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Author: admin_avvocatidiimpresa

Donazione e negozi traslativi del diritto d’autore

Cassazione Civile, sez. I, 16 aprile 2002, n. 5461
Pres. Olla – Rel. Berruti – PM Velardi M. (conf.) – Vacondia Marzotto c. Carapezza Guttuso ed altra
Beni – Immateriali – Diritti di autore (proprietà intellettuale) – Diritti di utilizzazione economica (contenuto del diritto)

Cessione o trasferimento – Circolazione dei diritti di utilizzazione economica – Art. 107 legge dir. autore –
Riferimento a modi e forme consentiti dalla legge – Portata – Regole comuni dei negozi, tipici o atipici, utilizzabili
dall’autonomia privata – Applicabilità – Conseguenze – Possibilità di realizzare la causa tipica di liberalità senza il rispetto
delle forme della donazione – Esclusione.

L’art. 107 della legge 22 aprile 1941, n. 633, stabilendo che i diritti di utilizzazione spettanti agli autori
delle opere dell’ingegno, nonché i diritti connessi aventi carattere patrimoniale possono essere acquistati,
alienati o trasmessi in tutti i modi e forme consentiti dalla legge, disciplina la circolazione, anche separata,
delle facoltà derivanti dal diritto d’autore secondo le regole ordinarie dei contratti, cosicché detta
circolazione, fatti salvi i limiti di inalienabilità stabiliti dalla normativa speciale, si realizza in base ai negozi,
tipici o atipici, volta a volta utilizzabili dall’autonomia privata; è pertanto da escludere che la citata
norma consenta alle parti di perseguire la causa tipica di liberalità, consistente nel diretto arricchimento
dell’oblato senza alcun corrispettivo, con un negozio sottratto agli obblighi di forma della donazione.

Svolgimento del processo
Fabio Carapezza Guttuso, erede di Renato Guttuso, conveniva davanti al Tribunale di Milano Marta Vacondio Marzotto e la s.p.a. Standa lamentando che la società predetta aveva commercializzato prodotti riproducenti opera del maestro Renato Guttuso. Tale sfruttamento era stato abusivamente concesso, a dire dell’attore, dalla convenuta Vacondio Marzotto, sulla base di una scrittura redatta dal defunto autore, in data 23 settembre 1986. Chiedeva che il tribunale accertasse la natura di donazione della predetta scrittura e la dichiarazione pertanto nulla per mancanza della forma prevista dalla legge per la validità di tale contratto. Chiedeva quindi il risarcimento dei danni subiti ed i provvedimenti necessari ad impedire la continuazione del comportamento illecito denunciato. Resistevano i convenuti. Tra l’altro la Vacondio Marzotto rilevava la natura di donazione indiretta nell’atto contenuto nella predetta scrittura e dunque l’inapplicabilità alla specie delle regole che stabiliscono la forma del contratto di donazione. A suo avviso la scrittura conteneva un negozio tipico, ancorché utilizzato secondo lo schema della donazione indiretta, ai sensi dell’art. 107 della legge sul diritto di Autore. Il tribunale accoglieva la domanda del Carapezza quanto alla dichiarazione di nullità del negozio in questione, che definiva donazione. Respingeva la domanda di risarcimento dei danni. La Corte d’Appello respingeva l’impugnazione avanzata dalla Marzotto, mentre la Standa rimaneva contumace. Per ciò che ancora rileva, il secondo giudice riteneva che il sistema di cui agli artt. 2581 Codice civile e 107 della legge n. 633 del 1941 (legge Autore) non preveda un contratto tipico di cessione dei singoli diritti facenti parte della posizione protetta dell’autore, ed in particolare non conosca altri contratti tipici oltre quelli di edizione e di rappresentazione – esecuzione. Pertanto ribadiva la natura di donazione rivestita dalla cessione espressa nella scrittura del 1986 e la sua nullità per mancanza della forma solenne stabilita dalla legge.
Contro questa sentenza ricorre per Cassazione con due motivi Marta Vacondio Marzotto. Resiste e spiega ricorso incidentale condizionato Fabio Carapezza Guttuso. Deposita un controricorso ed un ricorso incidentale anche la s.p.a. Euridea, già Standa s.p.a. Tutte le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione
1) I ricorsi vanno preliminarmente riuniti.
2) Va rilevato ancora preliminarmente che Euridea non ha interesse a proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza della corte di merito che ha confermato la prima decisione. Questa infatti respinse la domanda di risarcimento dei danni avanzata avverso la Standa e la statuizione non è mai stata impugnata, né dal Carapezza né dalla stessa società. Il suo ricorso incidentale è dunque inammissibile.
3) Con il primo motivo del suo ricorso Marta Vacondio Marzotto lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2581 Codice civile, e 107 legge n. 633 del 1941 (l.a.) nonché dei principi e delle norme che disciplinano i negozi e le donazioni indirette. Sostiene che la sentenza impugnata ha male inteso e male interpretato la scrittura del 1986 per effetto di un errore giuridico consistito nell’avere a priori escluso la configurabilità di una negoziazione tipica avente ad oggetto la alienazione o la circolazione di uno dei diritti di sfruttamento spettanti all’autore dell’opera dell’ingegno. Afferma che invece la norma dell’art. 107 l.a. chiarisce la possibilità di dar vita a negoziazioni aventi un tale oggetto specifico, con il solo obbligo del rispetto della forma scritta. Afferma che in conseguenza di tale equivoco la Corte di merito non si è avveduta che sottostante alla scrittura vi era una concessione da parte di Renato Guttuso alla Marzotto Vacondio del diritto a divulgare l’opera dell’ingegno, negozio avente causa tipica distinta da quella della donazione, ma con essa legittimamente combinabile nello schema di un negozio indiretto, sottratto agli obblighi di forma della donazione.
3a) Con il secondo connesso motivo che va esaminato insieme al primo, la ricorrente lamenta la motivazione insufficiente e contraddittoria sui relativi punti decisivi della controversia e ribadisce l’errore di escludere la tipicità dei negozi risalenti all’art. 107 l.a.
4) Osserva il collegio che la prima censura sfugge alla sanzione della inammissibilità perché allega la pretesa cattiva interpretazione dell’atto negoziale del 1986 da parte della Corte di merito quale conseguenza della negazione, corrispondente a sua volta ad un errore di diritto, di un negozio tipico risalente all’art. 107 l.a. Ciò premesso va rilevato che la nostra legge, dalla normativa codicistica a quella della legge speciale, comprende nel diritto esclusivo spettante all’autore tanto le facoltà di utilizzazione dell’opera quanto quelle, diverse, sull’opera, previste a tutela della personalità dell’autore stesso. L’art. 2577 Codice civile stabilisce anzitutto il diritto dell’autore di pubblicare l’opera, quindi di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge. Quindi la norma dell’art. 12 della legge speciale chiarisce, dopo dell’affermazione fondamentale della esclusività del diritto di pubblicare l’opera, che l’autore per l’appunto ha diritto di utilizzare economicamente la stessa in ogni modo e forma, originale e derivata, in particolare «con l’esercizio dei diritti esclusivi indicati negli articoli seguenti» (incluso tra questi l’art. 107, ndr.). I diritti stessi sono esplicitamente indicati come modalità del diritto esclusivo di utilizzazione economica, che pertanto include ogni possibilità di trarre utilità dall’opera dell’ingegno. Ancora la legge speciale all’art. 19, stabilisce che i diritti esclusivi di cui si tratta sono tra loro indipendenti, e che l’esercizio di ciascuno di essi non esclude quello, sempre esclusivo, di ciascuno degli altri, e conclude che i diritti hanno sempre per oggetto l’opera nel suo insieme ed in ciascuna delle sue parti.
Consegue che la norma dell’art. 107, letta in coerenza con tale assetto giuridico, non fa altro, stabilendo che i diritti di utilizzazione possono essere acquistati, alienati, e trasmessi in tutti i modi consentiti dalla legge, che disciplinare richiamando le regole ordinarie dei contratti la circolazione anche separata di tali facoltà di autore, (cfr. Cass. 1951 del 1966; 3004 del 1973).
Da tale norma pertanto non si può trarre, come pretende la ricorrente, a proposito dei negozi in questione la conclusione della loro diversità di natura giuridica rispetto a quelli di alienazione e trasmissione dei diritti in genere. Il problema non è infatti la tipicità di tali contratti, erroneamente esclusa dalla sentenza impugnata senza che tale errore di inquadramento delle fattispecie abbia influito sulla statuizione, cosicché essa necessita solo di essere integrata e corretta nel senso che si sta precisando. Problema è, piuttosto, se essi abbiano, come pretende la ricorrente, in virtù di tale tipicità discendente dalla previsione legale, ciascuno una propria distinta causa tipica che pertanto li differenzia reciprocamente sotto il profilo funzionale. A tale quesito la Corte deve rispondere negativamente. La legge non disciplina la trasmissione di tali diritti come rispondente ciascuna a funzioni economico pratiche a se stanti, ma invece menzionando i modi e le forme consentite richiama le ordinarie cause cui risalgono i negozi che realizzano la circolazione dei diritti. Cosicché la circolazione di una o più facoltà in questione, fatti salvi i limiti di inalienabilità stabiliti dalla normativa speciale, avviene secondo le regole dei contratti e dei negozi, tipici o atipici, volta per volta utilizzati dalla autonomia privata. Pertanto, pare il caso di precisare, alla causa di liberalità si contrappone quella di onerosità, non certo, comparando concetti giuridici disomogenei, lo scopo
pratico di cedere una sola delle facoltà in questione, rispetto a quello corrispondente alla cessione plurima.
5) La conclusione espressa risulta confermata dalla logica del negozio indiretto, così come la giurisprudenza, sulla scorta di una illustre dottrina ha da tempo chiarito. La differenza tra donazioni dirette e donazioni indirette non consistite nella diversità dell’effetto pratico che da esse deriva, ma piuttosto nel mezzo con il quale viene attuato il fine di liberalità. Questo per le prime è il contratto di donazione, per la seconda è un atto che pur essendo rivolto, secondo lo scopo pratico delle parti, ad attuare il medesimo fine, lo realizza obliterando la causa tipica del negozio (cfr. Cass. 1465 del 1969). Nel caso in esame si è verificato l’esatto contrario, perché la scrittura del 1986, nella ricostruzione che ne ha fatto il giudice del merito, mira a raggiungere direttamente la funzione di arricchire senza corrispettivo taluno, senza sovrapporre ad essa lo scopo pratico realizzato. Muovendo da premesse giuridiche che il collegio condivide la corte di merito ha interpretato il contratto dando conto delle sue conclusioni con motivazione che non fa emergere alcun vizio rilevante in questa sede.
I due motivi sono infondati.
6) La trattazione di ricorso incidentale condizionato del Carapezza Guttuso risulta assorbita dalla affermata infondatezza del ricorso principale.
7) Deve dunque essere dichiarato inammissibile il ricorso della s.p.a. Euridea. Il ricorso principale deve essere rigettato. Deve essere dichiarato assorbito quello del Carapezza. La complessità delle questioni e la predetta correzione della sentenza impugnata giustificano la compensazione delle spese tra tutte le parti.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale dichiara assorbito quello del Carapezza Guttuso. Dichiara assorbito il ricorso della s.p.a. Euridea. Compensa le spese del giudizio tra tutte le parti.

IL COMMENTO
di Cristina Bellomunno e Marco Speranzin (*)

Il caso
Con la pronuncia in epigrafe (1) la Suprema Corte da un lato esamina il criterio distintivo tra donazione diretta e donazione indiretta – già oggetto di approfonditi studi da parte della dottrina (2) e di pronunce della giurisprudenza (3), e che non sarà oggetto della presente nota -, dall’altro precisa la portata dell’art. 107 della legge 22 aprile 1941, n. 633 in relazione ai negozi che consentono la circolazione del diritto d’autore. La vicenda in esame ha visto contrapposti Fabio Carapezza Guttuso, erede di Renato Guttuso, la signora Marta Vacondio Marzotto e la Standa s.p.a. Nel 1986 Renato Guttuso aveva ceduto alla signora Marzotto, tramite scrittura privata, il diritto di riprodurre su supporti di ogni genere le proprie opere. Sulla base di tale scrittura la signora Marzotto aveva quindi concesso alla Standa s.p.a. il diritto di riprodurre una di queste opere su vari oggetti e quello di commercializzare i prodotti che ne recavano la riproduzione. Contro tale situazione insorgeva il figlio ed erede di Renato Guttuso, sostenendo l’abusiva concessione alla Standa del diritto di commercializzare i prodotti recanti la riproduzione dell’opera paterna, e ciò in quanto la donazione effettuata dal padre a favore della signora Marzotto era nulla, per mancanza della necessaria forma solenne prevista dal Codice civile ai fini della validità del contratto (art. 782 Codice civile) (4); di conseguenza, non poteva dirsi legittimamente trasferito il diritto alla Standa. I convenuti sostenevano invece la presunta natura di donazione indiretta della scrittura privata, con la conseguente inapplicabilità delle forme richieste per la donazione, e la validità e l’efficacia, dunque, del duplice trasferimento. Il Tribunale, accogliendo la richiesta dell’attore e ritenendo la scrittura una donazione diretta, ne dichiarava la nullità per mancanza della forma solenne. La signora Marzotto proponeva appello ma la sua domanda veniva respinta, per lo stesso motivo, anche in quella sede. La signora Marzotto depositava, quindi, ricorso in Cassazione sostenendo che la scrittura del 1986 era stata erroneamente interpretata a causa di un errore di diritto. Secondo la ricorrente il giudice di merito aveva infatti escluso a priori la configurabilità di un negozio tipico avente ad oggetto la circolazione di una delle facoltà di sfruttamento spettanti all’autore: l’art. 107 l.a. conferirebbe, infatti, la possibilità di dar vita a negoziazioni tipiche aventi ad oggetto uno dei diritti di sfruttamento dell’opera dell’ingegno, con il solo obbligo del rispetto ai fini della prova della forma scritta, sia essa atto pubblico o scrittura privata (art. 110 l.a.). Nella ricostruzione della ricorrente, dunque, la scrittura del 1986 contenente la concessione a proprio favore del diritto di riprodurre l’opera dell’ingegno non era una donazione diretta, ma un negozio avente causa tipica, distinta da quella della donazione, secondo lo schema del negozio indiretto. Di conseguenza, per la validità della scrittura non era richiesta la forma solenne necessaria per la donazione, essendo invece sufficiente la forma scritta (5).
La Cassazione rigetta il ricorso.
Premettono i Giudici che le norme in materia di diritto d’autore, sia quelle contenute nel Codice civile che quelle contenute nella legge speciale del 1941, attribuiscono all’autore il diritto di disporre economicamente dell’opera traendone ogni utilità possibile, ai sensi degli artt. 13 e ss. l.a.
L’art. 107 l.a. si limita ad esplicitare il principio della trasmissibilità (inter vivos e mortis causa) dei diritti patrimoniali d’autore, senza prevedere tuttavia regole particolari per il trasferimento dei diritti medesimi, che possono così circolare secondo le regole ordinarie che disciplinano i vari contratti di volta in volta utilizzati dall’autonomia privata. Ciò in quanto i negozi di trasmissione dei diritti d’autore non sono, in virtù di tale oggetto, tipi contrattuali diversi, né hanno una causa diversa che li differenzia sotto il profilo funzionale rispetto a quelli che realizzano la circolazione dei diritti in genere.
Ciò premesso, la Cassazione non censura dunque la qualificazione della scrittura privata del 1986 come donazione diretta e non indiretta (6): sulla base della ricostruzione del fatto effettuata dai giudici di merito la funzione della scrittura era stata individuata, infatti, nell’arricchimento della controparte senza alcun corrispettivo, senza peraltro che a tale negozio fosse sovrapposto un ulteriore scopo pratico (7).
Avendo qualificato la scrittura del 1986 come donazione diretta, la Cassazione ha ritenuto, inevitabilmente, che essa fosse invalida per mancanza del rispetto della forma solenne prevista dall’art. 782 Codice civile, non essendo sufficiente la sola forma scritta a salvarla dalla declaratoria di nullità (8). Se, invece, accogliendo la tesi del ricorrente la scrittura in questione fosse stata qualificata come donazione indiretta, non sarebbe stata necessaria neppure la forma scritta, in quanto l’art. 110 l.a. infatti richiede la forma scritta ad probationem e non anche per la validità dell’atto (9).

La circolazione giuridica del diritto d’autore
Il profilo di rilevanza della sentenza che qui viene preso in esame concerne, come accennato, l’esame del diritto d’autore nella «circolazione giuridica» (10). Tale diritto risulta da un lato peculiare, infatti, in ragione del suo contenuto: esso si compone di una pluralità di facoltà o poteri (v. artt. 12 ss. l.a.) (11), tra loro indipendenti (art. 19 l.a.), che l’autore può esercitare separatamente (12). Ne deriva, quindi, la possibilità di trasferire uno solo di tali poteri o facoltà, mentre gli altri rimangono in capo


Note:
(*) Il primo paragrafo della presente nota è stato curato da Cristina Bellomunno; i successivi da Marco Speranzin.
(1) Pubblicata anche in Giur. it., 2002, 1644 ss., con nota di A. Burzio, Brevi note sul trasferimento dei diritti patrimoniali d’autore mediante donazione; in Foro it., 2002, I, 1, cc. 3144 ss.; in Dir. aut., 2002, 319 ss.
(2) Si v., senza pretesa di completezza, U. Carnevali, voce Liberalità (atti di), in Enc. dir., Milano, 1974, 218 ss.; C. Manzini, Il contratto gratuito atipico, in Contr. e impresa,1986, 909 ss.; C. Ebene Cobelli, Donazioni, in Riv. dir. civ., 1987, II, 209 ss.; A. Checchini, voce Liberalità (atti di), in Enc. Giur. Treccani, XXIII, Roma, 1991; E. Emiliozzi, La donazione indiretta, in Giust. civ., 1994, II, 423 ss.; M. Di Paolo, Negozio indiretto, voce del Dig. discipl. privat., Sez. civ., Torino, 1995, 127; U. Carnevali, Le donazioni, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1997, 498 ss.; A. Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, 2000, 347 ss.; Id., Le donazioni indirette, in La donazione, Trattato, diretto da G. Bonilini, Torino, 2001, 52 ss.; A. Bortoluzzi, Novità fiscali e oneri formali della donazione diretta e indiretta, in Vita not., 2001, 492 ss.; Valenza, La donazione indiretta tra diritto civile e diritto tributario, in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, 179; L. Gatt, La liberalità, Torino, 2002, I, 31 ss.
(3) Cass. 15 novembre 1997, n. 11327, in Contratti, 1998, 242 ss., con nota di G. F. Basini e anche in Foro it., 1999, I, c. 994; Cass. 29 maggio 1998, n. 5310, in Rep. Foro it., voce Donazione, 1998; Cass. 7 dicembre 1989, n. 5410, in Giur. it., 1990, I, cc. 1590 ss.
(4) Com’è noto la donazione è un contratto caratterizzato: a) dal trasferimento di un bene dal patrimonio del donante – che si impoverisce – a quello del donatario – che si arricchisce, ovvero dall’assunzione di un’obbligazione da parte del primo nei confronti del secondo; b) dall’animus donandi, ossia dallo spirito di liberalità che si identifica nella volontà di conferire ad altri un vantaggio patrimoniale, cui non si è obbligati, e che determina un depauperamento del proprio patrimonio. Solo in presenza di entrambi questi elementi si può parlare di donazione: infatti, ove manchi l’arricchimento del donatario a spese del donante si avranno solitamente altri contratti, caratterizzati dalla gratuità (ad esempio, un mandato gratuito o un mutuo gratuito); ove, invece, vi sia solo l’arricchimento altrui e il depauperamento del patrimonio del soggetto disponente e manchi l’animus donandi si avrà, invece, una mera liberalità, non qualificabile come donazione.
(5) Quando lo spostamento della ricchezza giustificato dall’intento liberale è raggiunto tramite un unico negozio si parla di donazione diretta; quando invece ciò avviene attraverso la combinazione di una pluralità di negozi, aventi causa tipica diversa ed il cui effetto tipico non è l’arricchimento, si parla di donazione indiretta (si pensi, per esempio, all’acquisto di un immobile da parte del figlio ma con il denaro del padre). Solo la donazione diretta deve essere fatta – a tutela del donante – per atto pubblico a pena di nullità (art. 782 Codice civile) e ciò anche quando si tratti di universalità di beni (art. 771, secondo comma) o di beni mobili (art. 782, primo comma). La forma dell’atto pubblico non è invece necessaria per la donazione indiretta essendo sufficiente quella richiesta per l’atto da cui la donazione indiretta risulta; ciò perché «l’arricchimento non è l’effetto tipico del negozio che le parti adottano per realizzarlo» (Cass. 10 febbraio 1997, n. 1214, in Foro it., 1997, I, c. 743).
(6) La donazione indiretta, dunque, presenta i medesimi elementi caratterizzanti la donazione diretta (v. nota precedente), ma da essa si distingue non in relazione al motivo, né in relazione all’effetto pratico che da essa deriva – come nella ricostruzione della ricorrente -, quanto piuttosto nel mezzo con cui viene attuato il fine di liberalità.
(7) Anche la donazione indiretta deve essere peraltro distinta, come la donazione diretta, dal negozio a titolo gratuito, perché è solo nella donazione (diretta e indiretta) che vi è lo spirito di liberalità, ed è solo nella donazione (diretta e indiretta) che si registra l’arricchimento del patrimonio altrui e il depauperamento di quello del donante: l’«arricchimento » di cui all’art. 769 Codice civile è infatti qualcosa di ulteriore rispetto al mero risparmio di spesa di cui può godere, ad esempio, il mutuatario che risparmia l’interesse o il mandante che risparmia il corrispettivo (v. tuttavia anche l’art. 793 Codice civile). Sulla differenza tra donazione e atto gratuito cfr., ex multis, F. Caringella, Alla ricerca della causa nei contratti gratuiti atipici, in Foro it., 1993, I, cc. 1511 ss.; A. Gianola, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione, Milano, 2002, passim; F. Rolfi, Sulla causa dei contratti atipici a titolo gratuito, in Corr. giur., 2003, 52.
Si noti che, secondo parte della giurisprudenza, quando l’atto è gratuito l’animus donandi si presume iuris tantum: Cass. 19 marzo 1998, n. 2912, in Giur. it., 1998, 2019, secondo la quale «dovendosi presumere l’esistenza dell’animus donandi quando manchi qualsiasi controprestazione al trasferimento di un diritto, il contratto deve essere qualificato come donazione e rivestire, a pena di nullità, la forma ad substantiam». Contra, peraltro, Cass. 11 marzo 1996, n. 2001, in Foro it., 1996, I, c. 1222, secondo cui «l’assenza di corrispettivo, se è sufficiente a caratterizzare i negozi a titolo gratuito, non basta invece ad individuare i caratteri della donazione, per la cui sussistenza sono necessari, oltre all’incremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità) consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elementi di carattere obiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione».
(8) Cass. 10 aprile 1999, n. 3499, in Giur. it., 1999, 2017; Cass. 10 febbraio 1997, n. 1214, in Foro it., 1997, I, c. 743.
(9) V. peraltro infra, alla fine del presente commento, quanto si dirà in tema di possibile conversione della donazione nulla ai sensi dell’art. 1424 Codice civile.
(10) Questo è il titolo atto a comprendere, secondo P. Greco – P. Vercellone, I diritti sulle opere dell’ingegno, Torino, 1974, 267 ss., «ogni specie di atti o rapporti giuridici in base ai quali i poteri che nascono a titolo originario in capo all’autore per il solo fatto della creazione si trovano, in virtù di una qualsiasi causa legittima, attribuiti a terze persone, in esclusività o no».
(11) Sulla configurazione quali facoltà, poteri o diritti soggettivi delle singole prerogative dell’autore v. P. Greco, Saggio sulle concezioni del diritto d’autore, in Riv. dir. civ., 1964, I, 541, n. 6.
(12) Sul c.d. principio di indipendenza delle facoltà di utilizzazione v. T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, 804; P. Auteri, Contratti traslativi del diritto d’autore e principio di indipendenza delle facoltà di utilizzazione, in Riv. dir. ind., 1963, II, 123 ss.

L’estinzione delle società di capitali in seguito a iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese

SOMMARIO: 1. La disciplina dell’estinzione della società dopo il decreto legislativo n. 6 del 2003. –  2. La tutela dei creditori prima della iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese: lo strumento dell’opposizione al bilancio finale di liquidazione. – 3. (Segue): ulteriori proposte interpretative e loro dubbia efficacia. – 4. La divisione del patrimonio quale successione inter vivos a titolo universale dei soci nel patrimonio della società. – 5. Rapporti attivi ancora esistenti dopo la cancellazione ed il ruolo dei liquidatori. – 6. (Segue): le sopravvenienze passive, Esclusione di un’ipotesi di pa­trimonio separato. L’azione ex art. 512 e ss. c.c. – 7. L’azione dei creditori sociali nei confronti dei liquidatori quale «strumento di chiusura» della disciplina dell’estinzione,

1. A seguito del d.lgs. n. 6 del 2003 e del nuovo art. 2495, comma 2, c.c., si deve ora ritenere certo che la società (per lo meno di capitali (1)) sia

da considerarsi estinta con l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e la successiva iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese (2). Non si può quindi più ritenere, come faceva  la giurisprudenza prevalente nel vigore della precedente norma dell’art. 2456 c.c., che la società continui ad esistere finché tutti i rapporti ad essa facenti capo, siano essi attivi o pas­sivi, sostanziali o processuali, non siano stati completamente definiti(3). Il legislatore, con l’inserimento dell’inciso «ferma restando l’estinzione della società» al comma 2 dell’art. 2495 c.c., ha in sostanza accolto l’indi­rizzo decisamente prevalente in dottrina (4)  secondo il quale la società come

soggetto di diritto deve considerarsi estinta dal momento dell’attuazione della pubblicità nel registro delle imprese, mediante iscrizione del fatto estintivo (la cancellazione della società) (5). Ciò fermo restando che l’estin­zione della società, e le questioni che ne conseguono, non interferiscono con il diverso problema della fine dell’impresa, che può verificarsi anche in un momento anteriore o posteriore alla iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese, in quanto non vi è alcuna correlazione necessa­ria tra l’esistenza del soggetto imprenditore e il fallimento, come testimonia del resto l’art. 11 l.f. (6).

Il momento dell’estinzione della società trova quindi ora una soluzione parallela a quella dell’estinzione delle persone giuridiche del primo libro (v. art. 6, comma 2, d.p.r. 361/2001) (7), a quella prevista nel Progetto di ri­forma della disciplina delle società di persone (8), nonché a quella dell’estin­zione della società negli ordinamenti che sono stati interessati da modifiche legislative recenti a questo proposito (9).

Tale scelta del legislatore di risolvere attraverso l’inciso citato un pro­blema interpretativo, che vedeva schierate la giurisprudenza e la dottrina in posizioni – almeno in prevalenza – diametralmente opposte, ha peraltro lasciato aperte ancora numerose questioni relative alla disciplina applica­ bile al procedimento di estinzione della società.

  1. In primo luogo, il legislatore delegato, in conformità all’art. 9 della legge n. 366 del 2001 (legge delega al Governo per la riforma del diritto societario), ha introdotto tre ipotesi di iscrizione d’ufficio della cancella­ zione nel registro delle imprese, due delle quali si verificano nel caso di mancanza di un’attività liquidativa (10). Tuttavia non ha chiaramente disci­plinato – o lo ha fatto in maniera contraddittoria – il procedimento da osservare in tali casi.

Infatti, da un lato, con riferimento alle società di capitali, il mancato deposito del bilancio in fase di liquidazione (ex art. 2490, comma 1, c.c.) per tre anni consecutivi determina, ai sensi dell’art. 2490, comma 6, c.c., l’obbligo per l’ufficio del registro delle imprese di provvedere alla iscri­zione d’ufficio della cancellazione della società « con gli effetti previsti dal­l’art. 2495 c.c..» (11).
Dall’altro, con riferimento alle società cooperative e agli enti mutuali­ stici in liquidazione ordinaria, il mancato deposito del bilancio d’esercizio da parte dei liquidatori per cinque anni determina, ai sensi dell’art. 2545-octiesdecies, comma 2, c.c., l’obbligo per l’autorità di vigilanza preposta al controllo della liquidazione di pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale un

elenco delle società che non hanno effettuato tale deposito. In quest’ultimo caso, ossia solo nel caso dell’art. 2545-octiesdecies, comma 2, c.c. (12), i cre­ditori e gli altri interessati possono chiedere, entro trenta giorni da tale pub­blicazione, la continuazione della liquidazione con «formale e motivata do­ manda». La società cooperativa può essere quindi cancellata dal conserva­ tore del registro delle imprese solo a seguito della comunicazione da parte dell’autorità di vigilanza della mancata domanda da parte dei creditori e degli altri interessati, e da quel momento (dall’iscrizione della cancella­zione) la società deve considerarsi estinta (13).

La terza ipotesi di cancellazione d’ufficio è stata infine prevista in una norma transitoria, l’art. 223-quater, comma 2: si tratta del caso di iscrizione della società nel registro delle imprese avvenuta senza l’autorizzazione di cui all’art. 2329, numero 3), c.c. L’autorità competente al rilascio di tale autorizzazione può infatti proporre istanza per la «cancellazione della so­cietà dal registro»; tuttavia, nel caso di accoglimento dell’istanza da parte del Tribunale, si applica l’art. 2332 c.c., e quindi la procedura da seguire per il caso di nullità della società. Sembra quindi che la norma si esprima in realtà impropriamente e non regoli direttamente un’ipotesi di estinzione in seguito all’iscrizione della cancellazione, bensì di scioglimento della so­cietà (14), con nomina dei liquidatori da parte del tribunale (art. 2332, comma 4, c.c.) e successiva liquidazione (15).

b) In secondo luogo, il legislatore delegato non ha completamente se­guito l’art. 8, lett. a), della legge delega (n. 366/2001), e non ha provveduto a disciplinare espressamente « il regime… delle sopravvenienze attive e pas­sive» successive alla iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese. Rimane quindi aperto il problema, fortemente discusso dalla dottrina precedente, di quale sia la sorte dei beni e dei rapporti ignoti ai liquidatori o da questi trascurati, nonché la natura  dell’azione  ex  art. 2495 c.c. nei confronti dei soci.

c) In terzo luogo, non è stato previsto – almeno esplicitamente – uno strumento preventivo specifico di tutela dei creditori,  per il caso in cui i liquidatori intendano procedere alla cancellazione e quindi all’estinzione della società, violando il principio secondo il quale l’attivo sociale non può essere ripartito tra i soci prima che siano soddisfatti i creditori so­ciali (16).

2. È bene analizzare preliminarmente quest’ultimo problema, che si prese!lta come il principale nonché il primo da un punto di vista logico.

E noto infatti che alla base dell’orientamento della giurisprudenza, che faceva sopravvivere la società all’iscrizione della cancellazione del registro delle imprese, stava principalmente la considerazione del rischio, per i cre­ditori sociali ritardatari o sopravvenuti, di trovarsi ad agire (ex art. 2456 vecchio, ora art. 2495 c.c.) nei confronti di una pluralità di soci, spesso di difficile reperimento; per di più i creditori sociali avrebbero dovuto an­che subire il concorso dei creditori particolari dei soci stessi, venendo meno, con l’estinzione, il vincolo di destinazione sul patrimonio sociale e quindi il diritto dei creditori sociali ad essere soddisfatti previamente su tale patrimonio (17).

A questo proposito la dottrina, pur mantenendo fermo il proprio con­vincimento relativo al momento dell’estinzione della società (18), aveva tut­tavia proposto diverse soluzioni interpretative per attribuire ai creditori so­ciali uno strumento di intervento nella fase finale della liquidazione, al fine di evitare tali rischi. Poiché l’iscrizione della cancellazione dal registro costituisce un obbligo per i liquidatori, e in caso di loro inerzia per i compo­nenti dell’organo di controllo, una volta terminata la liquidazione con l’ap­provazione del bilancio finale e la ripartizione dell’attivo (art. 2495, comma 1, c.c.) (19), la dottrina menzionata voleva impedire l’effetto estintivo che deriva dall’iscrizione concedendo ai creditori sociali un mezzo per impugnarla. Seppure tali interpretazioni non avessero fatto breccia –   se non in parte, come vedremo – nelle decisioni della giurisprudenza, risulta inte­ressante riconsiderarle alla luce delle nuove norme introdotte dalla riforma del diritto societario.

Una prima tesi (20) suggeriva di riconoscere anche ai creditori sociali il diritto di proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione entro tre mesi dall’iscrizione del deposito di tale bilancio presso l’ufficio del regi­stro delle imprese (art. 2492, comma 3, c.c.) (21). Tale interpretazione si fondava principalmente sull’analisi congiunta delle ipotesi della riduzione del capitale di cui all’art. 2445 c.c. e dell’estinzione: come durante socie­tate i creditori possono avvalersi dell’opposizione (art. 2445 c.c.) per impe­dire la liberazione di parti del patrimonio sociale dal vincolo di destina­zione, così anche nella fase dello scioglimento della società si deve attri­buire ai creditori sociali uno strumento di tutela analogo per impedire tale


(1) Sembra peraltro che una norma, quale l’art. 2495 c.c. nuova formulazione, dettata per le società di capitali al fine di risolvere un dubbio interpretativo che precedentemente si poneva per tutte le società registrate, possa ora servire anche per l’interpretazione degli artt. 2312 e 2324 c.c., relativi al momento estintivo rispettivamente delle s.n.c. e delle s.a.s. iscritte nel registro delle imprese; ciò anche se risulta particolarmente discusso se sia possibile utiliz­zare norme dei tipi «superiori» (in questo caso: relative alle società di capitali) per l’interpre­tazione di disposizioni relative ai tipi «inferiori» (società di persone) o per risolvere lacune relative a questi ultimi: v. P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, 1974, 321; cfr. però G.B. PORTALE, Profili dei conferimenti in natura nel nuovo diritto italiano delle società di ca­pitali, in Corr. giur., 2003, 1671 e nt. 51, ove ulteriori riferimenti, secondo il quale la tesi ne­gativa nei confronti di tale interpretazione o applicazione analogica non è stata pienamente dimostrata.
L’applicazione alle società di persone registrate di norme dettate in sede di disciplina della liquidazione delle società di capitali era convincimento diffuso già prima della riforma: cfr. ad es. G. NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, vol. VII, tomo 3, 1997, 685, nt. 5; M. BUSSOLETTI-E. FAZZUTTI, Società in nome collettivo, in D. disc. priv., sez. comm., Torino, Vol. XIV, 1997, 306. Nello stesso senso in Germania le disposizioni sulla liquidazione dell’Aktiengesetz sono ritenute applicabili anche alle altre società: di recente v. T. RIEHM, Gerichtliche Bestellung des Nachtragsliquidators ein Modell fiir alle Handelsgesellschaften, in NZG, 2003, 1055 ss., ove ulteriori riferimenti.
(2) La norma (art. 2495, comma 2, c.c.) ora prevede che «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere no­tificata presso l’ultima sede della società». La conclusione di cui nel testo è pacifica in tutti i primi commenti al d.lgs. n. 6 del 2003: cfr. L. PARRELLA, Cancellazione della società, in La riforma delle società, Commentario del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, 305 ss.; G. NICCOLINI, La disciplina dello scioglimento, della liquidazione e dell’estinzione delle società di capitali, in La riforma delle società, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2003, 191 ss. (anche in Riv. dir. impr., 2003, 248 e ss.); ID., Art, 2495, in Società di capitali, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, in corso di pubblicazione, Napoli, 2004, § 3, che si è potuto consultare grazie alla cortesia dell’Autore; A. DIMUNDO, in Gruppi, trasformazione, fusione e scissione, scioglimento e liquidazione, società estere, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003, 217 ss.; A. SANTUS-G. DE MARCHI, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Riv. not., 2003, 599 ss.; F. CORSI, Le nuove società di capitali, Milano, 2003, 279; F. D1 SABATO, Diritto delle società, Milano, 2003, 501.
(3) Anche se non erano mancate, soprattutto nell’ultimo periodo, alcune prese di posi­zione della giurisprudenza in senso contrario alla sopravvivenza della società alla cancellazione dal registro delle imprese: v. Trib. Monza, 12 febbraio 2001, in Giur. comm., 2002, II, 91 ss., e in Società, 2001, 831 ss,; Trib. Vercelli, 5 luglio 2002, in Società, 2003, 221 ss. (con riferi­mento all’art. 2312 c.c.); App. Milano, 29 novembre 2002, in Giur. it., 2003, 1195 ss., e in Società, 2003, 837 ss. L’orientamento assolutamente prevalente in giurisprudenza (v. da ul­timo Cass., 22 novembre 2002, n. 16486, in Guida al dir., 2003, n. 1, 86; Trib. Mantova, 13 febbraio 2003, G,U. Bernardi, inedita; Cass., 24 settembre 2003, n. 14147, in Società, 2003, 1622; Trib. Messina, 25 ottobre 2003, inedita, in www.ipsoa.it.; App. Trieste, 8 gennaio 2004, n. 7, inedita) era stato considerato preferibile, in dottrina, in particolare da parte di G. OPPO, Forma e pubblicità nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1966, I, 163 ss.; G. NICCOLINI (nt. 1), 703 ss., ove tutte le citazioni delle sentenze in argomento, nonché (con riferimento al­ l’art. 2312, secondo comma, c.c.) da M. BUSSOLETII-E. FAZZuTTI (nt. 1), 306.
(4) Non è qui possibile riportare tutti i contributi che, con riferimento al «precedente» art. 2456 c.c. avevano accolto l’orientamento che ora il legislatore ha voluto esplicitare inse­rendo l’inciso ricordato: v. ex multis, per citare due recenti note a sentenza ove riferimenti alla dottrina in argomento, M. SPERANZINI, Recenti sentenze in tema di estinzione dì società: osser­vazioni critiche, in Giur. comm., 2000, II, 285 ss., e A. ZORZI, Cancellazione della società dal registro delle imprese, estinzione della società e tutela dei creditori, ivi, 2002, Il, 91 ss.
(5) A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, in Trattato di diritto commerciale, di­retto da V. Buonocore, Torino, 2001, 35, fa notare che cancellazione in senso proprio si ha solo nell’ipotesi di cui all’art. 2191 c.c., mentre nell’ipotesi di cui al novellato art. 2495 c.c. (e dei «vecchi» artt. 2312 e 2324 c.c.) si tratta propriamente di iscrizione del fatto estintivo della società, cui si applica dunque la procedura di cui all’art. 2189 c.c.: si v. infatti l’art. 2196, comma 2, c.c. (che parla di iscrizione della cessazione dell’impresa commerciale individuale) e l’art. 18, comma 3, del d.p.r. n. 581 del 1995, ossia del regolamento del registro delle im­prese (che parla di iscrizione della cessazione dell’impresa); G. MARASÀ-C. IBBA, Il registro delle imprese, Utet, 1997, 197; G. RAGUSA MAGGIORE, Il registro delle imprese3, in Codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 2002, 113. Cfr. anche per tale distinzione, seppure ad alni fini, Trib. Bologna, 2 novembre 2000, in Società, 2001, 997 ss.
Anche alla pubblicità del fatto estintivo della società si applica inoltre l’art. 2448 c.c., relativo alla decorrenza degli effetti della pubblicazione nel registro delle imprese: v. sulla portata di tale norma A. M.GRÌ, Il trasferimento dei crediti nelle scissioni societarie, in Contr. e impr., 2003, 1500 ss.
(6) E tale conclusione sembra da mantenere ferma anche in seguito alla nota Corte cost., 21 luglio 2000, n. 319, pubblicata ad es. in Giur, it., 2000, 1857 ss., che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 10 l.f., nella parte in cui non prevede che il termine di un anno dalla cessazione dell’impresa collettiva, entro il quale può intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra dalla sua cancellazione dal registro delle imprese della società stessa. Tale sentenza è stata infatti giustamente criticata perché sembra far coincidere il momento della ces­sazione dell’impresa con quello della cessazione della società, sovrapponendo la sfera dell’at­tività d’impresa con quella della forma societaria per l’esercizio di tale attività (cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto dellesocietà5, Torino, 2002, 136; G. RAGUSA MAG­GIORE (nt.’5), 351 ss.; F. BARACHINI, Il fallimento dell’ex-socio dopo le sentenze della Corte Co­stituzionale n. 66/1999 e n. 319/2000, in Riv. dir, comm., 2000, I, 633). Si noti peraltro che nelle successive Corte cost., 7 novembre 2001, n. 361 (ord.), e Corte cost., 22 aprile 2002, n. 131 (ord.), entrambe in Giur. comm., 2002, Il, 563 ss., la Corte Costituzionale ha in so­ stanza accolto tali critiche, dando rilevanza alla cessazione effettiva dell’attività imprendito­riale, e specificando che «… è infatti del tutto coerente con i principi della pubblicità dichiarativa la possibilità per i terzi di provare la non veridicità del fatto iscritto e, dunque, in ipotesi, di dimostrare il compimento di atti di esercizio dell’impresa successivamente all’i­ scrizione della sua cessazione». In applicazione del principio enunciato dalla Corte Costituzio­nale v. Cass., 8 novembre 2002, n. 15677, in Fallimento, 2003, 1258 ss.
In ogni caso deve sottolinearsi che la società, anche se successivamente dichiarata fallita, già non esiste più sul mercato: il fallimento dopo l’iscrizione della cancellazione non è infatti null’altro che il procedimento volto a definire concorsualmente i rapporti obbligatori sorti e non ancora estinti durante il tempo in cui la società ha operato: ASSOCIAZIONE PREITE, Il nuovo diritto delle società, Bologna, 2003, 366.
(7) Ai sensi del quale il Presidente del Tribunale del capoluogo della provincia in cui è registrata la persona giuridica, chiusa la fase di liquidazione, ordina la comunicazione alle pre­fetture di tale notizia affinché dispongano la cancellazione dell’ente dal registro delle persone giuridiche: v. M.V. DE GIORGI, La riforma del procedimento per l’attribuzione della personalità giuridica, in  Nuove leggi civ., 2000, 1342.
(8) Nel Progetto di rifonna della disciplina delle società di persone (c.d. Progetto Ro­velli) è prevista una disposizione (art. 2304) secondo cui dopo la cancellazione della società i creditori sociali possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti dei soci: v. M. SANDULLI, Lo scioglimento e la fine della società, in Le disposizioni generali sulle società e le società di persone, Atti del Convegno di Studio di Lecce, 27 e 28 ottobre 2000, a cura di N. Rocco di Torre Padula, Milano, 2001, 145 ss.
(9) In Spagna la Ley de sociedades anònimas all’art. 278, la Ley de sociedades de re­ sponsabilidad limitada all’art. 122 e il Texto Refundido de la Ley de Sociedades Anónimas al­l’art. 278 (norme cui corrisponde l’art. 247 del Reglamento del Registro mercantil) prevedono che l’estinzione si compia con la iscrizione della scrittura pubblica di estinzione della società nel Registro mercantil e con la pubblicazione di tale scrittura nel Boletín Oficial del Registro Mercantil. Si noti che gli autori spagnoli sostengono che la soluzione prescelta dal legislatore (di ancorare l’estinzione della società all’iscrizione della cancellazione) è stata ispirata dal pre­cedente art. 2456 c.c. italiano: v. J. PULGAR EZOUERRA, La cancelación registral de las socieda­des de capital, Madrid, 1998, 56. L’art. 160 del Código das Sociedades Comerciais portoghese prevede che la società si estingua con l’iscrizione nel Registro comercial della chiusura della liquidazione: cfr. R. VENTURA, Dissolução e Liquidação de Sociedades3, Coimbra, 2003, 433 ss.; la Lei das S.A. brasiliana (Lei n. 6.404 del 1976, come modificata dalla Lei n. 10.303 del 2001) all’art. 218 prevede che dalla chiusura della liquidazione il creditore non soddisfatto possa agire contro i soci e i liquidatoti. Pure l’art.237-11 Code comm. francese stabilisce che con la cancellazione dal registro di commercio e l’inserzione della notizia nel Bulletin officiel des annonces civiles et commerciales la società si estingue: la giurisprudenza, peraltro, richiede anche la sostanziale liquidazione di tutti i rapporti: v. P. LE CANNU, Droit des sociétés, Paris, 2002, 319; G. RIPERT-R. ROBLOT, Traité de droit commercial18, sous la direction de M. Ger­main, tome 1, volume 2, 2002, 96. In Germania prevale la Lehre vom Doppeltatbestand (doppia fattispecie) che richiede per l’estinzione la cancellazione dal registro delle imprese e l’assenza di patrimonio (Vermögenslosigkeit): cfr. K. SCHMIDT, Löschung und Beendigung der GmbH, in GmbHR, 1988, 209 ss.; ID., Gesellschaftsrecht4, Köln-Berlin-Bonn-München, 2002, 932 (con riferimento alla AG) e 1203 (con riferimento alla GmbH); I. SAENGER, Die im Han­delsregister gelöschte GmbH im Prozess, in GmbHR, 1994, 306; in giurisprudenza da ultimo in tal senso OLG Koblenz, 1° aprile 1998, in ZIP, 1998, 967 ss. Contra U. HÜFFER, § 273, in Münchener Kommentar zum Aktiengesetz2, München, 2001, Rdnn. 12 ss., 693 ss., secondo il quale l’iscrizione della cancellazione estingue in ogni caso la società di capitali.
(10) L’espressione cancellazione d’ufficio è correntemente utilizzata negli ordinamenti che già conoscono questo istituto: v. ad es. J. PULGAR EZQUERRA (nt. 9), 75 ss., che dedica una parte della monografia a tali aspetti e ove critiche alla c.d. cancellazione giudiziale; ulteriori riferimenti in G. NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati nella estinzione della società, Milano, 1990, 373 ss.; F. SACRISTÁN BERGIA, La extincióm por disolución de la sociedad de re­ sponsabilidad limitada, Madrid, 2003, 251 ss.
(11) In particolare, come si vedrà, l’effetto rilevante di tale rinvio è la responsabilità dei liquidatori ex art. 2495, comma 2, c.c.: v. paragrafo 7. Per un approfondito commento all’art. 2490, comma 6, c.c., che sembra risentire di una concezione sanzionatoria (nei riguardi della società e quindi dei suoi soci) della cancellazione v. G. NICCOLINI, Ari. 2490, in Società di ca­pitali, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, in corso di pubblicazione, Napoli, 2004, § 5, che si è potuto consultare grazie alla cortesia dell’Autore.
(12) Con una disposizione che probabilmente si può ritenere, peraltro, analogicamente applicabile anche all’ipotesi di cui all’art. art. 2490, comma 6, c.c.: v. nel testo.
(13) Rileva la mancanza di coordinamento tra le due disposizioni (art. 2490, comma 6, c.c. e art. 2545-octiesdecies, comma 2, c.c.) A. PACIELLO, Bilanci in fase di liquidazione, in La riforma delle società, Commentario del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Giappichelli, 289. Osserva ulteriormente G. NICCOLINI, La disciplina (nt. 2), 192, che la norma dell’art. 2490, comma 6, c.c. non ha neppure predisposto una specifica forma di in­terpello preventivo della società; tuttavia, prosegue l’Autore, la lacuna potrebbe colmarsi applicando gli artt. 2190 c.c. e 16 del regolamento del registro delle imprese (d.p.r. n. 581 del 1995), che prevedono una preliminare informazione del soggetto destinatario del provvedi­mento di cancellazione, oltre che una reclamabilità di tale provvedimento; ID. (nt. 11), § 5, ove l’Autore nota ulteriormente che la cancellazione di una società cooperativa produce gli stessi effetti (art. 2495 c.c.) della cancellazione di una società di capitali, in virtù del generale richiamo contenuto all’art. 2519 c.c. Secondo G. MARASÀ, Il ruolo della pubblicità nella ri­forma delle società di capitali e delle cooperative, in Riv. dir. impr., 2003, 11, invece, la disci­plina dell’art. 2545-octiesdecies c.c. è una disciplina particolare per le cooperative, destinata ad aggiungersi a quella generale dell’art. 2490, ult. comma, c.c. che rimane comunque applicabile.
(14) Sul collegamento tra art. 2332 c.c. e 223-quater, comma 2, disp. att. cfr. anche G. PALMIERI, La nuova disciplina della nullità della società per azioni,in questa Rivista, 2003, 854.
(15) Inoltre l’art. 223-quater, comma 2, disp. att. e transit., prevede che il tribunale, prima di procedere alla cancellazione, debba sentire la società. Un altro indice normativo, dunque, per accogliere la tesi ricordata alla nt. 13, secondo la quale è necessaria una forma di in­terpello preventivo della società prima dell’iscrizione d’ufficio della cancellazione.
(16) Si noti che l’art. 2280 c.c., dettato in tema di società di persone, che vieta la ripar­tizione tra i soci dei beni sociali finché non siano pagati i creditori, non risulta più espressa­mente richiamato nella disciplina delle società di capitali (come in precedenza invece disponeva l’art. 2452, comma 1, c.c.). Tuttavia tale principio deve ritenersi comunque appli­cabile, in quanto l’art. 2491, comma 2, c.c., pennette la ripartizione di acconti sul risultato della liquidazione, ma solo se tale ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali. Sulla portata di tale norma v. per tutti G. NICCOLINI, La disciplina (nt. 2), 182 ss.; G. FERRI jr, La gestione di società in liquida­zione, in Riv. dir. comm., 2003, I, 422.
(17) Cfr. per le ragioni alla base dell’orientamento giurisprudenziale R. COSTI, Estin­zione delle società, esigenze del processo economico e politica dei giudici, in Giur. comm., 1974, II, 401 ss.; G. NICCOLINI (nt. 1), 704 ss.; M. SPERANZIN (nt. 4), 289 ss.; Trib. Monza, 12 febbraio 2001, cit.
(18) Coincidente già nel vigore del precedente art. 2456 c.c., come si ricordava, con l’i­scrizione della cancellazione dal registro delle imprese.
(19) Tale obbligo di richiedere l’iscrizione della cancellazione sussiste in quanto altri­menti i creditori non potrebbero far valere le azioni di cui agli artt. 2495, comma 2, c.c.: v. in Spagna F. SACRISTÁN BERGIA (nt. 10), 267. In sostanza i creditori sociali, in mancanza dell’i­scrizione della cancellazione, potrebbero agire nei confronti della società (priva, peraltro, di attivo), nonché dei liquidatori, ma ai sensi degli artt. 2489, comma 2, e 2491, comma 3, c.c., e non dell’art. 2495, comma 2, c.c. (v, per la differenza il paragrafo 7).
(20) Avanzata da P. GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano. Lineamenti generali, Torino, 1959, 446, nt. 117, e sviluppata soprattutto da R COSTI, Le sopravvenienze pas­sive dopo la liquidazione delle società per azioni, in Riv. dir. civ., 1964, I, 280 ss.
(21) Si noti che è stata recentemente sollevata ai sensi degli artt. 3 e 24 Cost. la que­stione di legittimità costituzionale del termine dei tre mesi – dall’iscrizione del deposito presso l’ufficio del registro delle imprese – concesso ai soci per proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione, ma la Corte Suprema (Cass., 19 aprile 2002, n. 5716, in Giur. it., 2002, 1643 ss.) ha ritenuto tale questione manifestamente infondata.

Denunzia al tribunale, stato di liquidazione della società e riforma del diritto societario

TRIBUNALE DI VENEZIA -27  gennaio 2004 (decreto) – ZACCO Presidente – SPACCASASSI Estensore – Pubblico ministero dott. S. c. amministratore unico
G.B. e sindaci della I. s.p.a.

Società – Società per azioni – Controllo giudiziario – Stato di liquidazione della società –
Improcedibilità del ricorso.
(Codice civile, art. 2409).

Lo stato di liquidazione della società determina l’improcedibilità del ricorso ex art. 2409 c.c., in quanto comporta la cessazione dell’attività d’impresa e quindi il venir meno dell’attualità delle irregolarità denunziate (1).
(Omissis). – Il P.M. in data 14 gennaio 2003 ha richiesto una ispezione alla società I. s.p.a. facendo proprie e recependo una dettagliata ed articolata denuncia dei sindaci, denuncia che aveva anche portato all’apertura di indagini preliminari nei confronti dell’amministratore per i reati di cui agli artt. 2621 e 2635 c.c.
Rilevavano i sindaci: come la società I. vantasse un credito verso la società M.T. s.p.a. di lire 1,6 miliardi, di cui 400 milioni di insoluti, e che l’amministratore unico G.B. nulla aveva fatto per recuperare detto credito; che il menzionato G.B. era anche sindaco della debitrice M.T.; che essi sindaci non erano stati messi nella condizione di poter vedere la necessaria documentazione relativa al bilancio del 2001 sul quale comunque avevano espresso un parere negativo; che vi erano elementi per ritenere fon­ dato sospetto che la M.T. fosse il vero «dominus » e che fosse la stessa a dettare alla I. condizioni e condotte; che la perdurante inattività della società comportava una perdita patrimoniale e la conseguente necessità dei provvedimenti di cui all’art. 2448 n. 4.
Nel costituirsi G.B. rilevava che pur sussistendo il credito nei confronti della M.T., tuttavia lo stesso non era certo nell’ammontare, stante le contestazioni effettuate, e comunque erano inopportq.ne azioni coattive o la richiesta di fallimento della M.T. stessa che avrebbero comportato anche il fallimento della società I.. Rilevava che era preferibile una transazione con la M.T. e concordare un piano di rientro con le banche.
Sono stati sentiti G.B. ed i sindaci. Questi ultimi si sono riportati alle denunce da­ gli stessi effettuate alla Procura della Repubblica.
All’udienza del 20 marzo 2003 il collegio disponeva con decreto la nomina dell’ispettore giudiziario al fine di verificare se sussistevano o meno le irregolarità lamentate dal P.M.
L’ispettore Dott. T. espletava l’incarico affidatogli ed in data 20 ottobre 2003 depositava un’articolata relazione che riscontrava la sussistenza dei fatti lamentati dai sindacati    posti all’attenzione del P.M., escludendo tuttavia che G.B. abbia ostacolato le verifiche del collegio sindacale.
All’odierna udienza il P.M. insisteva· per la nomina di un amministratore giudiziario, i sindaci si rimettevano al deciso del tribunale, mentre il difensore di G.B., che pure negava che esistessero i presupposti per la nomina dell’amministratore giudiziario, insisteva nell’eccezione di inammissibilità della richiesta del P.M. atteso che la società era stata posta in liquidazione il 5 novembre 2002.
La problematica circa l’ammissibilità o meno della procedura di cui all’art. 2409 c.c. anche quando la società è stata posta in liquidazione è stata affrontata dalla giurisprudenza di merito con decisioni non unanimi. Fra altre, in senso positivo, Tribunale Trani, 30 ottobre 2001, in Società, 2002, 354 («Il controllo giudiziario non solo può essere efficacemente concluso con l’adozione degli opportuni provvedimenti ripristina­ tori della regolarità nei confronti della società posta in liquidazione nelle more dello stesso procedimento, ma può anche esser legittimamente promosso nei confronti di una società già in liquidazione per eliminare gravi irregolarità commesse sia prima sia dopo lo scioglimento della stessa; il sindacato del tribunale, infatti, può essere esercitato fino al momento dell’estinzione della società, che si realizza dopo la cessazione di ogni attività liquidatoria. Questa interpretazione estensiva non è impedita dall’esistenza del rimedio previsto dall’art. 2450 c.c. della revoca per giusta causa dei liquidatori, che riguarda una fattispecie diversa da quella regolata dall’art. 2409 c.c.»). Per la soluzione negativa, tra altre, si veda Tribunale Ragusa, 26 ottobre 2001, in Giur. comm., 2002, II, 632 («Va esclusa l’ammissibilità o la procedibilità del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. allorché la società sia messa in stato di liquidazione. Ciò in quanto la sopravvenuta deliberazione di messa in liquidazione della società elimina in radice l’esigenza di ripristino della normale gestione di essa e, soprattutto, la nomina di un amministratore giudiziario mal si concilia con la figura di un liquidatore regolamente nominato dalla società e non rimuovibile dal giudice nell’ambito dell’avviato procedimento»).
Ritiene il Collegio che sul punto assumono significativa importanza le pressoché costanti decisioni che da anni ha assunto la Corte d’Appello di Venezia, secondo cui la liquidazione della società preclude l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c. anche se intervenuta in pendenza del relativo procedimento, in quanto non consente il perseguimento dello scopo precipuo del procedimento stesso, autonomo e complementare rispetto agli altri mezzi previsti dall’ordinamento giuridico per la tutela contro gli atti di cattiva amministrazione, essendo finalizzato unicamente a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione delle società e potendo, dunque, solo indirettamente concorrere a soddisfare, in quanto coincidenti, gli interessi particolari dei soci.
Condividendo tale assunto, ritiene il Collegio: a) che lo stato di liquidazione, comportando la cessazione dell’attività d’impresa, essendo consentite solamente le opera­ zioni correlate strumentalmente al fine della definizione dei rapporti ancora in corso e della conversione dei beni in denaro, pone in essere una situazione per la quale viene meno, per carenza di ogni interesse, la funzione propria dei provvedimenti adottabili ex art. 2409 c.c.; b) che, pertanto, essendo le irregolarità denunciate prive del requisito dell’attualità, da accertarsi con riferimento all’indicato interesse tutelato, i provvedi­ menti richiesti non sono adottabili (v., tra gli altri, i decreti della Corte d’Appello di Venezia 27 febbraio 2002, 21 giugno 2001 e 17 novembre 1998); e) che, peraltro, il corretto esercizio dei poteri e dei compiti del liquidatore comporta l’accertamento delle eventuali irregolarità commesse dagli amministratori e il suo attivarsi, con gli strumenti previsti dall’ordinamento, per l’eliminazione o l’attenuazione dei consequenziali effetti pregiudizievoli sulla formazione dell’attivo.
Per le suesposte motivazioni deve essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso. Quanto alle spese, nulla va disposto, trattandosi di procedimento di volontaria giurisdizione, per il quale non si rende applicabile il principio della soccombenza, posto dall’art. 91 c.p.c. con riferimento ai soli giudizi di natura contenziosa (cfr. Cass. n. 9636/97).


NOTE:
(1) Denunzia al tribunale, stato di liquidazione della società e riforma del diritto societario.
SOMMARIO: 1. Denunzia al tribunale e liquidazione: il caso concreto. – 2. Stato di liquidazione, continuazione dell’attività di impresa e attualità delle irregolarità. – 3. Interessi sottesi al procedimento ex art. 2409 c.c. e liquidazione della società. – 4. Revoca dei liquidatori alla luce delle nuove norme sui procedimenti. in camera di consiglio (artt. 25 ss. d. lgs. n. 5 del 2005).

P.Q.M.
dichiara improcedibile il ricorso.
1. Il Tribunale di Venezia conferma, nella pronuncia in epigrafe/l’orientamento della Corte d’Appello veneta secondo il quale la liquidazione della società, anche se intervenuta in pendenza di un procedimento di denunzia per gravi irregolarità, preclude l’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c. (1).

Nel caso in esame i sindaci di una s.p.a. presentavano al pubblico ministero un articolato esposto di gravi irregolarità nella gestione (2), osservando in particolare che la società vantava un ingente credito nei confronti di altra società, ma che l’amministratore unico non aveva fatto nulla per recuperare tale credito. Ciò in quanto, a dire dei denunzianti, questi aveva una posizione di interesse nella società debitrice (di cui era stato anche sindaco (3). Il collegio sindacale contestava all’amministratore unico, inoltre, irregolarità contabili e nella redazione dei bilanci; affermava, infine, che la perdurante inattività della società avesse comportato una rilevante perdita e quindi la necessità di ridurre il capitale.
Il pubblico ministero, facendo propri i contenuti della denunzia dei sindaci, richiedeva, ex art. 2409 c.c., l’ispezione della società, che veniva disposta dal tribunale, e l’ispettore giudiziario confermava quasi integralmente la sussistenza delle irregolarità lamentate dai sindaci. Il pubblico ministero richiedeva, pertanto, la nomina di un amministratore giudiziario che rimuovesse le accertate irregolarità e, se del caso, proponesse azione di responsabilità; la difesa dell’amministratore unico, invece, sosteneva l’inammissibilità della richiesta, poiché la società, in pendenza del procedimento ex art. 2409 c.c., era stata posta in liquidazione (4).
Il Tribunale di Venezia, accogliendo quest’ultima richiesta, dichiara improcedibile il ricorso, nonostante fosse stato nominato liquidatore della società il precedente amministratore unico della stessa (5); e giunge a tale conclusione in base a due argomenta­ zioni.
In primo luogo, affermano i giudici veneziani, lo stato di liquidazione determina la cessazione dell’attività di impresa, essendo consentite in tale fase solo le operazioni correlate strumentalmente alla definizione dei rapporti. ancora in corso e alla conversione dei beni in denaro; viene quindi meno, per carenza di ogni interesse, la funzione propria dei provvedimenti. ex art. 2409 c.c. Il procedimento di denuncia per gravi irregolarità è finalizzato, infatti, secondo il Tribunale di Venezia, unicamente a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione della. società, e può solo indirettamente concorrere a soddisfare gli interessi particolari dei soci; nel momento in cui, a seguito della liquidazione, non vi è più alcuna attività d’impresa, cessa, pertanto, lo scopo del giudizio instaurato.
In secondo luogo, continua il decreto in commento, le irregolarità denunziate risultano prive del requisito dell’attualità per il sopravvenire dello stato di liquidazione; i provvedimenti richiesti dal pubblico ministero non possono quindi essere adottati, mancando uno dei presupposti del procedimento. L’esercizio dei poteri e dei compiti del liquidatore determina infatti l’obbligo, per tale organo, di attivarsi per l’elimina­ zione o l’attenuazione degli effetti pregiudizievoli delle irregolarità commesse dagli amministratori; da ciò consegue la carenza dell’attualità di quest’ultime e l’improcedibilità del giudizio.
2. Le motivazioni che giustificano in diritto il decreto del Tribunale di Venezia non paiono convincenti.
Lo stato di liquidazione della società non comporta, di per sé, la cessazione dell’attività d’impresa. Anzi: la liquidazione è attività d’impresa (6). La continuazione, anche parziale, di quest’ultima – seppure in senso funzionale alla liquidazione della società e per il miglior realizzo – è un’ipotesi del tutto normale anche dopo il verificarsi di una causa di scioglimento e la nomina del liquidatore. La prosecuzione dell’attività durante la liquidazione, già riconosciuta sia in dottrina che nella giurisprudenza della Cassazione (7), e addirittura prevista dalla legge fallimentare (art. 90 r.d. n. 267 del 1942), è ora espressamente disciplinata dal legislatore in due norme (artt. 2487, 1° comma, lett. c) e 2490, 5° comma, c.c.), relative ai criteri di svolgimento della liquidazione deliberati dall’assemblea e all’indicazione dell’attività d’impresa nei bilanci (8).
La causa cli scioglimento, e, ora, dopo la riforma del diritto societario, la successiva pubblicità della nomina dei liquidatori (e quindi l’entrata della società in stato cli liquidazione) (9), determinano infatti un mutamento funzionale dell’organizzazione societaria e una parziale modifica delle regole di produzione dell’attività comune (10); comportano  un diverso equilibrio degli interessi rilevanti (11);   non  producono, invece, un cambiamento del contratto sociale o la cessa=ione dell’impresa (12).
Alla luce di tali osservazioni, risulta quindi criticabile anche l’affermazione secondo cui lo stato cli liquidazione determina automaticamente il venir meno dell’attualità delle irregolarità commesse. Ciò non vale sicuramente per il semplice verificarsi di una causa cli scioglimento: basterebbe, altrimenti, una delibera dell’assemblea di scioglimento anticipato della società (art. 2484, n. 6 c.c.) per vanificare il procedimento ex art. 2490 c.c. (13).
Neppure la nomina dei liquidatori, e la pubblicità della stessa (v, ora art. 2487-bis c.c.), potrebbe, peraltro, rendere di per sé non più attuali le irregolarità commesse da­ gli amministratori; per sostenere tale conclusione occorre siano incaricati della liquida­ zione dei soggetti che garantiscano un’adeguata professionalità e l’eliminazione delle irregolarità (14).
Potrebbe dunque risultare opportuno, anche dopo la nomina del liquidatore (ora) ex art. 2487 c.c., che il tribunale disponga il prolungamento dell’incarico all’ispettore giudiziario, con lo specifico compito di vigilare sull’attività degli organi sociali (15); op­ pure che preferisca nominare un amministratore giudiziario (16). Il ruolo che quest’ultimo è chiamato a svolgere non è, infatti, quello di« amministrare, ma di assumere temporaneamente il governo della società nello stato – attivo o liquidativo – in cui si trova, al solo fine di rimuovere le irregolarità ed eventualmente di esperire l’azione di responsabilità nei confronti dei precedenti amministratori (17).
3. Non pare possa sostenersi che lo stato di liquidazione necessariamente determini l’improcedibilità della denunzia ex art. 2409 c.c.; e ciò anche quando si ritenga, come dichiara il Tribunale di Venezia, che il procedimento in esame sia unicamente volto a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione della società. Se l’interesse tutelato dal procedimento fosse quest’ultimo, la richiesta di nomina di un amministratore giudiziario sarebbe, infatti, ancor più giustificata durante la liquidazione; in questa fase di svolgimento (conclusivo) dell’attività sociale la protezione di interessi generali risulta, come noto, rafforzata (18). Ciò in considerazione della necessità che venga svolto un procedimento di liquidazione, che non può essere omesso, e in virtù delle diverse nonne che da un lato rendono obbligatoria la pubblicità di tale procedi­ mento (artt. 2484, 3° comma; 2487-bis, 1° e 2° comma; 2490 c.c.), dall’altro prevedono la responsabilità dei soggetti coinvolti (amministratori e liquidatori: artt. 2485, 2486, 2489 e 2491 c.c.).
Del resto, la conclusione secondo cui il procedimento in esame è unicamente volto a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione della società risulta forte­ mente criticata – e da tempo – in dottrina, la quale riconosce che la denunzia al tribunale abbia una funzione -prevalente, anche se non esclusiva – di tutela dei soci di minoranza, dei creditori della società e dei terzi in genere (19).
Quest’ultima interpretazione appare del resto rafforzata dalle novità legislative ap­portate dalla riforma del diritto societario (d. lgs. n. 6 del 2003). Nella nuova disposi­ zione dell’art. 2409 c.c. si è esclusa, Infatti, la legittimazione del pubblico ministero a promuovere la denuncia per gravi irregolarità nella gestione, salva l’eccezione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (20); inoltre è stata introdotta dalla riforma la rilevanza del danno (anche potenziale) alla società o alle controllate quale presupposto del controllo giudiziario (21). Orbene: tali modifiche al disposto della norma sembrano rendere ora –   almeno per le società chiuse –   ancora meno fondata la tesi che la denunzia al tribunale abbia lo scopo di tutelare esclusivamente l’interesse geniale alla correttezza della gestione delle società, e non anche l’interesse della minoranza e dei creditori sociali (22).
Se dunque il procedimento ex art. 2409 c.c. protegge anche i soci di minoranza ed i creditori (e ora anche i titolari di strumenti finanziari), a maggior ragione ne appare giustificata l’operatività durante la liquidazione, ossia nel momento in cui gli interessi di tali soggetti assumono un maggior rilievo dal punto di vista normativo (23).
4. Il caso in epigrafe pennette infine di affrontare il problema degli effetti della denunzia ex art. 2409 c.c. sulla posizione dei liquidatori.
Lo stato di liquidazione della società non rende, infatti, come visto, in assoluto improcedibile il giudizio previamente instaurato, e il tribunale può sempre disporre il pro­ lungamento dell’ispezione a carico degli amministratori o la nomina dell’amministratore giudiziario. Rimane da chiedersi, peraltro, se il tribunale possa pronunciare dei provvedimenti anche nei confronti dell’organo deputato a svolgere la liquidazione della società, e ciò sia nel caso in cui il procedimento venga instaurato prima della nomina dei liquidatori, sia se la denunzia sia proposta dopo.
La tesi assolutamente dominante ritiene non vi siano ostacoli ad applicare la procedura ex art. 2409 c.c. contro i liquidatori, nel caso in cui vi sia una denuncia di gravi irregolarità direttamente proposta nei loro confronti (24). La tesi parrebbe rafforzata dalla nuova formulazione dell’art. 2409 c.c., che prevede quale presupposto della de­ nuncia le gravi irregolarità nella gestione, sia essa attiva o liquidativa.
Si stima invece che la proposizione di una denunzia verso gli amministratori non consenta al tribunale di disporre –    oltre all’eventuale designazione di un amministratore giudiziario –   anche dei provvedimenti nei confronti dei liquidatori, ed in partico­ lare la revoca di quest’ultimi, nominati nel corso della procedura (25).
Per quest’ultimo provvedimento è infatti previsto dalla legge un apposito giudizio:
l’art. 2487, ult. comma, c.c., stabilisce che il tribunale, su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero, possa disporre la revoca del liquidatore quando sussiste una giusta causa. Orbene: si è sempre sostenuto che la previsione del procedimento ora di­sciplinato all’art. 2487, ult. comma, c.c. (e precedentemente dall’art. 2450, comma 4°, c.c.) non consentisse al tribunale, adito ex art. 2409 c.c. per gravi irregolarità degli amministratori, di assumere il provvedimento di revoca nei confronti dei liquidatori. Per due ragioni: in quanto tale richiesta non sarebbe stata soggetta, come la denuncia ex art. 2409 c.c., al rito camerale, ma avrebbe richiesto l’instaurazione di un giudizio contenzioso ordinario (26); e in quanto il tribunale sarebbe in ogni caso vincolato dalla richiesta che gli è stata presentata, e non avrebbe quindi poteri discrezionali quanto all’emanazione dei provvedimenti ex art. 2409 c.c. nei confronti dei liquidatori (27).
La prima affermazione, già fortemente criticata in dottrina nel vigore della vecchia formulazione dell’art. 2450. 4° comma, c.c. (28), deve ritenersi, con la riforma del di­ ritto societario, superata: l’art. 33 del d. lgs. n. 5 del 2003 (definizione dei procedimenti in materia di diritto societario) prevede ora che il procedimento di revoca. del liquidatore sia assoggettato al rito dei procedimenti in camera di consiglio (artt. 25 ss.), salva l’eventuale prosecuzione della controversia con il rito ordinario (art. 32) (29).
La seconda argomentazione appare ugualmente debole, alla luce delle discussioni relative alla natura del procedimento ex art. 2409 c.c. e dei poteri discrezionali riconosciuti all’autorità giudiziaria nei procedimenti in camera di consiglio (3°). Non pare, infatti, che possa escludersi la possibilità che il tribunale adotti (oltre alla nomina di un amministratore giudiziario) la revoca dei (anche dei soli) liquidatori nominati nel corso del procedimento, se essi non garantiscono un’adeguata professionalità o non si impegnano per rimuovere le irregolarità commesse.


NOTE:
(1) V. ad es. App. Venezia, 17 novembre 1998, in Società, 1999, 701 ss.
(2) È noto infatti che la giurisprudenza aveva in più occasioni considerato tra i doveri dell’organo di controllo quello di sollecitare l’attivazione del procedimento ex art. 2409 c.c., presentando un esposto al pubblico ministero: Cass., 17 dicembre 1997, n. 9252, in Società, 1998, 1025 ss.; Trib. Rimini, 23 luglio 2002, in questa Rivista, 2003, II, 187 ss.
Il nuovo testo dell’art. 2409 c.c., modificato a seguito del d. lgs. n. 6 del 2003, prevede ora la legittimazione attiva diretta del collegio sindacale (nonché del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo della gestione) alla denunzia al Tribunale: v. art. 2409, ult. comma, c.c. La norma segue un orientamento (attribuzione all’organo di controllo del potere-dovere diretto di denunzia) già fatto proprio dal legislatore del Testo unico della finanza (d, lgs. n. 58 del 1998) all’art. 152: cfr. A. PATRONI GRIFFI, La denunzia al Tribunale ex art. 2409 c.c. Gli interessi tutelati, in questa Rivista, 1999, I, 159 ss.; MAGNANI, Art. 152, in La disciplina delle società quotate. Commentario, a cura di Marchetti e Bianchi, Milano, Giuffrè, 1999, 1771 ss.; CAVALLI, Art. 152, in Testo Unico della Finanza, Commentario di­ retto da G.F. Campobasso, Torino, UTBT, 2002, 1269 ss.; per un caso giurisprudenziale v. Trib. Milano, 7 giugno 2002, in Giur. it., 2002, 2098 e ss.
3) La violazione della disciplina dell’art. 2391 c.c. è frequentemente posta a fonda­ mento della denuncia e dei conseguenti provvedimenti ai sensi dell’art. 2409 e.e.: v. ex multis Trib. Firenze, 24 giugno 1993, in questa Rivista, 1993, II, 731 ss.; Trib, Napoli, 2 febbraio 1994, in Foro it., 1995, I, 1671 ss.; App. Milano, 15 settembre 1994, in Società, 1995, 199 ss.; Trib. Roma, 13 luglio 2000, in Gittr. it., 2000, 2103 ss.
(4) L’amministratore unico negava, in subordine, che esistessero i presupposti per la nomina dell’amministratore giudiziario, in quanto il credito di cui si discuteva non era a suo parere certo nell’ammontare, ed in quanto un’eventuale azione coattiva o richiesta di falli­
mento della debitrice avrebbe comportato anche il successivo fallimento della società titolare del credito.
(5) Nessuna disposizione, come noto, vieta che possa essere nominato liquidatore il precedente amministratore della società. il nostro ordinamento non prevede, peraltro, l’isti­ tuto (diffuso in altri sistemi: v. NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati nella estinzione della società, Milano, Giuffrè, 1990, 357 ss.; V. PINTO, In tema di nomina giudiziale dei liquidatori e di impossibilità di funzionamento dell’assemblea, in questa Rivista, 2003, II, 401) dei c.d. geborene Abwickler, dei liquidatori-per nascita, secondo il quale gli amministratori in carica assumono automaticamente l’ufficio di liquidatori. La legge vuole infatti garantire la libera scelta, da parte dei soci, dei soggetti deputati alle operazioni di liquidazione: v. ora l’art. 2487 c.c.
(6)   0PPO, Realtà giuridica globale dell’impresa nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. dir. civ., 1976, I, 597 ss.
(7) Cfr. per tutti NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Tratt. delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale, Torino, UTET, vol. 7, tomo III, 1997, 439 ss.; PACIELLO, Scioglimento della società per azioni e revoca della liquidazione, Napoli, ESI, 1999, 17 ss.; in giurisprudenza Cass., 19 settembre 1995, n. 9887, in Foro it., 1996, I, 2873; Cass., 12 giugno 1997, n. 5275, riportata in E. CORSO, Scioglimento e liqui­ dazione nelle società di capitali, Milano, Giuffrè, 2002, 130.
(8) Sull’interpretazione delle norme che parlano di esercizio provvisorio dell’impresa e di continuazione dell’attività d’impresa, e sulla connessa responsabilità dei liquidatori v. FERRI jr, La gestione di società in liquidazione, in Riv. dir. comm., 2003, I, 437; Niccolini, Gestione dell’impresa nella società in liquidazione: prime riflessioni sulla riforma, in Riv. soc., 2003, 895 ss.; v. anche Io., sub Art. 2490, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1791 ss., il quale osserva (a nt. 37) che la prosecuzione dell’attività d’impresa durante la liquidazione è fatto eccezionale e consentito solo quando in concreto funzionale all’ottimizzazione dei risultati di liquidazione.
Si noti inoltre che, alla luce del nuovo disposto dell’art. 2486 c.c.• sembra configura• bile una responsabilità degli amministratori per mancata prosecuzione dell’impresa fino alla nomina dei liquidatori, se vengono compromessi – con tale omissione – l’integrità e il valore del patrimonio sociale (N1ccoL1NI, Gestione dell’impresa nella società-in liquidazione, cit., 901; E. GABRIELLI, La quantificazione del danno nell’azione di responsabilità verso a ministratori e sindaci della società fallita, in Riv. dir. priv., 2004, 11, nt. 6).
(9) In seguito alla riforma del diritto societario è necessario infatti distinguere tra effetti c.d. preliquidatori, che si producono immediatamente a carico degli amministratori al verificarsi della causa di scioglimento (v. artt. 2485 e 2486 c.c.); ed effetti che conseguono all’entrata della società nel vero e proprio stato di liquidazione (v. artt. 2487-bis e ss. C.c.). Quest’ultimo si verifica solo nel momento in cui viene iscritta nel registro delle imprese la nomina dei liquidatori, perché solo da quel momento si verifica il mutamento delle regole dell’organizzazione societaria conseguente all’attività liquidativa (v. art. 2487 bis, 2° comma, c.c.): A. PIRAS, in AA.VV., Diritto commerciale, Bologna, Monduzzi, 2004, 325.
Nel vigore della legge precedente si distingueva invece tra stato di liquidazione (cambiamento della disciplina dell’attività sociale conseguente al semplice verificarsi della causa di scioglimento, che operava di diritto) e procedimento di liquidazione (conseguente alla no­ mina dei liquidatori e caratterizzato dall’adeguamento della società alla nuova fase): cfr. per tutti MAISANO, Lo scioglimento delle società, Milano, Giuffrè, 1974, 253.
(10) ANGELICI, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1990, 1039.
(11) Si accentua, infatti, la tutela sia dell’interesse individuale dei soci sia di quello dei creditori sociali: cfr. GRECO, Sulla necessità del procedimento ‘legale di liquidazione per le società soggette a registrazione, in Foro pad., 1951, III, 93ss.; ÙPPO, Ponna e pubblicità nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1966, I, 166; MONTALENTI, Negozio di liquidazione di società personale e clausole di revisione: interessi tutelati e disciplina applicabile, in questa Rivista, 1982, II, 814 ss.; NICCOLINI, (nt. 5), 405 ss.; Io., (nt. 7), 524 ss.
(12) Si discute poi ulteriormente se il passaggio in stato di liquidazione determini una modifica dello scopo sociale, una modifica dell’oggetto sociale o una mera modificazione delle regole dell’attività: cfr. per tutti i riferimenti GALLESIO PIUMA, I poteri dell’assemblea di società per azioni in liquidazione, Milano, Giuffrè, 1986, 80 ss.; ALESSI, I liquidatori di società per azioni, Torino, Giappichelli, 1994, 27 ss.; Niccolini, (nt. 7), 433; V. PINTO (nt. 5), 390, nt. 55.
(13) Delibera per la quale ora la legge prevede, anche in seconda convocazione, la necessità del voto favorevole dei soci che rappresentino più del terzo del capitale sociale, se la società non fa ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2369, 5° comma, c.c.). Secondo NODARI Delibera di scioglimento della società in pendenza del procedimento di controllo giudiziario (art. 2409 c.c.), in Riv. soc., 1967, 1051 ss., e TEDESCHI, Il controllo giudiziario sulla gestione, in Tratt. delle s.p.a., diretto da Colombo e G.B. Portale, Torino, UTET, vol. 5, 1988, 266, tale delibera non potrebbe essere assunta in pendenza del procedi­ mento ex art.-2409 c.c. in quanto eluderebbe l’applicazione del procedimento di controllo giudiziario; la tesi prevalente si esprime peraltro in senso opposto: cfr. per tutti VITALE, Deliberazione di scioglimento della società in corso di procedimento ex art. 2409 c.c., in Riv. dir. comm., 1964, II, 428 ss.; CERA, Controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. e messa in liquida­ zione della società, in questa Rivista, 1978, II, 408 ss.
(14) In sostanza può ora utilizzarsi il nuovo 3° comma dell’art. 2409 c.c. per sostenere che, anche nel caso in cui vi sia una «sostituzione» del ruolo dei gestori (passaggio da amministratoti ai liquidatori), il tribunale possa valutare la competenza e la professionalità dei nuovi per decidere se sospendere (o chiudere) il procedimento: v. nel testo.
Sembra quindi che non si possa dare una risposta univoca al problema degli effetti dello stato di liquidazione (e quindi, ora, degli effetti della nomina e pubblicità dei liquida tori: v. nt. 9) sul procedimento ex art. 2409 c.c.; occorrerà invece considerare se tale nomina comporti in concreto il venir meno dell’attualità delle irregolarità. Sul problema della procedibilità del procedimento ex art. 2409 c.c. in seguito all’entrata della società in stato di liquidazione v. per la tesi negativa CERAMI, Il controllo giudiziario sulle società di capitali (art. 2409 c.c.), Milano, Giuffrè, 1954, 55; NODARJ, (nt. 13), 1049; TEDESCHI, (nt. 13), 296; FERRARA jr.-CORSI, Gli imprenditori e le società12, Giuffrè, 1′.filano, 2001, 560; per la tesi positiva A. PATRONI GRIFFI, Il controllo giudiziario sulle società per azioni, Napoli, Jovene, 1971, 341 ss.; DOMENICHINI., Il controllo giudiziario sulla gestione delle società per azioni, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, UTET, 1985, 597 ss,; CERA, Ancora sull’applicabilità del­ l’art. 2409 c.c. alle società in liquidazione, in questa Rivista, 1988, II, 612 ss.; PATELLI, Con­ trollo giudiziario in fase di liquidazione, in Società, 1991, 1373 ss.; MASTURZI I, I poteri deliberativi dell’assemblea nelle more del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c., in Riv. dir impr., 2001, 258 ss.; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società’, Torino, UTET, 2002, 426 e nt. 2; dopo la riforma del diritto societario GALGANO, Il nuovo di­ ritto societario, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, CE­ DAM, 2003, 409 ss.: NICCOLINI, sub Art. 2487, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1749 ss.; FIMMANO-TRAVERSA, Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società di capitali alla luce della riforma, in Riv. not., 2004, I, 340; M-J NETTI, sub Art. 2409, in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna, Zanichelli, 2004, 935 ss. In giurisprudenza v. da ultimo per la tesi positiva Trib. Bergamo, 7 febbraio 2001, in Dir. prat. delle soc., 2002, n. 1, 73; Trib. Bergamo, 3 aprile 2001, in Società, 2001, 1224 ss.; Trib. Trapani, 10 agosto 2001, lll Società, 2002, 868 ss.; Trib. Trani, 30 ottobre 2001, in Società, 2002, 354 ss.; Trib. Milano, 22 marzo 2002, est. Riva Crugnola, ined.; Trib. Firenze, 18 febbraio 2003, in Nuova gi.ur. civ. comm., 2004, I, 10 ss.; Trib. Lecco, 11 novembre 2003, in Giur. milanese, 2004, 39 ss.; si noti che anche la Suprema Corte (Cass., 18 aprile 2000, n. 5001, in Riv. giur. sarda, 2002, 311, con nota di NIEDDU ARRICA) ha indirettamente affermato l’applicabilità del giudizio ex art. 2409 c.c. alla società in liquidazione; vedi per le peculiarità del caso deciso dalla pronuncia della Cassazione NICCOLINI, op. ult. cit., 1750, nt. 43. Per la tesi dell’inammissibilità o improcedibilità del controllo giudiziario allorché la società sia posta in stato di liquidazione v. di recente, oltre all’App. Venezia, 17 novembre 1998, (nt. 1); Trib. Ragusa, 26 ottobre 2001, in questa Rivista, 2002, II, 632 ss., con nota di D. MONACI, provvedimento menzionato anche nella motivazione della sentenza in commento.
(15) In questo senso Trib. Pavia, 28 aprile 2001, in Società, 2001, 1087 ss.: il tribu nale ordinava la prosecuzione dell’ispezione giudiziale della società in liquidazione, deman­ dando all’ispettore la verifica dell’osservanza da parte del liquidatore di una serie di direttive di comportamento.
(16) VITALE, (nt. 13), 434 ss.; A. PATRONI GRIFFI, (nt. 14), 346 ss.; CERA, (nt. 14), 613; Trib. Como, 7 novembre 1997, in Società, 1998, 672 ss.; Cass., 18 aprile 2000, n. 5001, (nt. 14).
(17) Così NICCOLINI, (nt. 5), 148; Io., (nt. 14), 1751. Sui poteri dell’amministratore giudiziario v. anche per riferimenti FERRARIS, Approvazione del bilancio da parte dell’amministratore giudiziario e impugnazione di deliberazione negativa, in questa Rivista, 2004, II, 202 ss. L’affermazione che lo stato di liquidazione rende non più attuali le irregolarità gestionali non poteva automaticamente sostenersi, in particolare, per il caso in esame; come vi­ sto, era stato nominato liquidatore della società ki stesso amministratore unico, ossia il soggetto cui le accertate irregolarità (in particolare, usando la terminologia del precedente art. 2391 c.c., il conflitto di interessi) dovevano essere imputate.
(18)   Cfr. per tutti NICCOLINI, (nt. 5), passim; V. PINT0, (nt. 5), 387 ss.
(19) Per un ampio esame degli interessi sottesi al procedimento della denunzia al Tribunale, con accenti diversi, cfr. BIGIAVI, Ancora sulla nomina, senza richiesta, di un amministratore giudiziario della società per azioni ai sensi dell’art. 2409 c.c., in Riv. dir. civ., 1955, I, 210 ss.; Io., Interesse sociale ed interesse pubblico, in Riv. dir. civ., 1956, I, 712; A. PATRONI GRIFFI, (nt. 14), 295 ss., il quale esclude (v. 336) che la denuncia al Tribunale sia predisposta alla tutela di interessi astratti e generali; ALLEGRI, Denuncia di gravi irregolarità e tutela delle minoranze, in questa Rivista, 1980, II, 756; DOMENICHINI, (nt. 14), 592 ss.; FERRI, Le società2, in Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, UTET, 1985, 794; TEDESCHI, (nt. 13), 201 ss.; NICCOLINI, (nt. 5), 128 ss.; COTIIN0, Le società. Diritto commerciale\ voi. I, tomo 2, Padova, CEDAM, 1999, 461; ancora A. PATRONI GRIFFI, (nt. 2), 151 ss.; S. Rossi, Il controllo giudiziario ai sensi dell’art. 2409 c.c. nelle società di capitali, ediz. provv., Milano, 2002, 10 ss. e 74 ss. In giurisprudenza v. Trib. Chiavaci, 12 giugno 2001, in Riv. dir. comm., 2001, II, 157 ss.; App. Cagliari, sez. dist, Sassari, 13 febbraio 2004, in Società. 2004, 976,
(20) Secondo NAZZICONE, Società per azioni. Amministrazione e controlli, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, Giuffrè, 2003, 313, il pubblico ministero potrd. in ogni caso intervenire facoltativamente anche nei procedimenti relativi a s.p.a. chiuse, in quanto l’art. 30, l” comma, d. lgs. n. 5 del 2003 prevede che egli possa depositare osservazioni scritte; inoltre ai sensi dell’art. 71, 2″ comma, c.p.c., il tribunale può comunque disporre la comunicazione degli atti al pubblico ministero affinché possa intervenire; v. anche ARIETA-DE SANCTIS, Diritto processuale societario, Padova, CEDAM, 2004, 582; D’AMBRos10, La denuncia al tribunale per gravi irregolarità dopo la riforma, in Società, 2004, 448.
Le conclusioni possono ritenersi convincenti, purché venga mantenuto anche nel rigore della nuova norma l’orientamento precedente (Cass., 3 maggio 2000, n. 5504, in Rep. Foro it., 2000, voce Procedimento civile, n. 204; App. Roma, 29 marzo 2002, in Società, 2002, 1392 ss.) secondo cui la partecipazione del pubblico ministero al procedimento ex art. 2409 c.c. deve ritenersi necessaria. La possibilità di deposito di osservazioni scritte da parte del pubblico ministero deve essere infatti coordinata con la previsione dell’art. 25, 2° comma, d. lgs. n. 5 del 2003, che consente l’intervento facoltativo nelle sole ipotesi in cui la partecipazione del pubblico ministero al procedimento risulti necessaria.
(21) Potenzialità di danno che dovrà intendersi, alla luce degli studi relativi agli artt. 2373 e 2391 c.c. vecchia formulazione, come ragionevole pericolo di pregiudizio al valore globale delle azioni, oltre che come danno al patrimonio sociale: cfr. PREITE, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi del socio nella società per azioni, in Tratt. delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale, Torino, UTET, vol. 3, tomo II, 1993, 132 ss. Sulla valutazione ex post del potenziale pregiudizio v. SCIMEMI, La vendita del voto nelle società per azioni, Milano, Giuffrè, 2003, 131.
Notano BUSSOLETTI, Le nuove norme del codice civile in tema di processo societario, in questa Rivista, 2004, I, 300, e MAINE-m, (nt. 14), 937, che la norma non contempla ora le irregolarità potenzialmente dannose per i singoli soci, oggetto sovente di attenzione nei pro­ cedimenti ex art. 2409 c.c. (ad es.: rifiuto degli amministratori di consentire ai soci l’ispezione dei libri sociali).
(22) Cfr. BUSSOLETTI, Il procedimento ex art. 2409 c.c., in Riv. soc., 2003, 1214, che sottolinea come l’introduzione del requisito del danno quale presupposto per propone la denuncia, e l’eliminazione della legittimazione attiva del pubblico ministero, portino ad escludere che l’interesse tutelato dalla norma possa considerarsi quello generale connesso alla corretta amministrazione della società; nello stesso senso AMBROSINI, L’amministrazione e i controlli nella società per azioni, in La riforma delle società, a cura del medesimo, Torino, Giappichelli, 2003, 84. Gli interessi pubblici al controllo della società rimangono presenti, peraltro, insieme a quelli di tutela dei soci di minoranza e dei creditori (e ora dei titolari di strumenti finanziari), anche nella nuova formulazione dell’art. 2409 c.c. (cfr. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Padova, CEDAM, 2003, 133; D’AMBROSIO, (nt. 20), 448); già nella precedente formulazione, del resto, non era per nulla pacifico che fosse la legittima­ zione del pubblico ministero a testimoniare l’interesse pubblico al rispetto dei principi di corretta amministrazione: v. A. PATRONI GRIFFI, (nt. 2), 155 ss. Sul rapporto tra autotutela ed eterotutela nel procedimento ex art. 2409 c.c. v. anche S. Rossi, (nt. 19), 89 ss. e 259 ss. Si noti che nel frattempo, in seguito agli scandali finanziari verificatisi negli ultimi tempi, non solo si propone di reintrodurre la legittimazione del pubblico ministero alla de­ nunzia anche nelle società chiuse (in senso critico sull’eliminazione della legittimazione del pubblico ministero cfr. ad es. F. DI SABATO, La riforma delle società di capitali, in Riv. dir. impr., 2002, 565; ARIETA-DE SANCTIS, (nt. 20), 582), ma anche di estendere tale potere agli amministratori non operativi o indipendenti: v. BERNARDI, E se gli dessimo il potere di denunciare gli abusi, in CorrierEconomia, 29 marzo 2004, 4. La legittimazione anche degli amministratori alla denuncia ex art. 2409 c.c. è stata riconosciuta da Trib. Chiavari, 12 giugno 2001, (nt. 19); i precedenti che la pronuncia richiama a tal fine (App. Milano, 22 novembre 1989, in Società, 1990, 371; Trib. Venezia, 11 dicembre 1987, in Società, 1988, 284), tuttavia, ammettono la legittimazione degli amministratori in quanto quest’ultimi siano soci qualificati.
(23) V. i riferimenti alla nt. 11. Tale accresciuto rilievo degli interessi dei singoli soci e dei creditori risulta significativamente dall’attribuzione ai singoli soci, ai sindaci e al pu blico ministero del potere di chiedere la revoca dei liquidatori (v. ora art. 2487, ult. comma, c.c.).
(24) A. PATRONI GRIFFI, (nt. 14), 341 ss.; FERRI, (nt. 19), 793; GALLESIO PIUMA, (nt. 12), 200 ss.; CERA, (nt. 14), 615; PATELLI, Procedimento ex art. 2409 e messa in liquida­ zione della società, in Società, 1998, 673 ss.; NICCOLINI, (nt. 14), 1751, sulla base delle norme degli artt. 2488 e 2489 c.c.; di recente in giurisprudenza Trib. Milano, 30 gennaio 1999, in Giur. it., 1999, 1891 ss.; Trib. Milano, 27 gennaio 2000, ivi, 991 ss.; Trib. Trani. 30 ottobre 2001, (nt. 14). Contra Trib. Pisa, 23 maggio 2001, in Società. 2001, 1223 ss.
(25) V. ad es. Trib. Ragusa, 26 ottobre 2001. (nt. 14).
(26)  Tale obiezione poteva essere avanzata anche contro la tesi che ritiene proponibile la denunzia ex art. 2409 c.c. direttamente contro i liquidatori (v. nt. 24).
Per la natura contenziosa del procedimento di revoca ex art. 2487, ult. comma, c.c. (precedente art. 2450 c.c.) C. ALESSI, (nt. 12), 104; Trib. Ragusa, 26 ottobre 2001, (nt. 14). Sulla natura del procedimento ex art. 2409 c.c. (cautelare; di giurisdizione volontaria; a con­ tenuto oggettivo; contenzioso) v. di recente per tutti i riferimenti GHIRGA, n procedimento per irregolarità della gestione sociale, Padova, CEDAM, 1994, 95 ss.; CETRA, Sulla possibilità di anticipare gli effetti del controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. attraverso un provvedi­ mento d’urgenza, in questa Rivista, 1998, Il, 559 ss.; PAGNI, Mala gestio degli amministratori e tutela urgente, in ,Riv. dir. comm., 2003, I, 460 ss. Si noti che il Tribunale di Venezia nel decreto in commento, seguendo l’indirizzo prevalente in giurisprudenza, ritiene il procedimento ex art. 2409 c.c. di giurisdizione volontaria e quindi stabilisce la non applicabilità degli artt. 91 e ss. c.p.c._ in materia di spese; v., anche per riferimenti alla tesi opposta, NASCOSI, La condanna alle spese nel procedimento di cui all’art. 2409 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 1033 ss.
(27) BIGIAVI, Ancora sulla nomina, (nt. 19), 219 ss., con l’eccezione dell’ipotesi in cui venga presentata una denuncia generica, senza specificazione dei provvedimenti da assumere, nel qual caso il tribunale godrebbe di un’ampia discrezionalità; conforme ‘TEDESCHI, (nt. 13), 219.
(28)   U. BELVISO, Revoca giudiziale del liquidatore di società di persone, in Riv. dir. civ., 1964, II, 486, nt. 48; A. PATRONI GRIFFI, (nt. 14), 345; M.S. SPOLIDORO, Nota senza ti­ tolo, in Foro pad., 1998, I, 427 ss., ove tutti i riferimenti.
(29) SASSANI-TISCINI, Il nuovo processo societario. Prima lettura del d. lgs. n. 5 del 2003, in Giust. civ., 2003, II, 68 ss.; ARIETA-DE SANCTIS, (nt. 20), 508 ss.; DALMOTTO, in AA.VV., Il nuovo processo societario, diretto da Chiarloni, Bologna, Zanichelli, 2004, 1288; A. AMENDOLA, Il procedimento in camera di consiglio. I procedimenti camerali unilaterali, in Riv. dir. impr., 2003, 513 ss.
(30) Cfr. FAZZALARI, Giurisdizione volontaria (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1970, 335 ss.; CERINO-CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, I, 482 ss.; PAJARDI-GALIOTO, I procedimenti camerali, Milano, Giuffrè, 1992, 22 ss.; FERRARA JR,-CORSI, (nt. 14), 557; SAN­ TARCANGELO, La volontaria giurisdizione, Milano, Giuffrè, 2003, voi. I, 17 e 125.
(31) Un cenno in VITALE, (nt. 13), 436; v. anche PATELLI, Controllo giudiziario, liqui­ dazione e proposizione dell’azione di responsabilità, in Società, 1995, 1323 ss.. In giurisprudenza App.. Milano, 1 giugno 1994, in Società, 1995, 523 ss.; Trib. Como, 7 novembre.

Vendita della partecipazione di controllo e garanzie contrattuali

CAPITOLO PRIMO
L’ALIENAZIONE DELLA PARTECIPAZIONE TOTALITARIA O DI “CONTROLLO” TRA VENDITA DEL PATRIMONIO E VENDITA DELLE SOLE QUOTE: LE CLAUSOLE DI RAPPRESENTAZIONE E GARANZIA

Sezione Prima
IL PROBLEMA, LA STRUTTURA DELL’OPERAZIONE E LA NATURA DELLE CLAUSOLE DI RAPPRESENTAZIONE E GARANZIa

1. L’alienazione della partecipazione totalitaria o di «controllo» in una società di capitali. – 2. Le clausole di garanzia: significato e funzione. – 3. (Segue) Classificazione delle pattuizioni più diffuse. – 4. La struttura del­l’operazione. Due diligence e approvazione del contratto da parte dell’or­gano di gestione – 5. (Segue) Contratto preliminare di trasferimento delle partecipazioni ed effetti sulle clausole di garanzia. – 6. (Segue) I meccani­smi di legittimazione a far valere le clausole di garanzia: contratto per per­ sona da nominare, consenso anticipato alla cessione del contratto prelimi­nare e contratto preliminare a  favore di terzo. –    7. Le clausole di  garan­zia in senso stretto: in particolare le c.d. clausole di rappresentazione. L’e­voluzione del common law. – 8. (Segue) Natura delle representations ed effetti della loro violazione: responsabilità da dichiarazioni inesatte. – 9. (Segue) Diversità degli effetti  delle clausole di  rappresentazione rispetto alle clausole di garanzia. – 10. Le c.d. legai warranties: funzione e limiti all’autonomia privata nel quadro delle disposizioni in materia di compra­ vendita. –   11. (Segue) Critica alla tesi prevalente: necessità di distinguere i difetti del diritto trasferito e i vizi della cosa; applicazione dell’art. 1489 c.c. e conseguenze della soluzione accolta. – 12. (Segue) L’aliud pro alio nel caso di trasferimento della partecipazione di controllo. – 13. Natura delle clausole più discusse: le c.d. business warranties. Critica alla tesi che le riconduce a promesse di qualità (art. 1497 c.c.). – 14. (Segue) Ulteriori critiche: incorporalità dell’oggetto ed origine delle clausole in esame. – 15. Critica alla tesi dei patti autonomi, dell’aliud pro alio e dei contratti collegati. – 16. Critica alla tesi che configura le clausole di garanzia quali «parte integrante della  prestazione  traslativa».  Le  clausole  sono  presta­ zioni accessorie del contratto. –   17. (Segue) Nozione di clausola di garanzia. – 18. Promessa del fatto del terzo e garanzia di indennizzo: analogie e differenze.

  1. L’alienazione della partecipazione totalitaria o di «controllo» in una società di capitali

Il contratto che ha per effetto l’alienazione di partecipazioni in società per azioni o in società a responsabilità limitata costituisce, nell’attuale contesto economico, uno degli strumenti maggiormente utilizzati per la realizzazione di molteplici forme di ristrutturazione e integrazione tra imprese; tale contratto, infatti, consente di fatto, nel caso in cui venga venduta una quota che rappresenta una rile­vante frazione o l’intero capitale sociale (1), il «passaggio» dell’a­zienda o, comunque,  del patrimonio della società (2),  beneficiando di un regime fiscale particolarmente vantaggioso (3).
Come è noto, la maggior parte delle attività economiche – e perfino l’amministrazione di patrimoni privati – è esercitata attra­verso la veste societaria, con la conseguenza che le numerose ope­ razioni realizzanti il passaggio della gestione delle imprese com­merciali tra diversi soggetti viene attuata mediante il trasferimento di  partecipazioni sociali (4).  Tale  trasferimento costituisce altresì


(1) Si ipotizza nella prima parte del presente lavoro che il contratto in esame sia qualificabile come  una  compravendita, ai sensi e per gli effetti degli art. 1470 ss. c.c., salvo  verificare,  nel caso vi siano le c.d. clausole di  garanzia, se esso. non possa qualificarsi diversamente (in particolare: come contratto ati­pico o come pluralità di contratti collegati),  con le dovute conseguenze  in  tema di disciplina; v. E. PANZARINI, Cessione di pacchetti azionari: il contenuto delle clausole di garanzia, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato fi­nanziario, Trattato diretto da F. Galgano, vol. I, Torino, 1995, 250 e nt. 4. La vendita di partecipazioni sociali costituisce in ogni caso una delle molteplici ipotesi di vendite c.d. speciali in  virtù del particolare  bene oggetto del con­tratto: sulle vendite speciali v. per tutti G. SANTINI, Il commercio. Saggio di economia del diritto, Bologna, 1979, 358 ss.; A. LUMINOSO, La compravendita, Torino, 2003, 151 ss.; C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato Vas­salli, Torino, 1993, 205: «la vendita esprime un determinato tipo di contratto, caratterizzato da una determinata causa e da un determinato oggetto, cioè l’a­lienazione. Ora, tale oggetto si diversifica  secondo la struttura del diritto alie­nato richiamando regole diverse in ordine ai requisiti e agli effetti».
Con il termine alienazione si fa riferimento ai negozi inter vivos a titolo oneroso che abbiano come effetto il trasferimento della partecipazione sociale qualifi­cata: v. F. MESSINEO, La partecipazione sociale ( a proposito di un libro recente), in Riv. soc., 1966, 957 nt. 11.
(2) Per  l’omogeneità  (normalmente)  delle  nozioni  di  azienda  e  patrimo­nio sociale v. G. PALMIERI, Scissione di società e circolazione dell’azienda, To rino, 1999, 186; M. CASSOTTANA, Rappresentazioni e garanzie nei conferimenti d’azienda in società per azioni, Milano, 2006, 72 nt. 38.
(3) In merito alle differenze dal  punto di vista fiscale tra  il trasferimento di partecipazioni sociali ed il trasferimento di azienda si veda in precedenza il d.lgs.  8  ottobre  1997,  n.  358  (“Riordino   delle  imposte  sui  redditi  applicabili alle operazioni  di cessione e conferimento  di  aziende, fusione,  scissione e  per­ muta di partecipazioni”), che ha previsto  la  possibilità  di  assoggettare  ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi le plusvalenze realizzate sia  me­diante la cessione  di  aziende,  purché  possedute  per  un  periodo  non  inferiore  a tre anni, sia mediante la  cessione  di  partecipazioni  di  controllo  e  di  collega­mento ai sensi dell’art. 2359 c.c., che risultino iscritte come tali nelle immobilizzazioni finanziarie degli  ultimi  tre  bilanci.  Su tale disciplina  v. M.  BEGHIN, La cessione ed il conferimento di aziende e di partecipazioni nella disciplina del d.lgs. n. 358/1997, in Riv. dir. trib., 1998, I, 535 ss.; F. PAPARELLA, Riflessioni sulla nuova disciplina sostanziale della cessione di azienda ( e di partecipazioni di controllo e di collegamento) e dello scambio di partecipazioni ai fini delle impo­ste sui redditi, in Riv. dir. trib., 1999, I, 359; M. MANERA, L’imposizione dei ca­pital gains nell’ambito della disciplina complessiva sui trasferimenti delle parteci­pazioni, in Giur. imp., 2001, 1410  ss.  Ora  si  veda,  per  prime  considerazioni dopo le recenti riforme in materia, R. LUPI, La nuova disciplina IRES: le ope­razioni straordinarie ed i riflessi nell’elusione, in Riv. dir. trib., 2004, I, 609 ss.; F. PEDROTTI, La partecipation exemption quale nuovo regime ordinario di circo­lazione delle partecipazioni societarie, in Riv. dir. trib., 2005, 1137 ss.; R. PER­ROTTA, Il conferimento d’azienda, Milano, 2005, 332 ss.
Per  il problema del trattamento  tributario della vendita di partecipazioni so­ciali in Francia v. ampiamente P. MOUSSERON, Les conventions de garantie dans les cessions de droits sociaux, Paris, 1997, 169 ss.; in Germania v. per riferimenti C. LEIP, Die Veräußerung von Anteilen an Kapitalgesellschaften durch Kapitalgesellschaften, in BB, 2002, 1839 ss.; per la determinazione della legge favorevole per le operazioni aventi ad oggetto società che hanno  la sede  in  Stati diversi  cfr. G. KRAFT, Steuerliche Gestaltungsoptimierung beim internationalen Unternemhenskauf, in RIW, 2003, 641 ss.
Sulle ulteriori differenze tra trasferimento di azienda e di partecipazioni e la rispettiva convenienza, si ritornerà comunque infra, nel testo.
(4) Cfr. AA.VV., Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferi­mento, a cura di F. Bonelli e M.  De  Andrè,  Milano, 1990,  I  ss.; G.G. PETTA­RIN, Acquisizione, fusione e scissione di società, Milano, 1992, 33 ss.; A. PETTI­NARI, La cessione di quote di società commerciali, Milano, 1997, 1 ss.; E. PANZARINI (nt. 1), 247; S.  LANTINO,  Acquisizioni di aziende e partecipazioni, Mi­lano, 2002, 22 ss.; C. d’ALESSANDRO, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, Milano, 2003, 1 ss.; A. TINA,  Il contratto  di acquisizione di partecipazioni societarie, in corso di pubblicazione; per un’analisi di tipo eco-

La circolazione di partecipazioni in S.R.L. tra acquisti a non dominio e pubblicità commerciale

Sommario:  1. Il  trasferimento  di  partecipazioni  in  società  a  responsabilità  limitata  negli  ordinamenti europei. – 2. L’art. 2470, comma 3o, c.c. – 3. Segue. Un nuovo criterio di soluzione dei conflitti. – 4. Acquisto a non domino di partecipazioni in s.r.l.: analogie e differenze con la circolazione mobiliare. – 5. La rilevanza della buona fede dell’acquirente. – 6. Segue. L’iscrizione  del  trasferimento  nel  registro  delle  imprese:  effetti  della  pubblicità.  –  7.  Segue. Il problema del coordinamento con l’art. 2448 c.c. – 8. Possibile estensione dell’ambito applicativo dell’art. 2470, comma 3o, c.c.

1.  Il  trasferimento  di  partecipazioni  in  società a responsabilità limitata  negli ordinamenti europei.

E`  un dato comune a numerose legislazioni europee che la circolazione di partecipazioni in s.r.l. sia  assoggettata a determinati requisiti, più o meno rigorosi, di forma del contratto e di pubblicità del trasferimento1.
Gli effetti di quest’ultimo tra le parti si verificano – negli ordinamenti che hanno recepito la soluzione francese – per mezzo del consenso legittimamente manifestato, che è sufficiente a realizzare l’acquisto del diritto (o, se si preferisce, del complesso dei diritti)2; gli effetti del trasferimento nei confronti dei terzi (e della società) sono invece collegati all’osservanza di determinate  formalità,  relative  sia  al  contratto  che  alla  pubblicità  dello  stesso, necessarie per ottenere l’opponibilità della cessione (e la legittimazione al- l’esercizio dei diritti sociali)3.

Tali formalità, considerando anche gli ordinamenti ove ancora vige la separazione, di origine romanistica, tra titulus e modus adquirendi, possono concretizzarsi – con riferimento al contratto – nell’imposizione di un atto pubblico (come nell’art. 26 della Ley de Sociedades de Responsabilidad Limitada spagnola, nel GmbH-Gesetz tedesco e austriaco – §§ 15 e 76 – , nell’art. 228 del Código das Sociedades Comerciais portoghese o nell’art. 791, comma 4o, dell’OR svizzero); di un atto con  sottoscrizione  autenticata  (art. 2470 c.c.); infine della sola forma scritta, come nell’art. 785 del disegno di revisione della disciplina della società a garanzia limitata, in corso di discussione nell’ordinamento elvetico. Con  riferimento  alla  pubblicità ai  fini  dell’opponibilità del  contratto  ai terzi, e` previsto, nel codice francese, il deposito presso il registro del commercio4; in quello italiano il deposito presso il registro delle imprese seguito dall’iscrizione nel medesimo del trasferimento (art. 2470, comma 2o, c.c.); quest’ultimo sistema è  ora in via di adozione anche in Svizzera5. E ciò salve


1  V. l’incipit di un recente saggio tedesco in argomento: « In keiner Rechtsform ist die Übertragung von  Gesellschaftsanteilen mit so hohen rechtlichen  Hürden  verbunden  wie  in  der GmbH». Così SCHNORBUS, Die Teilnahme des Scheingesellschafters an Strukturmaßnahmen  in der GmbH, in ZGR, 2004, 126. Tale affermazione ripete considerazioni già  avanzate da WIELAND, Handelsrecht, II, München-Leipzig, 1931, 321, con riferimento ai lavori preparatori della legge tedesca e austriaca sulla s.r.l. e ai progetti di legge svizzero, francese e italiano dei primi anni del ’900.
2 L’applicazione del principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c. al trasferimento della partecipazione in s.r.l., pur dopo le modifiche del 1993, costituisce un dato pacifico tra  gli interpreti:  v.  G.F.  CAMPOBASSO, Diritto  commerciale, 2, Diritto  delle  società5, Torino, 2002, 553; Spada, La «legge Mancino» e la circolazione della ricchezza imprenditoriale: forma degli atti e funzioni di polizia, in Riv. dir. comm., 1994, I, 287 ss.; ANGELICI, Sul nuovo testo dell’art. 2479 c.c., ibid., 325 ss.; dopo la riforma del diritto societario GUIDOTTI, Riflessioni sulla pubblicità  del trasferimento della quota di s.r.l. dopo la riforma, in Giur. comm., 2004, I, 774; ASSOCIAZIONE DISIANO PREITE,  Il  diritto  delle  società a  cura  di  Olivieri-Presti-Vella,  Bologna,  2004,  264;  DE STASIO, Trasferimento della partecipazione nella s.r.l. e conflitto tra acquirenti, Milano, 2005 (ed. provv.), 32 ss. In giurisprudenza v. App. Milano, 17-2-1989, in Giust. civ., 1989, I, 1914 ss.; Cass., 10-11-1998, n. 11296, ivi, 1999, I, 1717 ss., in un caso di conclusione del contratto mediante telegramma privo dei requisiti di cui all’art. 2705 c.c.; Trib. Napoli, 17-7-2003, in Società, 2004, 495 ss.; v. anche Registro imprese Ferrara, 27-12-1999, in Notariato, 2000, 459 ss. Nello stesso senso si pronuncia la giurisprudenza con riferimento al trasferimento di quota in  società  di persone: v. Cass., 9-9-1997, n. 8784, in Giur. it., 1998, 1417 ss.
3 La separazione tra il piano della successione dell’acquirente all’alienante nel diritto, da un lato, e l’opponibilità del titolo o dell’acquisto ai terzi, dall’altro, e` in particolare oggetto di studio nei lavori di Palermo, Contratto di alienazione e titolo dell’acquisto, Milano, 1974, 23 ss., spec.  44  ss.;  GAMBARO,  La  proprietà,  in  Trattato  Iudica-Zatti,  Milano,  1990,  317  ss.;  VETTORI, Consenso traslativo e circolazione dei beni, Milano, 1995, 41 ss.; ID., Effetti del contratto, in Il contratto in generale, V, in Trattato Bessone, Torino, 2002, 93 ss.; Vecchi, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, 138 ss.; MUCCIOLI, Efficacia del contratto e circolazione della ricchezza, Padova, 2004, 89 ss. V. inoltre GAZZONI, La trascrizione immobiliare2, in Commentario Schlesinger, Milano, 1998, 3 ss. e già CCARNELUTTI, Teoria giuridica della circolazione, Padova, 1933, 75 ss.
4  V. per i riferimenti ZANARONE, Società a responsabilità limitata, in Trattato Galgano, VIII, Padova, 1985, 69, nt. 11.
5 In Spagna invece l’iscrizione nel Registro mercantil del trasferimento e` stata soppressa dalla l. n. 19 del 25-7-1989: v. ANGULO RODRÍGUEZ, En torno a la transmisio´n de las participa-

Clausole di esclusione e patti parasociali: giurisprudenza tedesca e art. 2473-bis c.c.

BGH, 14 marzo 2005 – II ZR 153/03 (OLG Frankfurt am Main), in ZIP, 2005, 706 ss.

Esclusione del socio di società a responsabilità limitata a seguito dello scioglimento di un contratto di cooperazione stipulato dalla società con tale socio – Nullità della delibera di esclusione per mancanza di un motivo oggettivo – Non sussiste.
(BGB §§ 138; 737; GmbHG § 34)

La previsione del diritto di escludere un socio da una società a responsabilità limitata senza un motivo oggettivo specifico, ma a seguito del semplice venir meno di un altro rapporto collegato al rapporto sociale, deve ritenersi in generale nulla in quanto contraria al buon costume. Tale previsione è però legittima nel caso in cui lo statuto preveda quale motivo dell’esclusione lo scioglimento di liii contratto di cooperazione stipulato dalla società con il socio e che riveste importanza prevalente rispetto al rapporto sociale (Massima non ufficiale).

BGH, 19 settembre 2005 – II ZR 173/04 (OLG Frankfurt am Main), in WA,f, 2005, 2043 ss.

Opzione di acquisto della quota del socio di società a responsabilità limitata a seguito della cessazione dall’incarico di amministratore della società –  Nullità della clausola per contrasto con la disciplina dell’esclusione del socio – Non sussiste.
(BGB § 138)

La previsione del diritto di escludere un socio da una società a responsabilità limitata senza un motivo oggettivo specifico deve ritenersi nulla in quanto contraria al buon costume anche se convenuta in un patto parasociale. Tale previsione è però legittima in casi particolari, ad esempio qualora la partecipa­ zione sociale sia stata attribuita a seguito dell’assunzione dell’incarico di amministratore della società, e si sia contestualmente pattuito che la cessazione di tale incarico determini il diritto di opzione, a favore di un altro socio, all’acquisto della partecipazione sociale (Massima non ufficiale).

Clausole di esclusione e patti parasociali: giurisprudenza tedesca e art. 2473-bis e.e.

1. Il caso

La prima decisione pubblicata concerne la legittimità di una clausola contenuta nello statuto di una GmbH che prevede la possibilità di deliberare l’esclusione di un socio al venir meno di un contratto di cooperazione tra la stessa società ed il socio.
La s.r.l. oggetto della controversia gestiva la cooperazione internazionale nella prestazione di (non specificati) servizi ed aveva come soci i singoli partner nazionali, i quali a loro volta erano vincolati alla società da un contratto a tempo indeterminato (che prevedeva la facoltà di recesso con preavviso o per giusta causa dell’una e dell’altra parte). Orbene: la società deliberava di recedere con preavviso dal contratto di cooperazione con il partner spagnolo, e a ciò faceva seguito la decisione di esclusione del medesimo dalla s.r.l., delibera successivamente impugnata dal socio. Il BGH riconosce la legittimità della clausola di esclusione, in quanto ritiene non applicabile al caso concreto la propria giurisprudenza consolidata che sanziona con la nullità le clausole di esclusione non ancorate ad un motivo oggettivo specifico (v. infra, par. 3). La Suprema Corte tedesca osserva che da un lato la delibera di esclusione consegue al venir meno di un contratto di cui è  parte la società, e risulta quindi giustificata da tale evento; dall’altro lato la decisione circa il recesso dal contratto di cooperazione spetta alla s.r.l., e non al voto determinante di uno dei soci (poiché nel caso concreto nessuno di quest’ultimi era in grado di esprimere da solo la maggioranza). Pe1tanto da ciò consegue la liceità della clausola nonché dell’esercizio del diritto di esclusione. Il BGH sottolinea inoltre, in via generale, la strumentalità che la partecipazione sociale (e quindi il contratto di società) può rivestire in dete1minate ipotesi rispetto ad un altro rapporto contrattuale, sicché una volta risolto quest’ultimo può legittimamente provvedersi allo scioglimento anche del primo (limitatamente ad un socio).
La seconda sentenza in commento costituisce una decisione particolarmente attesa nell’ambiente giuridico tedesco, in quanto nel corso del 2004 erano state pubblicate due sentenze di merito che si erano pronunciate, sulla medesima vicenda, in te1mini diametralmente opposti (v. infra, par. 3). La questione decisa è la seguente: la legittimità di clausole che prevedano quale effetto l’esclusione del socio nel caso in cui venga meno la qualifica di amministratore rivestita dal socio stesso. Nella fattispecie concreta si trattava di una società holding che gestiva, in diversi ambiti territoriali, dei negozi tramite delle Vorort-GmbH (delle società destinate ad operare nei singoli paesi) possedute per il 95% del capitale dalla stessa holding, per il 5% del capitale sociale dal socio amministratore. Quest’ultimo aveva avuto la possibilità di acquistare tale 5% al valore e nominale, ma aveva dovuto sottoscrivere contestualmente un’opzione, in base alla quale si obbligava a vendere all’altro socio la partecipazione al venir meno del suo incarico di gestore e per un valore predeterminato (che tenesse conto del fatturato della società nel periodo di sua amministrazione). Poiché la società holding poteva liberamente revocare l’amministratore (in forza della partecipazione al 95% del capitale sociale della Vorort-GmbH), l’opzione di acquisto avrebbe potuto ritenersi, in ipotesi, contraria  all’ordine pubblico in quanto strumento di sostanziale esclusione del socio in mancanza di un motivo oggettivo specifico.
Il BGH riconosce la legittimità anche di tale pattuizione, richiamando la propria giurisprudenza consolidata, che considera in astratto nulla la clausola di esclusione o il complesso di clausole che ha per effetto l’esclusione non ancorate ad un motivo oggettivo specifico, ma riconosce la possibilità di eccezioni a tale principio, qualora vi siano ragioni ulteriori di validità della clausola (o del complesso di clausole) nel caso concreto. La Suprema Corte tedesca ritiene che la partecipazione sociale dell’amministratore unico sia strumentale a rafforzare i legami del soggetto con l’impresa, e che siffatta configurazione del rapporto legittimi l’opzione di acquisto a favore del socio di maggioranza, in quanto quest’ultimo deve essere libero, al venir meno dell’incarico di amministratore, di poter sostituire un nuovo soggetto nei due rapporti. Tale configurazione esclude altresì, a parere del BGH, qualsiasi violazione della parità di trattamento tra i soci.

2. Normativa di riferimento

«II recesso e l’esclusione del socio…  Senza questi due istituti il diritto della s.r.l. sarebbe irragionevole e le conseguenze per la prassi assurde». Cosl, in una delle opere fondamentali di diritto delle società tedesche, si conclude la parte relativa al recesso e l’esclusione del socio nella s.r.l. 1. Ciò sebbene la legge sulla GmbH non preveda una disciplina specifica dell’esclusione del socio; contempla solo, al § 34, la Einziehung, ossia, propriamente, il riscatto e l’annullamento di determinate partecipazioni sociali per specifiche ragioni previste nell’atto costitutivo.
Da un lato nella prassi statutaria la clausola di Einziehung viene pertanto utilizzata spesso come strumento di esclusione di un socio 2; dall’altro la dottrina e la giurisprudenza tedesca riconoscono ulteriormente, in analogia con la disciplina delle società di persone (§ 140 HGB) o con quella  dello scioglimento  della società (§ 60 GmbHG), la possibilità  di deliberare l’esclusione di un socio (Ausschluss o Ausschliessung) sia sulla base di specifiche clausole statutarie o parasociali, sia a prescindere dall’esistenza di una specifica pattuizione e purché vi sia una giusta causa (aus wichtigem Grund)3.
Le due sentenze che qui si commentano riguardano questioni in tema di clausole di esclusione (la prima: si tratta propriamente di un caso di Einziehung) o che hanno come effetto l’esclusione (la seconda), e sono di un ce1to interesse per il lettore italiano in quanto affrontano alcuni profili problematici che anche l’art. 2473-bis e.e. può comportare (v. infra, par. 5). Si occupano entrambe dell’eventuale invalidità per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume di tali clausole ai sensi della nor ma generale del BGB (§ 138, corrispondente  al nostro mi. 1418 e.e.); nonché del connesso aspetto della possi bile estensione della nullità ad altre clausole (del contratto sociale o parasociale in cui le pattuizioni che legittimano o hanno per effetto l’esclusione sono contenute).
Entrambe le sentenze rilevano, inoltre, poiché affermano il principio che la partecipazione sociale può costituire un rapporto accessorio ad (un «semplice allegato» di) un altro contratto, sicché il venir meno di tale contratto «collegato» può determinare altresì lo scioglimento del rapporto sociale 4. Una sorta di collegamento «inverso» (ricordando quello tra sociale e parasociale) tra quanto è al di fuori dello statuto e le clausole di quest’ultimo, collegamento che rileva per l’esecuzione e l’interpretazione del contratto di società.

In particolare nel primo caso si  tratta  di un contratto di cooperazione tra socio e società, dal quale quest’ultima può liberamente recedere con delibera a maggioranza 5 ( e con successiva e conseguente possibilità, dunque, di esclusione del socio); nella fattispecie della seconda sentenza il presupposto dell’esclusione del socio­amministratore è legato alla semplice volontà dell’altro socio, il quale, titolare del 95% del capitale sociale, può liberamente revocare l’amministratore di una GmbH (v. § 38, Abs. 1, GmbHG), e quindi concretizzare l’evento che costituisce la condizione per l’esercizio dell’opzione (che comporta di fatto l’uscita del socio titolare della partecipazione di minoranza).

3. Precedenti giurisprudenziali

In merito alla prima sentenza non si riscontrano precedenti nell’ordinamento tedesco. Anche la dottrina sottolinea infatti la novità di tale decisione, in quanto per la prima volta la Suprema Colte pone a fondamento della legittimità della clausola la circostanza che l’evento determinante l’esclusione sia frutto di una decisione della società, e che l’assemblea non risulti controllata (sembra: né di diritto, né di fatto) da alcuno dei soci 6.

Con riferimento al caso oggetto della seconda decisione, la giurisprudenza tedesca si era pronunciata, nel corso del 2004 e come accennato, in modo diametralmente opposto.

Una sentenza dell’OLG Frankfurt aveva ritenuto la clausola che prevede l’opzione nulla, in quanto contraria all’ordine pubblico e al buon costume 7. Il socio vincolato dalla pattuizione non sarebbe, infatti, libero di esercitare i diritti sociali in modo autonomo, ma risulterebbe limitato dalla necessità di seguire la volontà del socio di maggioranza che potrebbe anche fame venir meno la qualità di socio, mediante la revoca dell’incarico di amministratore e a seguito dell’esercizio dell’opzione (o della successiva accettazione della proposta irrevocabile di vendita della partecipazione). Il socio di minoranza non sarebbe quindi, secondo la Cotte d’Appello, tale, ma sarebbe un «impiegato» del socio di maggioranza. I due negozi (acquisto della quota e opzione) dovrebbero considerarsi pertanto nulli, con conseguente sorgere a carico delle parti degli obblighi restitutori derivanti dalla pronuncia di nullità di entrambi i contratti.

Secondo OLG Düsseldorf, invece (sentenza preceduta da una decisione analoga dell’OLG Celle8), il complesso delle clausole deve ritenersi valido, in quanto alla luce di mia Gesamtschau dell’operazione quest’ultima appare equilibrata: da un lato il socio amministratore ha avuto la possibilità di acquistare la partecipazione nella GmbH ad un valore molto conveniente (il valore nominale) e man tiene la possibilità di rivenderla – a seguito dell’opzione che l’altro socio può esercitare – ad un prezzo predeterminato decisamente superiore; dall’altro il socio amministratore può conseguire nel corso degli anni gli utili (che contribuisce direttamente a produrre in ragione del suo incarico e che devono essergli distribuiti con preferenza), mentre il rischio imprenditoriale viene corso quasi esclu­sivamente dal socio di maggioranza (ossia la società holding). Il socio-amministratore non partecipa infatti sostanzialmente alle perdite (salvi i casi della riduzione del capitale o dello scioglimento anticipato della società), poiché il prezzo dell’opzione è già predeterminato.

Le due sentenze interpretano in modo diverso la giurisprudenza del BGH che fin dal 1977 ha ritenuto principio basilare del diritto delle società che la clausola di esclusione del socio preveda quale presupposto di applicazione un motivo oggettivo specifico.

L’interpretazione della Suprema Corte tedesca è espressa sia in tema di società di persone, che di s.r.l., che di società tra professionisti, e riguarda sia le clausole statutarie che attribuiscono ad un socio, a un gruppo di soci o alla maggioranza il potere di escludere, sia le pattuizioni parasociali che hanno come effetto l’esclusione di un socio; tale interpretazione si fonda sulla considerazione secondo cui il diritto di esclusione non collegato a parametri specificamente individuati viola la libertà del  socio, e quindi l’ordine pubblico e il buon costume, con conseguente nullità della pattuizione ai sensi del § 138 BGB. Questa clausola infatti costituisce una «spada di Damocle» all’esercizio dei diritti sociali e al principio della collaborazione tra i soci 9, e rende uno o più dei partecipanti al contratto di società un Gesellschafter minderen Rechts. Solo eccezionalmente – sempre secondo il BGH – risulta possibile ritenere il patto (sia esso contenuto nello statuto o in un contratto parasociale) valido. Ad esempio, quando si tratta di una società tra professionisti, e la clausola di esclusione, che deve essere però circoscritta entro un limite temporale ben determinato, sia strumentale al controllo, da parte dei vecchi soci, dell’affidabilità del nuovo entrato 10; oppure  quando il diritto di esclusione è riconosciuto nei confronti degli eredi del socio defunto (sempre entro un limite temporale ben determinato), al fine di verificare l’attitudine dei nuovi entrati a partecipare all’impresa; oppure ancora quando il rapporto sociale è collegato ad un rapporto fiduciario tra i soci, e questo viene meno 11; infine quando la partecipazione sociale è legata alla pro prietà di un appartamento in un complesso immobiliare 12

4. Dottrina

Il primo caso oggetto di questa nota ha sollevato l’interesse della dottrina in quanto viene sancito – come accennato: senza precedenti, seppure non quale unica ratio decidendi – che la mancanza di un socio in grado da solo di esprimere la maggioranza legittima le clausole di esclusione anche in assenza di un motivo oggettivo specifico 13.  Quest’interpretazione tuttavia è stata criticata, in quanto la mancanza di un unico socio di maggioranza non toglie che il socio possa essere soggetto – volendo seguire il tradizionale orientamento del BGH – alla «spada di Damocle» dell’esclusione e quindi non possa esercitare i diritti sociali in modo libero 14. Del resto nelle decisioni della Cassazione tedesca il presupposto dell’invalidità della clausola di esclusione è sempre stato la mancanza del motivo oggettivo specifico, e non il soggetto cui tale potere è attribuito. La sentenza è inoltre rilevante, come si diceva, per l’affermazione del carattere subordinato che il rapporto societario può rivestire rispetto ad altro rapporto, sicché tale carattere e quindi il collegato rapporto paiono utilizzabili, secondo il BGH, a livello di interpretazione della clausola di esclusione.
Con riferimento alla seconda decisione pubblicata, si noti che la dottrina tedesca, per lo più favorevole alla validità delle clausole di esclusione o che hanno per effetto di esclusione 15, era insorta di fronte alla sentenza dell’OLG Frankfurt sopra riassunta. In particolare si temeva che la diffusione del principio enunciato nella decisione potesse minare la legittimità di varie clausole contenute negli statuti e nei patti parasociali, tra le quali in particolare le c.d. leaver clauses, inserite nei contratti di acquisizione e di private equity: tali pattuizioni sono volte a regolare lo scioglimento del rapporto tra l’ammini­stratore e la società al ricorrere di determinati presupposti 16. Dal punto di vista giuridico, inoltre, la sentenza dell’OLG Frankfurt si esponeva a penetranti censure; ad esempio quella di ritenere contraria all’ordine pubblico e al buon costume, e quindi nulla, una pattuizione che il giudice considera irragionevole dal punto di vista economico 17. La sentenza della Suprema Cotte qui pubblicata ha invece tranquillizzato la dottrina ed è stata considerata una decisione da approvare.
Le due recenti sentenze del BGH confermano che è ormai la regola – nota la dottrina quasi unanime – che le clausole di esclusione, pur non ancorate a un giustificato motivo oggettivo predeterminato, vengano ritenute, anche in giurisprudenza, legittime: l’illiceità di tali clausole è diventata inversamente l’eccezione 18 I casi in cui viene dichiarata la nullità delle clausole paiono infatti più rari rispetto a quelli in cui invece ne è affermata la validità.
Del resto secondo gli autori tedeschi l’interpretazione della Suprema Corte, in teoria favorevole alla nullità delle clausole, non è giustificabile, in quanto anticipa la possibile valutazione sull’illegittimità della delibera di esclusione a valutazione sulla validità della clausola di esclusione; dovrebbero invece ritenersi ammissibili anche clausole non ancorate alla giusta causa o al motivo oggettivo specifico, salvo un eventuale giudizio di contrarietà alla buona fede o di abuso del dritto nel concreto esercizio del potere di esclusione 19. In sostanza è la singola delibera che determina l’esclusione del socio (o comunque il sostanziale esercizio del relativo potere) a dover essere conforme alla Treuepflicht che caratterizza, secondo l’interpretazione unanime della dottrina tedesca, il contratto di società; non è necessario svolgere un giudizio preventivo di validità delle clausole, quanto è l’eventuale utilizzo abusivo della clausola a dover essere sanzionato con l’inefficacia dell’atto di esercizio per violazione della buona fede 20 (come del resto anche riconosciuto in una sentenza dello stesso BGH21). Seguendo la tesi della giurisprudenza, invece, la «spada di Damocle» sarebbe costituita non tanto dalla clausola di esclusione, quanto dalle conseguenze della nullità della clausola: la nullità potrebbe fulminare di conseguenza…

L’aumento di capitale “garantito”

SOMMARIO: 1. L’operazione: il rilascio cli dichiarazioni e garanzie patrimoniali-reddituali da parte della società nel caso di aumento del capitale. –  2. Le soluzioni al problema ne­ gli altri ordinamenti. – 3. Casi di responsabilità della società e risarcimento o indennizzo a favore del socio: in particolare il dibattito sulla responsabilità da prospetto. – 4. Compatibilità della prestazione delle garanzie contrattuali da parte della società con il divieto di restituzione ai soci dei conferimenti (e del soprapprezzo) e di patto leonino. – 5. Compatibilità delle clausole con il divieto di assistenza finanziaria. – 6. Ulteriori considerazioni: causa societatis del rapporto e limiti all’operazione. – 7. “Impugnazione” del ·”contratto di sottoscrizione” o sottoscrizione di azioni proprie da parte della società? Possibili soluzioni alternative per effettuare l’operazione.

1. Non sono rari nella prassi nazionale e internazionale i casi in cui la società per azioni che è in procinto di aumentare il proprio capitale so­ cale stipuli _con un terzo non ancora azionista un contratto con il quale, a fronte dell’impegno del terzo a sottoscrivere il programmato aumento di capitale (con esclusione del diritto d’opzione dei vecchi azionisti), la società presti garanzie contrattuali relative, oltre che alle partecipazioni che sa, ranno emesse, al sottostante patrimonio sociale. Si tratta delle clausole di rappresentazione e garanzia (spesso definite direttamente con la terminologia degli ordinamenti da cui sono state mutuate, ossia rèpresentations and warranties), che Costituiscono ormai elemento naturale dei contratti di vendita della partecipazione di “controllo” e che sono già state analizzate dà parte della dottrina e della giurisprudenza: con tali previsioni la società si impegna a indennizzare il terzo nel caso in cui le partecipazioni emesse a fronte dell’aumento di capitale e (soprattutto) il patrimonio della società non presentino determinate caratteristiche oppure nel c o    in cui si verifichino eventi che comportano dei rilevanti effetti sfavorevoli sulla situazione aziendale (1). L’opportunità dell’inserimento delle dichiarazioni e garanzie nei contratti di vendita del “controllo” si giustifica, come noto, in base all’interpretazione secondo cui costituiscono vizi e difetti oggetto della tutela legale (artt. 1478 ss.) solo quelli che riguardano le azioni come titoli di partecipazione·, e non invece quelli che inficiano la consistenza patrimoniale della società. In termini sintetici, costituisce un vizio o difetto delle azioni che permette all’acquirente di avvalersi della garanzia della vendita solo, ad esempio, la circostanza che siano trasferite azioni a voto limitato, anziché ordinarie, oppure azioni sulle quali insistano vincoli che non con­ sentono il pieno· esercizio dei diritti sociali; non invece la mancanza, nel patrimonio della società, di un determinato brevetto, di un certo immobile, di un particolare contratto (2). A fronte di questa prevalente e restrittiva interpretazione – che forse è tempo sia oggetto di ripensamento – Si è sviluppata la prassi di inserire nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di partecipazioni totalitarie o di “controllo” a qualunque titolo (si tratti di vendita, oppure di permuta, di conferimento, di scissione, ecc.) determinate clausole volte a tutelare l’avente causa, in modo tale da assicurare che il bene oggetto dello scambio presenti specifiche caratteristiche (e in partico­ lare che nel patrimonio della società vi siano quel diritto di proprietà industriale, un determinato immobile privo di vizi, ecc.). Per il compratore non è infatti sufficiente che le azioni come titoli di partecipazione siano immuni da vizi, ma è necessario che il patrimonio della società (che è ciò che più interessa) presenti determinati requisiti la cui sussistenza venga dichiarata e/o garantita dal venditore (in mancanza, ai sensi dell’interpretazione esposta, di una diretta tutela ex lege).
Nell’aumento del capitale le clausole di rappresentazione e garanzia vengono anzitutto in discussione ·quando vi è l’ingresso di un nuovo socio che “finanzia” la società con capitale di rischio nell’ambito di operazioni di venture capital. Il terzo si impegna preventivamente a sottoscrivere il fu­ turo aumento (e spesso anche a rimanere socio per un determinato periodo di tempo); ma pretende che vi sia la prestazione delle menzionate dichiara­ zioni e garanzie sulle partecipazioni e sulla situazione patrimoniale, e che esse siano assunte anche dalla società, e non solo dai soci (3): questa richiesta si giustifica o perché nessuno dei vecchi soci è disposto a prestarle personalmente, o perché l’investitore non si ritiene sufficientemente garantito dal patrimonio di tali soci (4).
Per le medesime ragioni la prestazione di garanzie da parte della società viene richiesta nel caso di operazioni più complesse, volte a determinare in senso economico la riunione di più imprese (c.d. business combination): da un lato può avvenire che, a fronte dell’aumento di capitale, il terzo si impegni a conferire la propria azienda attiva nello stesso settore (5); dall’altro può accadere che vi sia –   anche per la convenienza fiscale dell’operazione – una sostanziale permuta di quote. In quest’ultimo caso le azioni emesse a fronte dell’aumento di capitale vengono utilizzate per acquisire (non direttamente l’azienda ma) la partecipazione di “controllo” della società che si intende integrare, con la conseguenza che il socio di riferimento di quest’ultima riceve a fronte del conferimento le partecipazioni della società che dà corso all’aumento (6).
Le operazioni così congegnate pongono, dal punto di vista del diritto societario, alcune delicate questioni, che attengono non solo all’attuazione dell’aumento  di capitale  (ad es.: limiti all’esclusione del  diritto di opzione ex art. 2441 e.e.; limiti alla delega all’organo amministrativo per l’esecuzione dell’operazione alla luce del nuovo art. 2443 e.e.; informativa  ai soci di minoranza; ecc.) (7); ma anche alla validità ed efficacia delle dichiara­ zioni e garanzie prestate dalla società che procede all’aumento a favore del sottoscrittore (o del consorzio delle banche che si impegna a sottoscrivere e collocare le azioni sul mercato. (8)). Quest’ultimo profilo –   diversamente dal primo – non è stato oggetto di specifica analisi nella letteratura (italiana) e merita un approfondimento.

2. Il tema è stato particolarmente studiato in Francia, in Germania e in Inghilterra, anche se a quanto risulta non è ancora stato affrontato direttamente dalla giurisprudenza.
Nell’ordinamento transalpino si è concluso in linea di principio per la validità delle clausole che contengono le menzionate dichiarazioni e garanzie; l’impressione è tuttavia che l’argomento sia stato trattato in modo piuttosto superficiale. Le regole che in astratto potrebbero risultare violate dal­ le operazioni in questione sollo, per gli autori francesi, – gli artt. 225-128 e 225-216, alinea I, code de commercè. La prima disposizione vieta l’emissione delle azioni ad un prezzo inferiore al loro valore nominale (come il previgente art. 2346 e.e. (9)): cori le dichiarazioni e garanzie in esame il socio riceverebbe, a seguito del verificarsi della sopravvenienza passiva e della conseguente prestazione dell’indennizzo, un “rimborso” di parte del conferimento; tale rimborso potrebbe-comportare in sostanza un’emissione sotto la pari. Si è tuttavia osservato che le clausole in esame devono ritenersi valide, purché mantengano il tetto all’indennizzo (che eventualmente, e quindi in caso di non corrispondenza del patrimonio sociale o di sopravvenienze passive, dovrà essere versato al terzo) nei limiti del soprapprezzo (10); ossia purché l’importo indennizzabile (il  c.d. cap), che costituisce la Soglia quantitativa massima alle prestazioni di garanzia, venga convenzionalmente predeterminato in modo da non superare l’entità della somma versata dal nuovo socio a titolo di soprapprezzo (li). Nell’ordinamento francese, infatti, il soprapprezzo è a disposizione degli azionisti che lo possono utilizzare come una “riserva libera” (12): il divieto di emissione delle azioni sotto il valore nominale non verrebbe dunque violato, in quanto l’indennizzo sarebbe al massimo limitato alla somma versata a titolo di soprapprezzo (13). Secondo una tesi più “morbida” l’indennizzo potrebbe altresì superare il soprapprezzo; in quanto la prestazione di garanzia non determina una revisione del prezzo di emissione delle partecipazioni socia­ li, ma comporta per la società un’obbligazione autonoma e indipendente, quella di indennizzo, che non può costituire in quanto tale violazione del divieto dell’emissione sotto la pari (14).
L’art. 225-216, alinea I, code de commerce statuisce d’altra parte che la società non può co cedere una garanzia in vista della _sottoscrizione o dell’acquisto di proprie azioni da parte dei terzi (divieto di financial assistance). Tuttavia, osservano gli autori francesi, le warranties in esame da  un lato hanno lo scopo non già di garantire il pagamento di un debito contratto per l’acquisto delle partecipazioni, ma solo di garantire al terzo determinate caratteristiche di quest’ultime o del patrimonio sociale (15); dall’altro costituiscono pattuizioni autonome, e non un’obbligazione accessoria in favore del garantito (16). Da ciò consegue –   per gli autori in esame –    che la prestazione da parte della società delle clausole di garanzia non viola neppure la norma citata, nonostante la dottrina francese si esprima per lo più in senso favorevole ad un’interpretazione estensiva della nozione di garanzia che il divieto di assistenza finanziaria vuole impedire (17).
Ben altro approfondimento è stato riservato al tema dalla dottrina tedesca, la quale è pervenuta ad una conclusione tendenzialmente negativa in merito alla validità delle dichiarazioni e garanzie in esame.
In primo luogo, si è osservato che clausole siffatte violano la norma (§ 57 Abs. I AktG) che vieta la restituzione ai soci dei conferimenti (18): tale disposizione proibisce, a pena di nullità, ogni forma diretta o indiretta di prestazione restitutoria da parte della società che trovi il proprio fondamento nella qualità di socio della controparte; rileva, a tal fine, anche l’attribuzione patrimoniale che trova causa nella futura qualità di socio (19).
Al riguardo si è obiettato, al fine di salvare la validità dell’operazione, che la prestazione delle garanzie in esame non è giustificata dalla qualità di (futuro) socio del sottoscrittore, ma costituisce una prestazione comune del venditore nel caso di alienazione di partecipazioni sociali. Poiché sono sottratti al divieto imposto dalla norma del § 57 AktG i negozi conclusi tra la società e un socio (presente o futuro) at arm’s length, ossia i negozi che un diligente amministratore avrebbe concluso nelle stesse circostanze alle medesime condizioni sul mercato con un non azionista (20), tali clausole non rappresenterebbero un’attribuzione patrimoniale vietata dal § 57 AktG; del resto hanno lo scopo di  assicurare il  rapporto  di equivalenza tra  apporto (sia esso un’azienda; un pacchetto di controllo; un know-how del sottoscrittore), da un lato, e il valore dell’investimento, dall’altro (21). L’obiezione è però oggetto di critica, in quanto –   si è sostenuto –   pare confondere il piano dei rapporti contrattuali tra le parti e le regole sul mantenimento del capitale sociale (e salvo che si ritengano violati, come da parte di alcuni si sostiene, addirittura i principi sulla corretta formazione del capitale sociale) (22).

La forma e il trasferimento della partecipazione sociale

SOMMARIO: 1. Il trasferimento di partecipazioni nella coop-s.r.l.: il problema – 2. Il   significato   del   rinvio   alle   norme   in   tema   di   s.r.l.   –   3.1.   La rappresentazione delle partecipazioni sociali – 3.2. Quote e azioni di coop s.r.l. – 4. La circolazione delle partecipazioni del socio cooperatore: forma del contratto e pubblicità – 5. L’autorizzazione degli amministratori e l’autonomia statutaria – 6. L’iscrizione nel libro dei soci e la pubblicità dell’elenco dei soci.

1. Il trasferimento di partecipazioni nella coop-s.r.l.: il problema

Il Codice civile non contempla una disciplina specifica della circolazione delle partecipazioni del socio cooperatore con riferimento alle imprese mutualistiche disciplinate, in via residuale, dalle norme sulla società a responsabilità limitata (v. gli artt. 2519, co. 2, e 2522, co. 2, c.c.).
Il legislatore si è infatti limitato a prevedere una norma (l’art. 2530 c.c.) di portata generale, ossia applicabile a tutte le cooperative a prescindere dal rinvio alle norme della s.p.a. o della s.r.l., e che regola gli effetti del trasferimento inter vivos nei confronti della società. In particolare tale disposizione disciplina le modalità di rilascio dell’autorizzazione al trasferimento, riservata all’organo amministrativo (rafforzando, rispetto al previgente art. 2523 c.c., la posizione dei soci partecipanti alla cessione nei confronti della società), e consente altresì di prevedere nello statuto una clausola che vieti il trasferimento delle partecipazioni (legittimando i soci all’esercizio del diritto di recesso a certe condizioni). Sotto altro profilo gli artt. 2521, co. 3, n. 4, e 2525 c.c. stabiliscono che il capitale sociale della cooperativa possa essere ripartito in quote o in azioni, non specificando quale sia la disciplina applicabile alle società in esame.
Tali disposizioni lasciano pertanto aperti, con riferimento alla coop-s.r.l., una pluralità di aspetti problematici, che principalmente possono essere riassunti nei seguenti termini: in primo luogo, se siano necessariamente applicabili ed entro quali limiti a tale società le disposizioni in tema di s.r.l., e quindi se le  partecipazioni debbano essere rappresentate da quote o possano essere rappresentate anche da azioni, e quale sia la loro modalità di circolazione; in secondo luogo, se la previsione dell’autorizzazione al trasferimento affidata dalla legge all’organo amministrativo sia influenzata o meno dal richiamo alle norme della s.r.l., e quindi quali siano gli spazi per  l’autonomia statutaria nella circolazione delle partecipazioni dei soci cooperatori.

2. il significato del rinvio alle norme in terna di s.r.l.

Secondo l’interpretazione più convincente il rinvio alla disciplina della s.r.l., contenuto negli artt. 2519, co. 2, e 2522, co. 2, c.c. per le cooperative con un numero non elevato di soci in conformità a quanto richiesto dalla legge delega (1), opera solo a condizione che manchi una disciplina nel titolo VI del libro V del Codice civile e che tale rinvio risulti compatibile con le peculiarità dell’impresa mutualistica (2). In altre parole: il legislatore ha inteso consentire il rinvio o il richiamo alle norme (3) del tipo s.r.l. per le cooperative con compagine sociale ristretta al fine di ampliarne gli spazi di autonomia statutaria (4), ma solo qualora manchi un’espressa regolazione e le norme della società lucrativa risultino compatibili con l’ordinamento cooperativo; non ha invece inteso creare un nuovo tipo o un subtipo di società cooperativa (la coop-s.r.l.), come emerge altresì dall’art. 2515 c.c., che non impone di integrare la denominazione sociale con l’indicazione del tipo di società lucrativa di riferimento.
La considerazione, ai fini dell’esame del tema in oggetto, è di rilevanza centrale: qualora, infatti, si ritenesse la cooperativa modellata dal richiamo alla s.r.l. un tipo o subtipo di società (5), distinta dalla coop­ s.p.a. e caratterizzata dal richiamo diretto (senza alcun filtro) alle norme che individuano il tipo disciplinato. dagli artt. 2462 ss. C.c., ne deriverebbe l’applicazione necessaria degli artt. 2468, 2469 e 2470 c.c. in quanto disposizioni imperative; da tale premessa conseguirebbe l’inderogabilità della rappresentazione della partecipazione cooperativa come quota, la necessità di osservare il procedimento di trasferimento della quota introdotto per la s.r.l. dalla I. 12 agosto 1993, n. 310, nonché l’applicazione, quale criterio risolutivo dei conflitti tra più acquirenti della medesima partecipazione, dell’art. 2470, co. 3, c.c.
Come si è detto la soluzione contraria a tale applicazione diretta appare preferibile, perché consente di tenere conto delle peculiarità della società cooperativa e ciò sia nel caso di applicazione delle norme della s.r.l. in virtù di una libera scelta dell’atto costitutivo (art. 2519, co. 2, c.c.), sia nel caso di applicazione necessaria alla luce del numero esiguo dei soci (art. 2522, co. 2, c.c.) (6). Lo schema organizzativo della società lucrativa, come è stato efficacemente scritto, deve tenere conto, anche nel caso della s.r.l., dei due principi cardine del fenomeno cooperativo, ossia quello strutturale della variabilità del capitale sociale e (soprattutto) quello teleologico della mutualità (7).
Con specifico riferimento al tema indagato, deve ulteriormente osservarsi che l’art. 2530 c.c. è una disposizione peculiare dell’impresa mutualistica, che (tra l’altro) evidenzia come la circolazione della partecipazione dei soci cooperatori (circolazione che di per sé ha carattere interindividuale) assume rilievo organizzativo in virtù della rilevanza del socio in funzione del perseguimento dello scopo mutualistico (8) Le partecipazioni dei soci cooperatori, in virtù della loro caratterizzazione personalistica (attestata anche dalla norma sul trasferimento mortis causa, ossia dall’art. 2534 c.c.), sottostanno ad un regime    di.   circolazione    proprio, limitato    dal   vincolo    legale dell’autorizzazione da parte degli amministratori, e tale disciplina costituisce un elemento essenziale della procedura di trasferimento (9).
L’art. 2530 c.c. rappresenta dunque una di quelle disposizioni che delineano il contenuto strutturale che caratterizza la cooperativa rendendo neutro, nei limiti che si vedranno nel prosieguo, l’eventuale cambiamento del rinvio alle disposizioni del tipo capitalistico di riferimento (s.p.a. o s.r.l.).
La conclusione raggiunta circa la peculiarità dell’ordinamento cooperativo in tema di trasferimento della posizione di socio impone in ogni caso un’indagine molto puntuale al fine di valutare quale sia la disciplina che risulta dall’applicazione congiunta dei corpi normativi con riferimento alla coop-s.r.l.

3.1. La rappresentazione delle partecipazioni sociali

L’art. 2530 c.c. è inserito in una sezione dal titolo «Delle quote e delle azioni» ed indica, sia nella rubrica che né! testo, le modalità di trasferimento della quota o delle azioni.
Si è dunque posto il dubbio se tale norma consenta la rappresentazione delle partecipazioni sociali, nella coop-s.r.l., sia come azioni sia come quote, oppure se il richiamo all’applicazione delle disposizioni della s.r.l. comporti, in forza dell’art. 2468 c.c., la necessaria rappresentazione della partecipazione come quota1°.
Le considerazioni del precedente paragrafo depongono in via immediata a favore dell’accoglimento della prima tesi: gli artt. 2519, co. 2, e 2522, co. 2, c.c. stabiliscono la prevalenza della disciplina dell’ordinamento cooperativo su quella del tipo lucrativo applicabile in via residuale e legittimano l’applicazione della disciplina della s.r.l. solo in presenza di un vuoto normativo (e con il filtro della compatibilità). Orbene: poiché nel   caso   di specie   vi sono   più disposizioni che sono comuni a tutte le cooperative e che fanno riferimento   sia   alle   quote   sia   alle   azioni   quali   modalità   di…

Il fallimento della società estinta

SOMMARIO: 1. La disciplina dell’estinzione della società e le nuove ipotesi di cancellazione dal registro delle imprese. -2.  L’art. 10 1. fall. e (alcuni) problemi conseguenti. – 3. Questioni in tema di fallimento di società di persone estinte. – 4. Il fallimento delle società non iscritte nel registro delle imprese. – 5. La tutela dei creditori prima della iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese e dopo tale iscrizione. La responsabilità dei liquidatori per debito o per danni.

1. La disciplina dell’estinzione della società e le nuove ipotesi di cancellazione dal registro delle imprese. A seguito del nuovo art. 2495, 2° comma, c.c. si deve ritenere certo che la società (per lo meno di capitali (1) sia da considerarsi estinta con l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e la successiva iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese (2).
Non si può quindi più sostenere, come faceva la giurisprudenza prevalente nel vigore della precedente norma dell’art. 2456 c.c., che la società continui ad esistere finché tutti i rapporti ad essa facenti capo, siano essi attivi o passivi, sostanziali o processuali, non siano stati completamente definiti (3). Il legislatore, con l’inserimento dell’inciso “ferma restando l’estinzione della società” nel 2° comma dell’art. 2495 c.c., ha in sostanza accolto l’indirizzo decisamente prevalente in dottrina secondo il quale la società come soggetto di diritto deve considerarsi estinta dal momento dell’attuazione della pubblicità nel registro delle imprese, mediante iscrizione del fatto estintivo (la cancellazione della società). Tale conclusione deve ritenersi ferma anche qualora la società sia stata cancellata in presenza di debiti non soddisfatti e di rapporti processuali pendenti (4): non avrebbe altrimenti senso il nuovo art. IO I. fall. che, come vedremo, assoggetta l’ente estinto a fallimento per un anno dalla data dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese (considerare  che la norma sia stata pensata solo per l’ipotesi in cui sopravvengano debiti successivamente alla cancellazione pare, infatti, poco convincente, pur se è vero che l’insolvenza può dipendere anche da fatti  successivi  all’iscrizione della cancellazione); non avrebbe altrimenti senso il nuovo art. 2490 c.c., che prevede l’iscrizione della cancellazione d’ufficio.
Rimane aperto il problema della natura della responsabilità dei soci (art. 2495, 2° comma, c.c.) a seguito dell’estinzione dell’ente (5) (problema che ha rilevanti, e – se non inteso correttamente – inquietanti, effetti processuali (6); in relazione al momento dell’estinzione dell’imprenditore collettivo è stata però fatta chiarezza (anche la giurisprudenza della Cassazione ha da ultimo mutato il proprio granitico orientamento precedente) (7).
Successivamente alla riforma del diritto societario, che ha chiarito il collegamento tra cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione della società, si è verificata una proliferazione di norme in tema di iscrizione della cancellazione delle società dal registro delle imprese.
Già il legislatore delegato aveva introdotto, con riferimento alle società di capitali, due ipotesi di iscrizione d’ufficio della cancellazione nel registro delle imprese, una delle quali si verifica nel caso di mancanza di un’attività liquidativa: il mancato deposito del bilancio in fase di liquidazione (ex art. 2490, I O comma, c.c.) per tre anni consecutivi determina, ai sensi dell’art. 2490, 6° comma, c.c., l’obbligo per l’ufficio del registro delle imprese di provvedere alla iscrizione della cancellazione della società «con gli effetti previsti dall’art. 2495 c.c.» (8) Inoltre, ai sensi dell’art. 223 quater, 2° comma disp. att., nel caso di iscrizione della società nel registro delle imprese avvenuta senza l’autorizzazione di cui all’art. 2329, numero 3), c.c. l’autorità competente al rilascio di tale autorizzazione può proporre istanza per la «cancellazione della società dal registro»; tuttavia, nel caso di accoglimento dell’istanza da parte del tribunale, si applica l’art. 2332 c.c., e quindi la procedura da seguire per il caso di nullità della società. Sembra quindi che la norma si esprima in realtà impropriamente e non regoli direttamente un’ipotesi di estinzione in seguito all’iscrizione della cancellazione, bensì di scioglimento della società (9), con nomina dei liquidatori da parte del tribunale (art. 2332, 4° comma, c.c.) e successiva liquidazione ed estinzione (10)

A queste disposizioni hanno fatto seguito:
– il d.p.r. n. 247 del 23 luglio 2004, che, con riferimento alle società di persone, ha previsto (all’art. 3) l’avvio del procedimento (definito) di cancellazione della società qualora si verifichi una delle cinque ipotesi stabilite in tale articolo 11, previa audizione degli amministratori ed eventuale nomina del liquidatore da parte del Presidente del Tribunale; già la dottrina 12 ha evidenziato le peculiarità di questo  decreto, che (solo per fare un esempio) considera la mancata ricostituzione dei soci nel termine di sei mesi una causa di apertura del procedimento d’ufficio di cancellazione (e non di scioglimento e liquidazione). Anche in questo caso – come in quello già menzionato, dell’art. 223 quater, 2° comma, disp. att. – può ritenersi che il d.p.r. preveda in realtà un procedimento d’ufficio di apertura della liquidazione con conseguente cancellazione all’esito del procedimento 13;
– la norma dell’art. 1, III° comma, Ln.296 del 2006 (legge finanziaria), che prevede la cancellazione delle società di comodo ai fini di fruire della disciplina fiscale di favore;
– infine, introdotto dalla legge di riforma del diritto fallimentare del 2006, l’art. 118, 2° comma, I. fall. prevede l’iscrizione automatica della cancellazione nel registro delle imprese della società in caso di chiusura del fallimento. La norma, già si era sottolineato in dottrina 14, doveva es­ sere interpretata restrittivamente (nel senso che il curatore potesse procedere all’iscrizione della cancellazione solo quando ve ne fossero i presupposti: ad es. per mancanza di attivo); altrimenti – sulla base della lettera della disposizione – si sarebbe giunti all’assurda conclusione di dover disporre sempre automaticamente l’estinzione della società, anche qualora la chiusura del fallimento fosse derivata dal soddisfacimento integrale dei creditori o dalla mancanza di domande di ammissione al passivo. Nel senso auspicato si è poi espresso il d.lgsl. n. 169 del 2007, che ha specificato nel testo della norma che solo in caso di ripartizione finale dell’attivo o di mancanza di quest’ultimo il curatore deve chiedere l’iscrizione della cancellazione.

Appunti sull’art. 2440-bis c.c.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La ratio della disposizione. – 3. Il problema dell’informativa agli azionisti. – 4. L’applicazione residuale dell’art. 2343 c.c. e il significato del divieto di esecuzione del conferimento. – 5. Irrazionalità della limitazione del diritto dei soci al caso dell’aumento di capitale delegato: estensione, in via diretta o analogica, del diritto dei soci previsto dall’art. 2440-bis c.c. all’aumento
deliberato dall’assemblea.

1. L’art. 2440-bis c.c., come noto, è stato introdotto dal d. lgsl. 4.8.2008, n. 142, in attuazione della direttiva 2006/68/CE, e in particolare per tenere conto dell’art. 10-bis, paragrafi 2 e 3, e dell’art. 10-ter, paragrafo 2, della seconda direttiva 77/91/CE (così come inseriti proprio dalla direttiva 2006/68/CE).
Mentre le altre disposizioni introdotte da quest’ultima direttiva sono già state oggetto di indagini approfondite1, l’art. 2440-bis c.c. è rimasto, per lo più, «ai margini» dei commenti. E ciò nonostante la disposizione da un lato sia di rilevante importanza teorica e pratica, in quanto rappresenta un ulteriore ampliamento dell’istituto della delega all’organo amministrativo2, e in quanto si può immaginare che il maggior numero di conferimenti con valutazione semplificata verrà effettuato a seguito dell’aumento del capitale sociale, normalmente deliberato dagli amministratori; d’altro lato l’art. 2440-bis c.c. presenti, anche ad un esame superficiale, molteplici questioni interpretative e imprecisioni tecniche.
Basti pensare, con riferimento alle prime, al significato del divieto di esecuzione del conferimento entro un certo periodo (v. il comma 2°); oppure al problema dell’estensione, o meno, anche all’aumento del capitale non delegato del diritto dei soci di richiedere una valutazione ex art. 2343 c.c., estensione che la disposizione sembrerebbe escludere.
Con riferimento alle seconde (ossia alle imprecisioni tecniche, almeno sulla base dei princìpi e della terminologia finora consolidati3) si può menzionare sia la rubrica della disposizione (Aumento di capitale delegato liberato mediante conferimenti di beni in natura e di crediti senza relazione di stima), che prevede quale oggetto della liberazione mediante conferimenti non in danaro l’aumento del capitale, e non le azioni a fronte di quest’ultimo sottoscritte (cfr., invece, gli artt. 2342, comma 3°, e 2441, comma 4°, c.c.); sia il testo, secondo il quale – tra le altre osservazioni che si potrebbero fare – il conferimento di beni in natura o di crediti viene deliberato (mentre secondo il lessico degli artt. 2438 ss. c.c. ciò che viene deliberato è l’aumento del capitale, che può essere sottoscritto, qualora la decisione lo preveda, anche conferendo beni diversi dal danaro)4.
Ciò che, tuttavia, maggiormente interessa all’interprete sono i problemi applicativi della disposizione, e su alcuni di questi vuole indugiare la presente analisi.

2. L’art. 2440-bis c.c. ha in primo luogo la funzione, comune all’art. 2440 c.c. come modificato dal d. lgsl. 4.8.2008, n. 142, di adattare all’aumento del capitale sociale l’opzionale disciplina c.d. alternativa o semplificata della valutazione dei conferimenti non in danaro (o, se si preferisce, dei conferimenti senza relazione di stima: v. la rubrica dell’art. 2343-ter c.c.5) prevista in tema di costituzione della società; più precisamente, di adattare tale disciplina al caso in cui la facoltà di aumentare il capitale sia stata delegata all’organo gestorio. Pertanto, gli amministratori (e i consiglieri di gestione) devono, al fine della corretta formazione del capitale sociale, accertare che non siano sopravvenuti al momento della delibera consiliare di aumento «fatti eccezionali» o «fatti nuovi rilevanti» che rendano la valutazione del conferimento (e quindi: il prezzo dei valori mobiliari o degli strumenti del mercato monetario; il valore equo ricavato da un bilancio approvato da non oltre un anno; il valore equo determinato da un esperto indipendente e professionale) non più attendibile; accertare, in altre parole, che non siano sopravvenuti fatti che richiedano una stima ex art. 2343 c.c.6.
In secondo luogo, la disposizione ha la specifica funzione di prevedere una disciplina caratteristica (ma, come si vedrà, non in ogni sua parte esclusiva) del solo aumento del capitale sociale delegato.

Da un lato, e come indicato dalla Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, l’art. 2440-bis c.c. (v. il 1° comma) richiede una determinata pubblicità della decisione e della verifica dell’organo gestorio, che consenta ai soci e ai terzi di poter conoscere, prima che il conferimento venga eseguito, che l’organo amministrativo ha deliberato di aumentare il capitale seguendo la procedura di valutazione semplificata7, e così consenta l’informazione su una serie di circostanze relative al conferimento (quelle indicate all’art. 2343-quater, comma 3°, c.c., richiamato dalla norma in commento8). L’organo amministrativo non può, pertanto, immediatamente «dare esecuzione al conferimento»9, ma deve depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese, in allegato al verbale della deliberazione consiliare di aumento, una dichiarazione (come detto con i contenuti di cui all’articolo 2343-quater, comma 3°, c.c.), e con l’indicazione, altresì, della data della delibera10.
D’altro lato, e in stretta connessione, la disposizione (v. il comma 2°) attribuisce ai soci, che rappresentano almeno il ventesimo del capitale sociale, il diritto di richiedere la presentazione di una nuova valutazione ai sensi dell’art. 2343 c.c.11, in attuazione dell’art. 10-bis, 2° comma, ultima parte, della seconda direttiva 77/91/CE (così come inserito dalla direttiva 2006/68/CE). Il Terzo considerando di quest’ultima prevede, infatti, che dovrebbe (sic) essere in ogni caso garantito il diritto degli azionisti di minoranza di esigere la valutazione da parte di un esperto; e l’art. 10-ter, comma 3°, della medesima direttiva richiede che ogni Stato membro preveda garanzie adeguate per assicurare il rispetto della procedura semplificata, tra le quali lo stesso legislatore comunitario include il diritto dei soci ad una valutazione da parte di un esperto indipendente secondo la disciplina comune.

3. La prima questione interpretativa che l’art. 2440-bis c.c. pone è quella della (eventuale) informativa da garantire agli azionisti in relazione alla decisione di aumento del capitale sociale delegato con facoltà di esclusione o limitazione del diritto di opzione (come quasi sempre avverrà a seguito del conferimento di beni non in danaro); qual è, in altre parole, il rapporto tra la decisione dell’organo gestorio e l’informativa garantita ai soci dall’art. 2441, comma 6°, c.c., sia in merito agli interessi sottostanti all’operazione, sia in merito ai criteri di determinazione del prezzo di emissione delle azioni.
Non è un problema che riguarda solo il caso dell’aumento del capitale delegato con conferimenti valutati in modo semplificato, e non è un problema che riguarda solo la disciplina italiana. All’opposto, l’art. 2443 c.c., ossia la norma generale sull’attribuzione della delega, determina notevoli difficoltà nella parte in cui dispone, per i casi in cui all’organo amministrativo sia stata conferita anche la facoltà (ulteriore rispetto a quella di aumentare il capitale) di escludere il diritto di opzione, che «in questo caso si applica in quanto compatibile il sesto comma dell’art. 2441». Inoltre, tale tema ha una risonanza a livello europeo, in considerazione delle difficoltà determinate dal coordinamento della disciplina comunitaria dei conferimenti non in danaro, della delega e dell’esercizio dell’opzione12; ed è un tema che ha avuto degli sviluppi giurisprudenziali importanti, in particolare nell’ordinamento tedesco (casi Siemens/Nold e Mangusta/Commerzbank I)13.
Non risulta, infatti, chiaro se l’applicabilità della tutela di tipo informativo e procedimentale disposta dall’art. 2441 c.c. si riferisca alla delibera assembleare di delega, alla delibera consiliare di esecuzione della delega o ad entrambe, e al quesito sono state già date, nei contributi pubblicati, risposte diverse14.
In argomento pare preferibile la tesi secondo cui in sede di delibera assembleare di delega l’organo amministrativo possa limitarsi ad illustrare in assemblea, con una propria relazione (dal contenuto diverso e più sintetico rispetto a quello della relazione prevista dalla norma citata), la proposta di aumento del capitale, che determini, in astratto, le ragioni dell’esclusione del diritto d’opzione, in modo tale che l’assemblea possa deliberare di delegare anche la facoltà di escludere il diritto degli azionisti, indicando i relativi criteri15; la relazione illustrativa dell’organo amministrativo, il parere di congruità dell’organo di controllo (o, per chi lo ritiene, del revisore legale) e l’eventuale relazione di stima devono, invece, essere predisposti (e, pare preferibile, come si dirà tra un attimo, depositati) in occasione della delibera consiliare di esercizio della delega. Infatti, e tra l’altro, non avrebbe senso l’attribuzione della delega, se già i presupposti dell’aumento dovessero essere cristallizzati nei documenti previsti dall’art. 2441, comma 6°, c.c., da depositare prima dell’assemblea che conferisce la delega (che potrebbe essere di molto anteriore all’esercizio della stessa)16. Quest’ultima conclusione risulta altresì conforme…