuzione dell’ispezione giudiziale della società in liquidazione, deman­ dando all’ispettore la verifica dell’osservanza da parte del liquidatore di una serie di direttive di comportamento.
(16) VITALE, (nt. 13), 434 ss.; A. PATRONI GRIFFI, (nt. 14), 346 ss.; CERA, (nt. 14), 613; Trib. Como, 7 novembre 1997, in Società, 1998, 672 ss.; Cass., 18 aprile 2000, n. 5001, (nt. 14).
(17) Così NICCOLINI, (nt. 5), 148; Io., (nt. 14), 1751. Sui poteri dell’amministratore giudiziario v. anche per riferimenti FERRARIS, Approvazione del bilancio da parte dell’amministratore giudiziario e impugnazione di deliberazione negativa, in questa Rivista, 2004, II, 202 ss. L’affermazione che lo stato di liquidazione rende non più attuali le irregolarità gestionali non poteva automaticamente sostenersi, in particolare, per il caso in esame; come vi­ sto, era stato nominato liquidatore della società ki stesso amministratore unico, ossia il soggetto cui le accertate irregolarità (in particolare, usando la terminologia del precedente art. 2391 c.c., il conflitto di interessi) dovevano essere imputate.
(18)   Cfr. per tutti NICCOLINI, (nt. 5), passim; V. PINT0, (nt. 5), 387 ss.
(19) Per un ampio esame degli interessi sottesi al procedimento della denunzia al Tribunale, con accenti diversi, cfr. BIGIAVI, Ancora sulla nomina, senza richiesta, di un amministratore giudiziario della società per azioni ai sensi dell’art. 2409 c.c., in Riv. dir. civ., 1955, I, 210 ss.; Io., Interesse sociale ed interesse pubblico, in Riv. dir. civ., 1956, I, 712; A. PATRONI GRIFFI, (nt. 14), 295 ss., il quale esclude (v. 336) che la denuncia al Tribunale sia predisposta alla tutela di interessi astratti e generali; ALLEGRI, Denuncia di gravi irregolarità e tutela delle minoranze, in questa Rivista, 1980, II, 756; DOMENICHINI, (nt. 14), 592 ss.; FERRI, Le società2, in Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, UTET, 1985, 794; TEDESCHI, (nt. 13), 201 ss.; NICCOLINI, (nt. 5), 128 ss.; COTIIN0, Le società. Diritto commerciale\ voi. I, tomo 2, Padova, CEDAM, 1999, 461; ancora A. PATRONI GRIFFI, (nt. 2), 151 ss.; S. Rossi, Il controllo giudiziario ai sensi dell’art. 2409 c.c. nelle società di capitali, ediz. provv., Milano, 2002, 10 ss. e 74 ss. In giurisprudenza v. Trib. Chiavaci, 12 giugno 2001, in Riv. dir. comm., 2001, II, 157 ss.; App. Cagliari, sez. dist, Sassari, 13 febbraio 2004, in Società. 2004, 976,
(20) Secondo NAZZICONE, Società per azioni. Amministrazione e controlli, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, Giuffrè, 2003, 313, il pubblico ministero potrd. in ogni caso intervenire facoltativamente anche nei procedimenti relativi a s.p.a. chiuse, in quanto l’art. 30, l” comma, d. lgs. n. 5 del 2003 prevede che egli possa depositare osservazioni scritte; inoltre ai sensi dell’art. 71, 2″ comma, c.p.c., il tribunale può comunque disporre la comunicazione degli atti al pubblico ministero affinché possa intervenire; v. anche ARIETA-DE SANCTIS, Diritto processuale societario, Padova, CEDAM, 2004, 582; D’AMBRos10, La denuncia al tribunale per gravi irregolarità dopo la riforma, in Società, 2004, 448.
Le conclusioni possono ritenersi convincenti, purché venga mantenuto anche nel rigore della nuova norma l’orientamento precedente (Cass., 3 maggio 2000, n. 5504, in Rep. Foro it., 2000, voce Procedimento civile, n. 204; App. Roma, 29 marzo 2002, in Società, 2002, 1392 ss.) secondo cui la partecipazione del pubblico ministero al procedimento ex art. 2409 c.c. deve ritenersi necessaria. La possibilità di deposito di osservazioni scritte da parte del pubblico ministero deve essere infatti coordinata con la previsione dell’art. 25, 2° comma, d. lgs. n. 5 del 2003, che consente l’intervento facoltativo nelle sole ipotesi in cui la partecipazione del pubblico ministero al procedimento risulti necessaria.
(21) Potenzialità di danno che dovrà intendersi, alla luce degli studi relativi agli artt. 2373 e 2391 c.c. vecchia formulazione, come ragionevole pericolo di pregiudizio al valore globale delle azioni, oltre che come danno al patrimonio sociale: cfr. PREITE, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi del socio nella società per azioni, in Tratt. delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale, Torino, UTET, vol. 3, tomo II, 1993, 132 ss. Sulla valutazione ex post del potenziale pregiudizio v. SCIMEMI, La vendita del voto nelle società per azioni, Milano, Giuffrè, 2003, 131.
Notano BUSSOLETTI, Le nuove norme del codice civile in tema di processo societario, in questa Rivista, 2004, I, 300, e MAINE-m, (nt. 14), 937, che la norma non contempla ora le irregolarità potenzialmente dannose per i singoli soci, oggetto sovente di attenzione nei pro­ cedimenti ex art. 2409 c.c. (ad es.: rifiuto degli amministratori di consentire ai soci l’ispezione dei libri sociali).
(22) Cfr. BUSSOLETTI, Il procedimento ex art. 2409 c.c., in Riv. soc., 2003, 1214, che sottolinea come l’introduzione del requisito del danno quale presupposto per propone la denuncia, e l’eliminazione della legittimazione attiva del pubblico ministero, portino ad escludere che l’interesse tutelato dalla norma possa considerarsi quello generale connesso alla corretta amministrazione della società; nello stesso senso AMBROSINI, L’amministrazione e i controlli nella società per azioni, in La riforma delle società, a cura del medesimo, Torino, Giappichelli, 2003, 84. Gli interessi pubblici al controllo della società rimangono presenti, peraltro, insieme a quelli di tutela dei soci di minoranza e dei creditori (e ora dei titolari di strumenti finanziari), anche nella nuova formulazione dell’art. 2409 c.c. (cfr. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Padova, CEDAM, 2003, 133; D’AMBROSIO, (nt. 20), 448); già nella precedente formulazione, del resto, non era per nulla pacifico che fosse la legittima­ zione del pubblico ministero a testimoniare l’interesse pubblico al rispetto dei principi di corretta amministrazione: v. A. PATRONI GRIFFI, (nt. 2), 155 ss. Sul rapporto tra autotutela ed eterotutela nel procedimento ex art. 2409 c.c. v. anche S. Rossi, (nt. 19), 89 ss. e 259 ss. Si noti che nel frattempo, in seguito agli scandali finanziari verificatisi negli ultimi tempi, non solo si propone di reintrodurre la legittimazione del pubblico ministero alla de­ nunzia anche nelle società chiuse (in senso critico sull’eliminazione della legittimazione del pubblico ministero cfr. ad es. F. DI SABATO, La riforma delle società di capitali, in Riv. dir. impr., 2002, 565; ARIETA-DE SANCTIS, (nt. 20), 582), ma anche di estendere tale potere agli amministratori non operativi o indipendenti: v. BERNARDI, E se gli dessimo il potere di denunciare gli abusi, in CorrierEconomia, 29 marzo 2004, 4. La legittimazione anche degli amministratori alla denuncia ex art. 2409 c.c. è stata riconosciuta da Trib. Chiavari, 12 giugno 2001, (nt. 19); i precedenti che la pronuncia richiama a tal fine (App. Milano, 22 novembre 1989, in Società, 1990, 371; Trib. Venezia, 11 dicembre 1987, in Società, 1988, 284), tuttavia, ammettono la legittimazione degli amministratori in quanto quest’ultimi siano soci qualificati.
(23) V. i riferimenti alla nt. 11. Tale accresciuto rilievo degli interessi dei singoli soci e dei creditori risulta significativamente dall’attribuzione ai singoli soci, ai sindaci e al pu blico ministero del potere di chiedere la revoca dei liquidatori (v. ora art. 2487, ult. comma, c.c.).
(24) A. PATRONI GRIFFI, (nt. 14), 341 ss.; FERRI, (nt. 19), 793; GALLESIO PIUMA, (nt. 12), 200 ss.; CERA, (nt. 14), 615; PATELLI, Procedimento ex art. 2409 e messa in liquida­ zione della società, in Società, 1998, 673 ss.; NICCOLINI, (nt. 14), 1751, sulla base delle norme degli artt. 2488 e 2489 c.c.; di recente in giurisprudenza Trib. Milano, 30 gennaio 1999, in Giur. it., 1999, 1891 ss.; Trib. Milano, 27 gennaio 2000, ivi, 991 ss.; Trib. Trani. 30 ottobre 2001, (nt. 14). Contra Trib. Pisa, 23 maggio 2001, in Società. 2001, 1223 ss.
(25) V. ad es. Trib. Ragusa, 26 ottobre 2001. (nt. 14).
(26)  Tale obiezione poteva essere avanzata anche contro la tesi che ritiene proponibile la denunzia ex art. 2409 c.c. direttamente contro i liquidatori (v. nt. 24).
Per la natura contenziosa del procedimento di revoca ex art. 2487, ult. comma, c.c. (precedente art. 2450 c.c.) C. ALESSI, (nt. 12), 104; Trib. Ragusa, 26 ottobre 2001, (nt. 14). Sulla natura del procedimento ex art. 2409 c.c. (cautelare; di giurisdizione volontaria; a con­ tenuto oggettivo; contenzioso) v. di recente per tutti i riferimenti GHIRGA, n procedimento per irregolarità della gestione sociale, Padova, CEDAM, 1994, 95 ss.; CETRA, Sulla possibilità di anticipare gli effetti del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. attraverso un provvedi­ mento d’urgenza, in questa Rivista, 1998, Il, 559 ss.; PAGNI, Mala gestio degli amministratori e tutela urgente, in ,Riv. dir. comm., 2003, I, 460 ss. Si noti che il Tribunale di Venezia nel decreto in commento, seguendo l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, ritiene il procedimento ex art. 2409 c.c. di giurisdizione volontaria e quindi stabilisce la non applicabilità degli artt. 91 e ss. c.p.c._ in materia di spese; v., anche per riferimenti alla tesi opposta, NASCOSI, La condanna alle spese nel procedimento di cui all’art. 2409 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 1033 ss.
(27) BIGIAVI, Ancora sulla nomina, (nt. 19), 219 ss., con l’eccezione dell’ipotesi in cui venga presentata una denuncia generica, senza specificazione dei provvedimenti da assumere, nel qual caso il tribunale godrebbe di un’ampia discrezionalità; conforme ‘TEDESCHI, (nt. 13), 219.
(28)   U. BELVISO, Revoca giudiziale del liquidatore di società di persone, in Riv. dir. civ., 1964, II, 486, nt. 48; A. PATRONI GRIFFI, (nt. 14), 345; M.S. SPOLIDORO, Nota senza ti­ tolo, in Foro pad., 1998, I, 427 ss., ove tutti i riferimenti.
(29) SASSANI-TISCINI, Il nuovo processo societario. Prima lettura del d. lgs. n. 5 del 2003, in Giust. civ., 2003, II, 68 ss.; ARIETA-DE SANCTIS, (nt. 20), 508 ss.; DALMOTTO, in AA.VV., Il nuovo processo societario, diretto da Chiarloni, Bologna, Zanichelli, 2004, 1288; A. AMENDOLA, Il procedimento in camera di consiglio. I procedimenti camerali unilaterali, in Riv. dir. impr., 2003, 513 ss.
(30) Cfr. FAZZALARI, Giurisdizione volontaria (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1970, 335 ss.; CERINO-CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, I, 482 ss.; PAJARDI-GALIOTO, I procedimenti camerali, Milano, Giuffrè, 1992, 22 ss.; FERRARA JR,-CORSI, (nt. 14), 557; SAN­ TARCANGELO, La volontaria giurisdizione, Milano, Giuffrè, 2003, voi. I, 17 e 125.
(31) Un cenno in VITALE, (nt. 13), 436; v. anche PATELLI, Controllo giudiziario, liqui­ dazione e proposizione dell’azione di responsabilità, in Società, 1995, 1323 ss.. In giurisprudenza App.. Milano, 1 giugno 1994, in Società, 1995, 523 ss.; Trib. Como, 7 novembre.

L’estinzione delle società di capitali in seguito a iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese

SOMMARIO: 1. La disciplina dell’estinzione della società dopo il decreto legislativo n. 6 del 2003. –  2. La tutela dei creditori prima della iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese: lo strumento dell’opposizione al bilancio finale di liquidazione. – 3. (Segue): ulteriori proposte interpretative e loro dubbia efficacia. – 4. La divisione del patrimonio quale successione inter vivos a titolo universale dei soci nel patrimonio della società. – 5. Rapporti attivi ancora esistenti dopo la cancellazione ed il ruolo dei liquidatori. – 6. (Segue): le sopravvenienze passive, Esclusione di un’ipotesi di pa­trimonio separato. L’azione ex art. 512 e ss. c.c. – 7. L’azione dei creditori sociali nei confronti dei liquidatori quale «strumento di chiusura» della disciplina dell’estinzione,

1. A seguito del d.lgs. n. 6 del 2003 e del nuovo art. 2495, comma 2, c.c., si deve ora ritenere certo che la società (per lo meno di capitali (1)) sia

da considerarsi estinta con l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e la successiva iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese (2). Non si può quindi più ritenere, come faceva  la giurisprudenza prevalente nel vigore della precedente norma dell’art. 2456 c.c., che la società continui ad esistere finché tutti i rapporti ad essa facenti capo, siano essi attivi o pas­sivi, sostanziali o processuali, non siano stati completamente definiti(3). Il legislatore, con l’inserimento dell’inciso «ferma restando l’estinzione della società» al comma 2 dell’art. 2495 c.c., ha in sostanza accolto l’indi­rizzo decisamente prevalente in dottrina (4)  secondo il quale la società come

soggetto di diritto deve considerarsi estinta dal momento dell’attuazione della pubblicità nel registro delle imprese, mediante iscrizione del fatto estintivo (la cancellazione della società) (5). Ciò fermo restando che l’estin­zione della società, e le questioni che ne conseguono, non interferiscono con il diverso problema della fine dell’impresa, che può verificarsi anche in un momento anteriore o posteriore alla iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese, in quanto non vi è alcuna correlazione necessa­ria tra l’esistenza del soggetto imprenditore e il fallimento, come testimonia del resto l’art. 11 l.f. (6).

Il momento dell’estinzione della società trova quindi ora una soluzione parallela a quella dell’estinzione delle persone giuridiche del primo libro (v. art. 6, comma 2, d.p.r. 361/2001) (7), a quella prevista nel Progetto di ri­forma della disciplina delle società di persone (8), nonché a quella dell’estin­zione della società negli ordinamenti che sono stati interessati da modifiche legislative recenti a questo proposito (9).

Tale scelta del legislatore di risolvere attraverso l’inciso citato un pro­blema interpretativo, che vedeva schierate la giurisprudenza e la dottrina in posizioni – almeno in prevalenza – diametralmente opposte, ha peraltro lasciato aperte ancora numerose questioni relative alla disciplina applica­ bile al procedimento di estinzione della società.

  1. In primo luogo, il legislatore delegato, in conformità all’art. 9 della legge n. 366 del 2001 (legge delega al Governo per la riforma del diritto societario), ha introdotto tre ipotesi di iscrizione d’ufficio della cancella­ zione nel registro delle imprese, due delle quali si verificano nel caso di mancanza di un’attività liquidativa (10). Tuttavia non ha chiaramente disci­plinato – o lo ha fatto in maniera contraddittoria – il procedimento da osservare in tali casi.

Infatti, da un lato, con riferimento alle società di capitali, il mancato deposito del bilancio in fase di liquidazione (ex art. 2490, comma 1, c.c.) per tre anni consecutivi determina, ai sensi dell’art. 2490, comma 6, c.c., l’obbligo per l’ufficio del registro delle imprese di provvedere alla iscri­zione d’ufficio della cancellazione della società « con gli effetti previsti dal­l’art. 2495 c.c..» (11).
Dall’altro, con riferimento alle società cooperative e agli enti mutuali­ stici in liquidazione ordinaria, il mancato deposito del bilancio d’esercizio da parte dei liquidatori per cinque anni determina, ai sensi dell’art. 2545-octiesdecies, comma 2, c.c., l’obbligo per l’autorità di vigilanza preposta al controllo della liquidazione di pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale un

elenco delle società che non hanno effettuato tale deposito. In quest’ultimo caso, ossia solo nel caso dell’art. 2545-octiesdecies, comma 2, c.c. (12), i cre­ditori e gli altri interessati possono chiedere, entro trenta giorni da tale pub­blicazione, la continuazione della liquidazione con «formale e motivata do­ manda». La società cooperativa può essere quindi cancellata dal conserva­ tore del registro delle imprese solo a seguito della comunicazione da parte dell’autorità di vigilanza della mancata domanda da parte dei creditori e degli altri interessati, e da quel momento (dall’iscrizione della cancella­zione) la società deve considerarsi estinta (13).

La terza ipotesi di cancellazione d’ufficio è stata infine prevista in una norma transitoria, l’art. 223-quater, comma 2: si tratta del caso di iscrizione della società nel registro delle imprese avvenuta senza l’autorizzazione di cui all’art. 2329, numero 3), c.c. L’autorità competente al rilascio di tale autorizzazione può infatti proporre istanza per la «cancellazione della so­cietà dal registro»; tuttavia, nel caso di accoglimento dell’istanza da parte del Tribunale, si applica l’art. 2332 c.c., e quindi la procedura da seguire per il caso di nullità della società. Sembra quindi che la norma si esprima in realtà impropriamente e non regoli direttamente un’ipotesi di estinzione in seguito all’iscrizione della cancellazione, bensì di scioglimento della so­cietà (14), con nomina dei liquidatori da parte del tribunale (art. 2332, comma 4, c.c.) e successiva liquidazione (15).

b) In secondo luogo, il legislatore delegato non ha completamente se­guito l’art. 8, lett. a), della legge delega (n. 366/2001), e non ha provveduto a disciplinare espressamente « il regime… delle sopravvenienze attive e pas­sive» successive alla iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese. Rimane quindi aperto il problema, fortemente discusso dalla dottrina precedente, di quale sia la sorte dei beni e dei rapporti ignoti ai liquidatori o da questi trascurati, nonché la natura  dell’azione  ex  art. 2495 c.c. nei confronti dei soci.

c) In terzo luogo, non è stato previsto – almeno esplicitamente – uno strumento preventivo specifico di tutela dei creditori,  per il caso in cui i liquidatori intendano procedere alla cancellazione e quindi all’estinzione della società, violando il principio secondo il quale l’attivo sociale non può essere ripartito tra i soci prima che siano soddisfatti i creditori so­ciali (16).

2. È bene analizzare preliminarmente quest’ultimo problema, che si prese!lta come il principale nonché il primo da un punto di vista logico.

E noto infatti che alla base dell’orientamento della giurisprudenza, che faceva sopravvivere la società all’iscrizione della cancellazione del registro delle imprese, stava principalmente la considerazione del rischio, per i cre­ditori sociali ritardatari o sopravvenuti, di trovarsi ad agire (ex art. 2456 vecchio, ora art. 2495 c.c.) nei confronti di una pluralità di soci, spesso di difficile reperimento; per di più i creditori sociali avrebbero dovuto an­che subire il concorso dei creditori particolari dei soci stessi, venendo meno, con l’estinzione, il vincolo di destinazione sul patrimonio sociale e quindi il diritto dei creditori sociali ad essere soddisfatti previamente su tale patrimonio (17).

A questo proposito la dottrina, pur mantenendo fermo il proprio con­vincimento relativo al momento dell’estinzione della società (18), aveva tut­tavia proposto diverse soluzioni interpretative per attribuire ai creditori so­ciali uno strumento di intervento nella fase finale della liquidazione, al fine di evitare tali rischi. Poiché l’iscrizione della cancellazione dal registro costituisce un obbligo per i liquidatori, e in caso di loro inerzia per i compo­nenti dell’organo di controllo, una volta terminata la liquidazione con l’ap­provazione del bilancio finale e la ripartizione dell’attivo (art. 2495, comma 1, c.c.) (19), la dottrina menzionata voleva impedire l’effetto estintivo che deriva dall’iscrizione concedendo ai creditori sociali un mezzo per impugnarla. Seppure tali interpretazioni non avessero fatto breccia –   se non in parte, come vedremo – nelle decisioni della giurisprudenza, risulta inte­ressante riconsiderarle alla luce delle nuove norme introdotte dalla riforma del diritto societario.

Una prima tesi (20) suggeriva di riconoscere anche ai creditori sociali il diritto di proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione entro tre mesi dall’iscrizione del deposito di tale bilancio presso l’ufficio del regi­stro delle imprese (art. 2492, comma 3, c.c.) (21). Tale interpretazione si fondava principalmente sull’analisi congiunta delle ipotesi della riduzione del capitale di cui all’art. 2445 c.c. e dell’estinzione: come durante socie­tate i creditori possono avvalersi dell’opposizione (art. 2445 c.c.) per impe­dire la liberazione di parti del patrimonio sociale dal vincolo di destina­zione, così anche nella fase dello scioglimento della società si deve attri­buire ai creditori sociali uno strumento di tutela analogo per impedire tale


(1) Sembra peraltro che una norma, quale l’art. 2495 c.c. nuova formulazione, dettata per le società di capitali al fine di risolvere un dubbio interpretativo che precedentemente si poneva per tutte le società registrate, possa ora servire anche per l’interpretazione degli artt. 2312 e 2324 c.c., relativi al momento estintivo rispettivamente delle s.n.c. e delle s.a.s. iscritte nel registro delle imprese; ciò anche se risulta particolarmente discusso se sia possibile utiliz­zare norme dei tipi «superiori» (in questo caso: relative alle società di capitali) per l’interpre­tazione di disposizioni relative ai tipi «inferiori» (società di persone) o per risolvere lacune relative a questi ultimi: v. P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, 1974, 321; cfr. però G.B. PORTALE, Profili dei conferimenti in natura nel nuovo diritto italiano delle società di ca­pitali, in Corr. giur., 2003, 1671 e nt. 51, ove ulteriori riferimenti, secondo il quale la tesi ne­gativa nei confronti di tale interpretazione o applicazione analogica non è stata pienamente dimostrata.
L’applicazione alle società di persone registrate di norme dettate in sede di disciplina della liquidazione delle società di capitali era convincimento diffuso già prima della riforma: cfr. ad es. G. NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, vol. VII, tomo 3, 1997, 685, nt. 5; M. BUSSOLETTI-E. FAZZUTTI, Società in nome collettivo, in D. disc. priv., sez. comm., Torino, Vol. XIV, 1997, 306. Nello stesso senso in Germania le disposizioni sulla liquidazione dell’Aktiengesetz sono ritenute applicabili anche alle altre società: di recente v. T. RIEHM, Gerichtliche Bestellung des Nachtragsliquidators ein Modell fiir alle Handelsgesellschaften, in NZG, 2003, 1055 ss., ove ulteriori riferimenti.
(2) La norma (art. 2495, comma 2, c.c.) ora prevede che «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere no­tificata presso l’ultima sede della società». La conclusione di cui nel testo è pacifica in tutti i primi commenti al d.lgs. n. 6 del 2003: cfr. L. PARRELLA, Cancellazione della società, in La riforma delle società, Commentario del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, 305 ss.; G. NICCOLINI, La disciplina dello scioglimento, della liquidazione e dell’estinzione delle società di capitali, in La riforma delle società, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2003, 191 ss. (anche in Riv. dir. impr., 2003, 248 e ss.); ID., Art, 2495, in Società di capitali, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, in corso di pubblicazione, Napoli, 2004, § 3, che si è potuto consultare grazie alla cortesia dell’Autore; A. DIMUNDO, in Gruppi, trasformazione, fusione e scissione, scioglimento e liquidazione, società estere, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003, 217 ss.; A. SANTUS-G. DE MARCHI, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Riv. not., 2003, 599 ss.; F. CORSI, Le nuove società di capitali, Milano, 2003, 279; F. D1 SABATO, Diritto delle società, Milano, 2003, 501.
(3) Anche se non erano mancate, soprattutto nell’ultimo periodo, alcune prese di posi­zione della giurisprudenza in senso contrario alla sopravvivenza della società alla cancellazione dal registro delle imprese: v. Trib. Monza, 12 febbraio 2001, in Giur. comm., 2002, II, 91 ss., e in Società, 2001, 831 ss,; Trib. Vercelli, 5 luglio 2002, in Società, 2003, 221 ss. (con riferi­mento all’art. 2312 c.c.); App. Milano, 29 novembre 2002, in Giur. it., 2003, 1195 ss., e in Società, 2003, 837 ss. L’orientamento assolutamente prevalente in giurisprudenza (v. da ul­timo Cass., 22 novembre 2002, n. 16486, in Guida al dir., 2003, n. 1, 86; Trib. Mantova, 13 febbraio 2003, G,U. Bernardi, inedita; Cass., 24 settembre 2003, n. 14147, in Società, 2003, 1622; Trib. Messina, 25 ottobre 2003, inedita, in www.ipsoa.it.; App. Trieste, 8 gennaio 2004, n. 7, inedita) era stato considerato preferibile, in dottrina, in particolare da parte di G. OPPO, Forma e pubblicità nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1966, I, 163 ss.; G. NICCOLINI (nt. 1), 703 ss., ove tutte le citazioni delle sentenze in argomento, nonché (con riferimento al­ l’art. 2312, secondo comma, c.c.) da M. BUSSOLETII-E. FAZZuTTI (nt. 1), 306.
(4) Non è qui possibile riportare tutti i contributi che, con riferimento al «precedente» art. 2456 c.c. avevano accolto l’orientamento che ora il legislatore ha voluto esplicitare inse­rendo l’inciso ricordato: v. ex multis, per citare due recenti note a sentenza ove riferimenti alla dottrina in argomento, M. SPERANZINI, Recenti sentenze in tema di estinzione dì società: osser­vazioni critiche, in Giur. comm., 2000, II, 285 ss., e A. ZORZI, Cancellazione della società dal registro delle imprese, estinzione della società e tutela dei creditori, ivi, 2002, Il, 91 ss.
(5) A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, in Trattato di diritto commerciale, di­retto da V. Buonocore, Torino, 2001, 35, fa notare che cancellazione in senso proprio si ha solo nell’ipotesi di cui all’art. 2191 c.c., mentre nell’ipotesi di cui al novellato art. 2495 c.c. (e dei «vecchi» artt. 2312 e 2324 c.c.) si tratta propriamente di iscrizione del fatto estintivo della società, cui si applica dunque la procedura di cui all’art. 2189 c.c.: si v. infatti l’art. 2196, comma 2, c.c. (che parla di iscrizione della cessazione dell’impresa commerciale individuale) e l’art. 18, comma 3, del d.p.r. n. 581 del 1995, ossia del regolamento del registro delle im­prese (che parla di iscrizione della cessazione dell’impresa); G. MARASÀ-C. IBBA, Il registro delle imprese, Utet, 1997, 197; G. RAGUSA MAGGIORE, Il registro delle imprese3, in Codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 2002, 113. Cfr. anche per tale distinzione, seppure ad alni fini, Trib. Bologna, 2 novembre 2000, in Società, 2001, 997 ss.
Anche alla pubblicità del fatto estintivo della società si applica inoltre l’art. 2448 c.c., relativo alla decorrenza degli effetti della pubblicazione nel registro delle imprese: v. sulla portata di tale norma A. M.GRÌ, Il trasferimento dei crediti nelle scissioni societarie, in Contr. e impr., 2003, 1500 ss.
(6) E tale conclusione sembra da mantenere ferma anche in seguito alla nota Corte cost., 21 luglio 2000, n. 319, pubblicata ad es. in Giur, it., 2000, 1857 ss., che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 10 l.f., nella parte in cui non prevede che il termine di un anno dalla cessazione dell’impresa collettiva, entro il quale può intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra dalla sua cancellazione dal registro delle imprese della società stessa. Tale sentenza è stata infatti giustamente criticata perché sembra far coincidere il momento della ces­sazione dell’impresa con quello della cessazione della società, sovrapponendo la sfera dell’at­tività d’impresa con quella della forma societaria per l’esercizio di tale attività (cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto dellesocietà5, Torino, 2002, 136; G. RAGUSA MAG­GIORE (nt.’5), 351 ss.; F. BARACHINI, Il fallimento dell’ex-socio dopo le sentenze della Corte Co­stituzionale n. 66/1999 e n. 319/2000, in Riv. dir, comm., 2000, I, 633). Si noti peraltro che nelle successive Corte cost., 7 novembre 2001, n. 361 (ord.), e Corte cost., 22 aprile 2002, n. 131 (ord.), entrambe in Giur. comm., 2002, Il, 563 ss., la Corte Costituzionale ha in so­ stanza accolto tali critiche, dando rilevanza alla cessazione effettiva dell’attività imprendito­riale, e specificando che «… è infatti del tutto coerente con i principi della pubblicità dichiarativa la possibilità per i terzi di provare la non veridicità del fatto iscritto e, dunque, in ipotesi, di dimostrare il compimento di atti di esercizio dell’impresa successivamente all’i­ scrizione della sua cessazione». In applicazione del principio enunciato dalla Corte Costituzio­nale v. Cass., 8 novembre 2002, n. 15677, in Fallimento, 2003, 1258 ss.
In ogni caso deve sottolinearsi che la società, anche se successivamente dichiarata fallita, già non esiste più sul mercato: il fallimento dopo l’iscrizione della cancellazione non è infatti null’altro che il procedimento volto a definire concorsualmente i rapporti obbligatori sorti e non ancora estinti durante il tempo in cui la società ha operato: ASSOCIAZIONE PREITE, Il nuovo diritto delle società, Bologna, 2003, 366.
(7) Ai sensi del quale il Presidente del Tribunale del capoluogo della provincia in cui è registrata la persona giuridica, chiusa la fase di liquidazione, ordina la comunicazione alle pre­fetture di tale notizia affinché dispongano la cancellazione dell’ente dal registro delle persone giuridiche: v. M.V. DE GIORGI, La riforma del procedimento per l’attribuzione della personalità giuridica, in  Nuove leggi civ., 2000, 1342.
(8) Nel Progetto di rifonna della disciplina delle società di persone (c.d. Progetto Ro­velli) è prevista una disposizione (art. 2304) secondo cui dopo la cancellazione della società i creditori sociali possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti dei soci: v. M. SANDULLI, Lo scioglimento e la fine della società, in Le disposizioni generali sulle società e le società di persone, Atti del Convegno di Studio di Lecce, 27 e 28 ottobre 2000, a cura di N. Rocco di Torre Padula, Milano, 2001, 145 ss.
(9) In Spagna la Ley de sociedades anònimas all’art. 278, la Ley de sociedades de re­ sponsabilidad limitada all’art. 122 e il Texto Refundido de la Ley de Sociedades Anónimas al­l’art. 278 (norme cui corrisponde l’art. 247 del Reglamento del Registro mercantil) prevedono che l’estinzione si compia con la iscrizione della scrittura pubblica di estinzione della società nel Registro mercantil e con la pubblicazione di tale scrittura nel Boletín Oficial del Registro Mercantil. Si noti che gli autori spagnoli sostengono che la soluzione prescelta dal legislatore (di ancorare l’estinzione della società all’iscrizione della cancellazione) è stata ispirata dal pre­cedente art. 2456 c.c. italiano: v. J. PULGAR EZOUERRA, La cancelación registral de las socieda­des de capital, Madrid, 1998, 56. L’art. 160 del Código das Sociedades Comerciais portoghese prevede che la società si estingua con l’iscrizione nel Registro comercial della chiusura della liquidazione: cfr. R. VENTURA, Dissolução e Liquidação de Sociedades3, Coimbra, 2003, 433 ss.; la Lei das S.A. brasiliana (Lei n. 6.404 del 1976, come modificata dalla Lei n. 10.303 del 2001) all’art. 218 prevede che dalla chiusura della liquidazione il creditore non soddisfatto possa agire contro i soci e i liquidatoti. Pure l’art.237-11 Code comm. francese stabilisce che con la cancellazione dal registro di commercio e l’inserzione della notizia nel Bulletin officiel des annonces civiles et commerciales la società si estingue: la giurisprudenza, peraltro, richiede anche la sostanziale liquidazione di tutti i rapporti: v. P. LE CANNU, Droit des sociétés, Paris, 2002, 319; G. RIPERT-R. ROBLOT, Traité de droit commercial18, sous la direction de M. Ger­main, tome 1, volume 2, 2002, 96. In Germania prevale la Lehre vom Doppeltatbestand (doppia fattispecie) che richiede per l’estinzione la cancellazione dal registro delle imprese e l’assenza di patrimonio (Vermögenslosigkeit): cfr. K. SCHMIDT, Löschung und Beendigung der GmbH, in GmbHR, 1988, 209 ss.; ID., Gesellschaftsrecht4, Köln-Berlin-Bonn-München, 2002, 932 (con riferimento alla AG) e 1203 (con riferimento alla GmbH); I. SAENGER, Die im Han­delsregister gelöschte GmbH im Prozess, in GmbHR, 1994, 306; in giurisprudenza da ultimo in tal senso OLG Koblenz, 1° aprile 1998, in ZIP, 1998, 967 ss. Contra U. HÜFFER, § 273, in Münchener Kommentar zum Aktiengesetz2, München, 2001, Rdnn. 12 ss., 693 ss., secondo il quale l’iscrizione della cancellazione estingue in ogni caso la società di capitali.
(10) L’espressione cancellazione d’ufficio è correntemente utilizzata negli ordinamenti che già conoscono questo istituto: v. ad es. J. PULGAR EZQUERRA (nt. 9), 75 ss., che dedica una parte della monografia a tali aspetti e ove critiche alla c.d. cancellazione giudiziale; ulteriori riferimenti in G. NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati nella estinzione della società, Milano, 1990, 373 ss.; F. SACRISTÁN BERGIA, La extincióm por disolución de la sociedad de re­ sponsabilidad limitada, Madrid, 2003, 251 ss.
(11) In particolare, come si vedrà, l’effetto rilevante di tale rinvio è la responsabilità dei liquidatori ex art. 2495, comma 2, c.c.: v. paragrafo 7. Per un approfondito commento all’art. 2490, comma 6, c.c., che sembra risentire di una concezione sanzionatoria (nei riguardi della società e quindi dei suoi soci) della cancellazione v. G. NICCOLINI, Ari. 2490, in Società di ca­pitali, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, in corso di pubblicazione, Napoli, 2004, § 5, che si è potuto consultare grazie alla cortesia dell’Autore.
(12) Con una disposizione che probabilmente si può ritenere, peraltro, analogicamente applicabile anche all’ipotesi di cui all’art. art. 2490, comma 6, c.c.: v. nel testo.
(13) Rileva la mancanza di coordinamento tra le due disposizioni (art. 2490, comma 6, c.c. e art. 2545-octiesdecies, comma 2, c.c.) A. PACIELLO, Bilanci in fase di liquidazione, in La riforma delle società, Commentario del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Giappichelli, 289. Osserva ulteriormente G. NICCOLINI, La disciplina (nt. 2), 192, che la norma dell’art. 2490, comma 6, c.c. non ha neppure predisposto una specifica forma di in­terpello preventivo della società; tuttavia, prosegue l’Autore, la lacuna potrebbe colmarsi applicando gli artt. 2190 c.c. e 16 del regolamento del registro delle imprese (d.p.r. n. 581 del 1995), che prevedono una preliminare informazione del soggetto destinatario del provvedi­mento di cancellazione, oltre che una reclamabilità di tale provvedimento; ID. (nt. 11), § 5, ove l’Autore nota ulteriormente che la cancellazione di una società cooperativa produce gli stessi effetti (art. 2495 c.c.) della cancellazione di una società di capitali, in virtù del generale richiamo contenuto all’art. 2519 c.c. Secondo G. MARASÀ, Il ruolo della pubblicità nella ri­forma delle società di capitali e delle cooperative, in Riv. dir. impr., 2003, 11, invece, la disci­plina dell’art. 2545-octiesdecies c.c. è una disciplina particolare per le cooperative, destinata ad aggiungersi a quella generale dell’art. 2490, ult. comma, c.c. che rimane comunque applicabile.
(14) Sul collegamento tra art. 2332 c.c. e 223-quater, comma 2, disp. att. cfr. anche G. PALMIERI, La nuova disciplina della nullità della società per azioni,in questa Rivista, 2003, 854.
(15) Inoltre l’art. 223-quater, comma 2, disp. att. e transit., prevede che il tribunale, prima di procedere alla cancellazione, debba sentire la società. Un altro indice normativo, dunque, per accogliere la tesi ricordata alla nt. 13, secondo la quale è necessaria una forma di in­terpello preventivo della società prima dell’iscrizione d’ufficio della cancellazione.
(16) Si noti che l’art. 2280 c.c., dettato in tema di società di persone, che vieta la ripar­tizione tra i soci dei beni sociali finché non siano pagati i creditori, non risulta più espressa­mente richiamato nella disciplina delle società di capitali (come in precedenza invece disponeva l’art. 2452, comma 1, c.c.). Tuttavia tale principio deve ritenersi comunque appli­cabile, in quanto l’art. 2491, comma 2, c.c., pennette la ripartizione di acconti sul risultato della liquidazione, ma solo se tale ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali. Sulla portata di tale norma v. per tutti G. NICCOLINI, La disciplina (nt. 2), 182 ss.; G. FERRI jr, La gestione di società in liquida­zione, in Riv. dir. comm., 2003, I, 422.
(17) Cfr. per le ragioni alla base dell’orientamento giurisprudenziale R. COSTI, Estin­zione delle società, esigenze del processo economico e politica dei giudici, in Giur. comm., 1974, II, 401 ss.; G. NICCOLINI (nt. 1), 704 ss.; M. SPERANZIN (nt. 4), 289 ss.; Trib. Monza, 12 febbraio 2001, cit.
(18) Coincidente già nel vigore del precedente art. 2456 c.c., come si ricordava, con l’i­scrizione della cancellazione dal registro delle imprese.
(19) Tale obbligo di richiedere l’iscrizione della cancellazione sussiste in quanto altri­menti i creditori non potrebbero far valere le azioni di cui agli artt. 2495, comma 2, c.c.: v. in Spagna F. SACRISTÁN BERGIA (nt. 10), 267. In sostanza i creditori sociali, in mancanza dell’i­scrizione della cancellazione, potrebbero agire nei confronti della società (priva, peraltro, di attivo), nonché dei liquidatori, ma ai sensi degli artt. 2489, comma 2, e 2491, comma 3, c.c., e non dell’art. 2495, comma 2, c.c. (v, per la differenza il paragrafo 7).
(20) Avanzata da P. GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano. Lineamenti generali, Torino, 1959, 446, nt. 117, e sviluppata soprattutto da R COSTI, Le sopravvenienze pas­sive dopo la liquidazione delle società per azioni, in Riv. dir. civ., 1964, I, 280 ss.
(21) Si noti che è stata recentemente sollevata ai sensi degli artt. 3 e 24 Cost. la que­stione di legittimità costituzionale del termine dei tre mesi – dall’iscrizione del deposito presso l’ufficio del registro delle imprese – concesso ai soci per proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione, ma la Corte Suprema (Cass., 19 aprile 2002, n. 5716, in Giur. it., 2002, 1643 ss.) ha ritenuto tale questione manifestamente infondata.

Donazione e negozi traslativi del diritto d’autore

Cassazione Civile, sez. I, 16 aprile 2002, n. 5461
Pres. Olla – Rel. Berruti – PM Velardi M. (conf.) – Vacondia Marzotto c. Carapezza Guttuso ed altra
Beni – Immateriali – Diritti di autore (proprietà intellettuale) – Diritti di utilizzazione economica (contenuto del diritto)

Cessione o trasferimento – Circolazione dei diritti di utilizzazione economica – Art. 107 legge dir. autore –
Riferimento a modi e forme consentiti dalla legge – Portata – Regole comuni dei negozi, tipici o atipici, utilizzabili
dall’autonomia privata – Applicabilità – Conseguenze – Possibilità di realizzare la causa tipica di liberalità senza il rispetto
delle forme della donazione – Esclusione.

L’art. 107 della legge 22 aprile 1941, n. 633, stabilendo che i diritti di utilizzazione spettanti agli autori
delle opere dell’ingegno, nonché i diritti connessi aventi carattere patrimoniale possono essere acquistati,
alienati o trasmessi in tutti i modi e forme consentiti dalla legge, disciplina la circolazione, anche separata,
delle facoltà derivanti dal diritto d’autore secondo le regole ordinarie dei contratti, cosicché detta
circolazione, fatti salvi i limiti di inalienabilità stabiliti dalla normativa speciale, si realizza in base ai negozi,
tipici o atipici, volta a volta utilizzabili dall’autonomia privata; è pertanto da escludere che la citata
norma consenta alle parti di perseguire la causa tipica di liberalità, consistente nel diretto arricchimento
dell’oblato senza alcun corrispettivo, con un negozio sottratto agli obblighi di forma della donazione.

Svolgimento del processo
Fabio Carapezza Guttuso, erede di Renato Guttuso, conveniva davanti al Tribunale di Milano Marta Vacondio Marzotto e la s.p.a. Standa lamentando che la società predetta aveva commercializzato prodotti riproducenti opera del maestro Renato Guttuso. Tale sfruttamento era stato abusivamente concesso, a dire dell’attore, dalla convenuta Vacondio Marzotto, sulla base di una scrittura redatta dal defunto autore, in data 23 settembre 1986. Chiedeva che il tribunale accertasse la natura di donazione della predetta scrittura e la dichiarazione pertanto nulla per mancanza della forma prevista dalla legge per la validità di tale contratto. Chiedeva quindi il risarcimento dei danni subiti ed i provvedimenti necessari ad impedire la continuazione del comportamento illecito denunciato. Resistevano i convenuti. Tra l’altro la Vacondio Marzotto rilevava la natura di donazione indiretta nell’atto contenuto nella predetta scrittura e dunque l’inapplicabilità alla specie delle regole che stabiliscono la forma del contratto di donazione. A suo avviso la scrittura conteneva un negozio tipico, ancorché utilizzato secondo lo schema della donazione indiretta, ai sensi dell’art. 107 della legge sul diritto di Autore. Il tribunale accoglieva la domanda del Carapezza quanto alla dichiarazione di nullità del negozio in questione, che definiva donazione. Respingeva la domanda di risarcimento dei danni. La Corte d’Appello respingeva l’impugnazione avanzata dalla Marzotto, mentre la Standa rimaneva contumace. Per ciò che ancora rileva, il secondo giudice riteneva che il sistema di cui agli artt. 2581 Codice civile e 107 della legge n. 633 del 1941 (legge Autore) non preveda un contratto tipico di cessione dei singoli diritti facenti parte della posizione protetta dell’autore, ed in particolare non conosca altri contratti tipici oltre quelli di edizione e di rappresentazione – esecuzione. Pertanto ribadiva la natura di donazione rivestita dalla cessione espressa nella scrittura del 1986 e la sua nullità per mancanza della forma solenne stabilita dalla legge.
Contro questa sentenza ricorre per Cassazione con due motivi Marta Vacondio Marzotto. Resiste e spiega ricorso incidentale condizionato Fabio Carapezza Guttuso. Deposita un controricorso ed un ricorso incidentale anche la s.p.a. Euridea, già Standa s.p.a. Tutte le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
1) I ricorsi vanno preliminarmente riuniti.
2) Va rilevato ancora preliminarmente che Euridea non ha interesse a proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza della corte di merito che ha confermato la prima decisione. Questa infatti respinse la domanda di risarcimento dei danni avanzata avverso la Standa e la statuizione non è mai stata impugnata, né dal Carapezza né dalla stessa società. Il suo ricorso incidentale è dunque inammissibile.
3) Con il primo motivo del suo ricorso Marta Vacondio Marzotto lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2581 Codice civile, e 107 legge n. 633 del 1941 (l.a.) nonché dei principi e delle norme che disciplinano i negozi e le donazioni indirette. Sostiene che la sentenza impugnata ha male inteso e male interpretato la scrittura del 1986 per effetto di un errore giuridico consistito nell’avere a priori escluso la configurabilità di una negoziazione tipica avente ad oggetto la alienazione o la circolazione di uno dei diritti di sfruttamento spettanti all’autore dell’opera dell’ingegno. Afferma che invece la norma dell’art. 107 l.a. chiarisce la possibilità di dar vita a negoziazioni aventi un tale oggetto specifico, con il solo obbligo del rispetto della forma scritta. Afferma che in conseguenza di tale equivoco la Corte di merito non si è avveduta che sottostante alla scrittura vi era una concessione da parte di Renato Guttuso alla Marzotto Vacondio del diritto a divulgare l’opera dell’ingegno, negozio avente causa tipica distinta da quella della donazione, ma con essa legittimamente combinabile nello schema di un negozio indiretto, sottratto agli obblighi di forma della donazione.
3a) Con il secondo connesso motivo che va esaminato insieme al primo, la ricorrente lamenta la motivazione insufficiente e contraddittoria sui relativi punti decisivi della controversia e ribadisce l’errore di escludere la tipicità dei negozi risalenti all’art. 107 l.a.
4) Osserva il collegio che la prima censura sfugge alla sanzione della inammissibilità perché allega la pretesa cattiva interpretazione dell’atto negoziale del 1986 da parte della Corte di merito quale conseguenza della negazione, corrispondente a sua volta ad un errore di diritto, di un negozio tipico risalente all’art. 107 l.a. Ciò premesso va rilevato che la nostra legge, dalla normativa codicistica a quella della legge speciale, comprende nel diritto esclusivo spettante all’autore tanto le facoltà di utilizzazione dell’opera quanto quelle, diverse, sull’opera, previste a tutela della personalità dell’autore stesso. L’art. 2577 Codice civile stabilisce anzitutto il diritto dell’autore di pubblicare l’opera, quindi di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge. Quindi la norma dell’art. 12 della legge speciale chiarisce, dopo dell’affermazione fondamentale della esclusività del diritto di pubblicare l’opera, che l’autore per l’appunto ha diritto di utilizzare economicamente la stessa in ogni modo e forma, originale e derivata, in particolare «con l’esercizio dei diritti esclusivi indicati negli articoli seguenti» (incluso tra questi l’art. 107, ndr.). I diritti stessi sono esplicitamente indicati come modalità del diritto esclusivo di utilizzazione economica, che pertanto include ogni possibilità di trarre utilità dall’opera dell’ingegno. Ancora la legge speciale all’art. 19, stabilisce che i diritti esclusivi di cui si tratta sono tra loro indipendenti, e che l’esercizio di ciascuno di essi non esclude quello, sempre esclusivo, di ciascuno degli altri, e conclude che i diritti hanno sempre per oggetto l’opera nel suo insieme ed in ciascuna delle sue parti.
Consegue che la norma dell’art. 107, letta in coerenza con tale assetto giuridico, non fa altro, stabilendo che i diritti di utilizzazione possono essere acquistati, alienati, e trasmessi in tutti i modi consentiti dalla legge, che disciplinare richiamando le regole ordinarie dei contratti la circolazione anche separata di tali facoltà di autore, (cfr. Cass. 1951 del 1966; 3004 del 1973).
Da tale norma pertanto non si può trarre, come pretende la ricorrente, a proposito dei negozi in questione la conclusione della loro diversità di natura giuridica rispetto a quelli di alienazione e trasmissione dei diritti in genere. Il problema non è infatti la tipicità di tali contratti, erroneamente esclusa dalla sentenza impugnata senza che tale errore di inquadramento delle fattispecie abbia influito sulla statuizione, cosicché essa necessita solo di essere integrata e corretta nel senso che si sta precisando. Problema è, piuttosto, se essi abbiano, come pretende la ricorrente, in virtù di tale tipicità discendente dalla previsione legale, ciascuno una propria distinta causa tipica che pertanto li differenzia reciprocamente sotto il profilo funzionale. A tale quesito la Corte deve rispondere negativamente. La legge non disciplina la trasmissione di tali diritti come rispondente ciascuna a funzioni economico pratiche a se stanti, ma invece menzionando i modi e le forme consentite richiama le ordinarie cause cui risalgono i negozi che realizzano la circolazione dei diritti. Cosicché la circolazione di una o più facoltà in questione, fatti salvi i limiti di inalienabilità stabiliti dalla normativa speciale, avviene secondo le regole dei contratti e dei negozi, tipici o atipici, volta per volta utilizzati dalla autonomia privata. Pertanto, pare il caso di precisare, alla causa di liberalità si contrappone quella di onerosità, non certo, comparando concetti giuridici disomogenei, lo scopo
pratico di cedere una sola delle facoltà in questione, rispetto a quello corrispondente alla cessione plurima.
5) La conclusione espressa risulta confermata dalla logica del negozio indiretto, così come la giurisprudenza, sulla scorta di una illustre dottrina ha da tempo chiarito. La differenza tra donazioni dirette e donazioni indirette non consistite nella diversità dell’effetto pratico che da esse deriva, ma piuttosto nel mezzo con il quale viene attuato il fine di liberalità. Questo per le prime è il contratto di donazione, per la seconda è un atto che pur essendo rivolto, secondo lo scopo pratico delle parti, ad attuare il medesimo fine, lo realizza obliterando la causa tipica del negozio (cfr. Cass. 1465 del 1969). Nel caso in esame si è verificato l’esatto contrario, perché la scrittura del 1986, nella ricostruzione che ne ha fatto il giudice del merito, mira a raggiungere direttamente la funzione di arricchire senza corrispettivo taluno, senza sovrapporre ad essa lo scopo pratico realizzato. Muovendo da premesse giuridiche che il collegio condivide la corte di merito ha interpretato il contratto dando conto delle sue conclusioni con motivazione che non fa emergere alcun vizio rilevante in questa sede.
I due motivi sono infondati.
6) La trattazione di ricorso incidentale condizionato del Carapezza Guttuso risulta assorbita dalla affermata infondatezza del ricorso principale.
7) Deve dunque essere dichiarato inammissibile il ricorso della s.p.a. Euridea. Il ricorso principale deve essere rigettato. Deve essere dichiarato assorbito quello del Carapezza. La complessità delle questioni e la predetta correzione della sentenza impugnata giustificano la compensazione delle spese tra tutte le parti.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale dichiara assorbito quello del Carapezza Guttuso. Dichiara assorbito il ricorso della s.p.a. Euridea. Compensa le spese del giudizio tra tutte le parti.

IL COMMENTO
di Cristina Bellomunno e Marco Speranzin (*)

Il caso
Con la pronuncia in epigrafe (1) la Suprema Corte da un lato esamina il criterio distintivo tra donazione diretta e donazione indiretta – già oggetto di approfonditi studi da parte della dottrina (2) e di pronunce della giurisprudenza (3), e che non sarà oggetto della presente nota -, dall’altro precisa la portata dell’art. 107 della legge 22 aprile 1941, n. 633 in relazione ai negozi che consentono la circolazione del diritto d’autore. La vicenda in esame ha visto contrapposti Fabio Carapezza Guttuso, erede di Renato Guttuso, la signora Marta Vacondio Marzotto e la Standa s.p.a. Nel 1986 Renato Guttuso aveva ceduto alla signora Marzotto, tramite scrittura privata, il diritto di riprodurre su supporti di ogni genere le proprie opere. Sulla base di tale scrittura la signora Marzotto aveva quindi concesso alla Standa s.p.a. il diritto di riprodurre una di queste opere su vari oggetti e quello di commercializzare i prodotti che ne recavano la riproduzione. Contro tale situazione insorgeva il figlio ed erede di Renato Guttuso, sostenendo l’abusiva concessione alla Standa del diritto di commercializzare i prodotti recanti la riproduzione dell’opera paterna, e ciò in quanto la donazione effettuata dal padre a favore della signora Marzotto era nulla, per mancanza della necessaria forma solenne prevista dal Codice civile ai fini della validità del contratto (art. 782 Codice civile) (4); di conseguenza, non poteva dirsi legittimamente trasferito il diritto alla Standa. I convenuti sostenevano invece la presunta natura di donazione indiretta della scrittura privata, con la conseguente inapplicabilità delle forme richieste per la donazione, e la validità e l’efficacia, dunque, del duplice trasferimento. Il Tribunale, accogliendo la richiesta dell’attore e ritenendo la scrittura una donazione diretta, ne dichiarava la nullità per mancanza della forma solenne. La signora Marzotto proponeva appello ma la sua domanda veniva respinta, per lo stesso motivo, anche in quella sede. La signora Marzotto depositava, quindi, ricorso in Cassazione sostenendo che la scrittura del 1986 era stata erroneamente interpretata a causa di un errore di diritto. Secondo la ricorrente il giudice di merito aveva infatti escluso a priori la configurabilità di un negozio tipico avente ad oggetto la circolazione di una delle facoltà di sfruttamento spettanti all’autore: l’art. 107 l.a. conferirebbe, infatti, la possibilità di dar vita a negoziazioni tipiche aventi ad oggetto uno dei diritti di sfruttamento dell’opera dell’ingegno, con il solo obbligo del rispetto ai fini della prova della forma scritta, sia essa atto pubblico o scrittura privata (art. 110 l.a.). Nella ricostruzione della ricorrente, dunque, la scrittura del 1986 contenente la concessione a proprio favore del diritto di riprodurre l’opera dell’ingegno non era una donazione diretta, ma un negozio avente causa tipica, distinta da quella della donazione, secondo lo schema del negozio indiretto. Di conseguenza, per la validità della scrittura non era richiesta la forma solenne necessaria per la donazione, essendo invece sufficiente la forma scritta (5).
La Cassazione rigetta il ricorso.
Premettono i Giudici che le norme in materia di diritto d’autore, sia quelle contenute nel Codice civile che quelle contenute nella legge speciale del 1941, attribuiscono all’autore il diritto di disporre economicamente dell’opera traendone ogni utilità possibile, ai sensi degli artt. 13 e ss. l.a.
L’art. 107 l.a. si limita ad esplicitare il principio della trasmissibilità (inter vivos e mortis causa) dei diritti patrimoniali d’autore, senza prevedere tuttavia regole particolari per il trasferimento dei diritti medesimi, che possono così circolare secondo le regole ordinarie che disciplinano i vari contratti di volta in volta utilizzati dall’autonomia privata. Ciò in quanto i negozi di trasmissione dei diritti d’autore non sono, in virtù di tale oggetto, tipi contrattuali diversi, né hanno una causa diversa che li differenzia sotto il profilo funzionale rispetto a quelli che realizzano la circolazione dei diritti in genere.
Ciò premesso, la Cassazione non censura dunque la qualificazione della scrittura privata del 1986 come donazione diretta e non indiretta (6): sulla base della ricostruzione del fatto effettuata dai giudici di merito la funzione della scrittura era stata individuata, infatti, nell’arricchimento della controparte senza alcun corrispettivo, senza peraltro che a tale negozio fosse sovrapposto un ulteriore scopo pratico (7).
Avendo qualificato la scrittura del 1986 come donazione diretta, la Cassazione ha ritenuto, inevitabilmente, che essa fosse invalida per mancanza del rispetto della forma solenne prevista dall’art. 782 Codice civile, non essendo sufficiente la sola forma scritta a salvarla dalla declaratoria di nullità (8). Se, invece, accogliendo la tesi del ricorrente la scrittura in questione fosse stata qualificata come donazione indiretta, non sarebbe stata necessaria neppure la forma scritta, in quanto l’art. 110 l.a. infatti richiede la forma scritta ad probationem e non anche per la validità dell’atto (9).

La circolazione giuridica del diritto d’autore
Il profilo di rilevanza della sentenza che qui viene preso in esame concerne, come accennato, l’esame del diritto d’autore nella «circolazione giuridica» (10). Tale diritto risulta da un lato peculiare, infatti, in ragione del suo contenuto: esso si compone di una pluralità di facoltà o poteri (v. artt. 12 ss. l.a.) (11), tra loro indipendenti (art. 19 l.a.), che l’autore può esercitare separatamente (12). Ne deriva, quindi, la possibilità di trasferire uno solo di tali poteri o facoltà, mentre gli altri rimangono in capo


Note:
(*) Il primo paragrafo della presente nota è stato curato da Cristina Bellomunno; i successivi da Marco Speranzin.
(1) Pubblicata anche in Giur. it., 2002, 1644 ss., con nota di A. Burzio, Brevi note sul trasferimento dei diritti patrimoniali d’autore mediante donazione; in Foro it., 2002, I, 1, cc. 3144 ss.; in Dir. aut., 2002, 319 ss.
(2) Si v., senza pretesa di completezza, U. Carnevali, voce Liberalità (atti di), in Enc. dir., Milano, 1974, 218 ss.; C. Manzini, Il contratto gratuito atipico, in Contr. e impresa,1986, 909 ss.; C. Ebene Cobelli, Donazioni, in Riv. dir. civ., 1987, II, 209 ss.; A. Checchini, voce Liberalità (atti di), in Enc. Giur. Treccani, XXIII, Roma, 1991; E. Emiliozzi, La donazione indiretta, in Giust. civ., 1994, II, 423 ss.; M. Di Paolo, Negozio indiretto, voce del Dig. discipl. privat., Sez. civ., Torino, 1995, 127; U. Carnevali, Le donazioni, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1997, 498 ss.; A. Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 2000, 347 ss.; Id., Le donazioni indirette, in La donazione, Trattato, diretto da G. Bonilini, Torino, 2001, 52 ss.; A. Bortoluzzi, Novità fiscali e oneri formali della donazione diretta e indiretta, in Vita not., 2001, 492 ss.; Valenza, La donazione indiretta tra diritto civile e diritto tributario, in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, 179; L. Gatt, La liberalità, Torino, 2002, I, 31 ss.
(3) Cass. 15 novembre 1997, n. 11327, in Contratti, 1998, 242 ss., con nota di G. F. Basini e anche in Foro it., 1999, I, c. 994; Cass. 29 maggio 1998, n. 5310, in Rep. Foro it., voce Donazione, 1998; Cass. 7 dicembre 1989, n. 5410, in Giur. it., 1990, I, cc. 1590 ss.
(4) Com’è noto la donazione è un contratto caratterizzato: a) dal trasferimento di un bene dal patrimonio del donante – che si impoverisce – a quello del donatario – che si arricchisce, ovvero dall’assunzione di un’obbligazione da parte del primo nei confronti del secondo; b) dall’animus donandi, ossia dallo spirito di liberalità che si identifica nella volontà di conferire ad altri un vantaggio patrimoniale, cui non si è obbligati, e che determina un depauperamento del proprio patrimonio. Solo in presenza di entrambi questi elementi si può parlare di donazione: infatti, ove manchi l’arricchimento del donatario a spese del donante si avranno solitamente altri contratti, caratterizzati dalla gratuità (ad esempio, un mandato gratuito o un mutuo gratuito); ove, invece, vi sia solo l’arricchimento altrui e il depauperamento del patrimonio del soggetto disponente e manchi l’animus donandi si avrà, invece, una mera liberalità, non qualificabile come donazione.
(5) Quando lo spostamento della ricchezza giustificato dall’intento liberale è raggiunto tramite un unico negozio si parla di donazione diretta; quando invece ciò avviene attraverso la combinazione di una pluralità di negozi, aventi causa tipica diversa ed il cui effetto tipico non è l’arricchimento, si parla di donazione indiretta (si pensi, per esempio, all’acquisto di un immobile da parte del figlio ma con il denaro del padre). Solo la donazione diretta deve essere fatta – a tutela del donante – per atto pubblico a pena di nullità (art. 782 Codice civile) e ciò anche quando si tratti di universalità di beni (art. 771, secondo comma) o di beni mobili (art. 782, primo comma). La forma dell’atto pubblico non è invece necessaria per la donazione indiretta essendo sufficiente quella richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta risulta; ciò perché «l’arricchimento non è l’effetto tipico del negozio che le parti adottano per realizzarlo» (Cass. 10 febbraio 1997, n. 1214, in Foro it., 1997, I, c. 743).
(6) La donazione indiretta, dunque, presenta i medesimi elementi caratterizzanti la donazione diretta (v. nota precedente), ma da essa si distingue non in relazione al motivo, né in relazione all’effetto pratico che da essa deriva – come nella ricostruzione della ricorrente -, quanto piuttosto nel mezzo con cui viene attuato il fine di liberalità.
(7) Anche la donazione indiretta deve essere peraltro distinta, come la donazione diretta, dal negozio a titolo gratuito, perché è solo nella donazione (diretta e indiretta) che vi è lo spirito di liberalità, ed è solo nella donazione (diretta e indiretta) che si registra l’arricchimento del patrimonio altrui e il depauperamento di quello del donante: l’«arricchimento » di cui all’art. 769 Codice civile è infatti qualcosa di ulteriore rispetto al mero risparmio di spesa di cui può godere, ad esempio, il mutuatario che risparmia l’interesse o il mandante che risparmia il corrispettivo (v. tuttavia anche l’art. 793 Codice civile). Sulla differenza tra donazione e atto gratuito cfr., ex multis, F. Caringella, Alla ricerca della causa nei contratti gratuiti atipici, in Foro it., 1993, I, cc. 1511 ss.; A. Gianola, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione, Milano, 2002, passim; F. Rolfi, Sulla causa dei contratti atipici a titolo gratuito, in Corr. giur., 2003, 52.
Si noti che, secondo parte della giurisprudenza, quando l’atto è gratuito l’animus donandi si presume iuris tantum: Cass. 19 marzo 1998, n. 2912, in Giur. it., 1998, 2019, secondo la quale «dovendosi presumere l’esistenza dell’animus donandi quando manchi qualsiasi controprestazione al trasferimento di un diritto, il contratto deve essere qualificato come donazione e rivestire, a pena di nullità, la forma ad substantiam». Contra, peraltro, Cass. 11 marzo 1996, n. 2001, in Foro it., 1996, I, c. 1222, secondo cui «l’assenza di corrispettivo, se è sufficiente a caratterizzare i negozi a titolo gratuito, non basta invece ad individuare i caratteri della donazione, per la cui sussistenza sono necessari, oltre all’incremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità) consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elementi di carattere obiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione».
(8) Cass. 10 aprile 1999, n. 3499, in Giur. it., 1999, 2017; Cass. 10 febbraio 1997, n. 1214, in Foro it., 1997, I, c. 743.
(9) V. peraltro infra, alla fine del presente commento, quanto si dirà in tema di possibile conversione della donazione nulla ai sensi dell’art. 1424 Codice civile.
(10) Questo è il titolo atto a comprendere, secondo P. Greco – P. Vercellone, I diritti sulle opere dell’ingegno, Torino, 1974, 267 ss., «ogni specie di atti o rapporti giuridici in base ai quali i poteri che nascono a titolo originario in capo all’autore per il solo fatto della creazione si trovano, in virtù di una qualsiasi causa legittima, attribuiti a terze persone, in esclusività o no».
(11) Sulla configurazione quali facoltà, poteri o diritti soggettivi delle singole prerogative dell’autore v. P. Greco, Saggio sulle concezioni del diritto d’autore, in Riv. dir. civ., 1964, I, 541, n. 6.
(12) Sul c.d. principio di indipendenza delle facoltà di utilizzazione v. T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, 804; P. Auteri, Contratti traslativi del diritto d’autore e principio di indipendenza delle facoltà di utilizzazione, in Riv. dir. ind., 1963, II, 123 ss.